09 gennaio 2011

La questione Fiat, alla rovescia

Due articoli letti recentemente mi hanno vedere la questione dell'accordo Fiat su Mirafiori da un altro punto di vista.
Sono “La pacchia di Marchionne” di Bruno Tinti e Il film alla rovescia del caso Fiat, l'intervista di Luca Telese a Maurizio Zipponi.

Nel primo, l'ex magistrato racconta del salvataggio di Chrysler con i soldi di Obama e con i brevetti e le tecnologie Fiat: i sacrifici per salvare la fabbrica da parte degli operai, sacrifici necessari perché in America non esiste welfare, né sanità. Se l'azienda fallisce perdono tutto: ma in cambio ottengono da Obama il controllo del pacchetto azionario, ovvero il sindacato unico è il vero padrone della Chrysler.
Per un lavoratore Chrysler – continua Tinti – “a salario ridotto, orario aumentato, rischio pensione, che i cugini italiani possano contrattare condizioni economiche migliori, godendo già in partenza di pensione e assistenza sanitaria garantite, non gli sta bene”.
Marchionne non può discutere, il controllo ce l'ha il sindacato, che non può accettare che il piano Marchionne vada in fumo per Landini e Camusso (quando in ballo c'è il loro futuro e le loro famiglie).
Se la sopravvivenza del gruppo è decisa da questo accordo (è su questo mi permetto di dissentire con Tinti), ecco che è necessaria l'omologazione dei lavoratori.
Quindi il piano inclinato, come lo chiama Ichino, porta ad un modello “a perdere”, ben lontano dall'attuale situazione (comunque migliorabile) di welfare e contrattazione. Ben lontano dal modello tedesco, dove i sindacati siedono nei consigli di sorveglianza.

L'intervista a Zipponi invece ribalta la questione del chi controlla chi: è la Chrysler che sta comprando la Fiat. Mentre il governo Obama ha messo i soldi di stato per salvare la produzione (e i posti di lavoro) in America, qui i soldi dello stato vengono messi per non fare la produzione (cioè per la Cassa integrazione).
Mentre è chiaro quali saranno i modelli prodotti negli impianti all'estero (la Multipla in Serbia, l'Ulysse e la 500 elettrica in America, la nuova citycar in Brasile e il Doblò in Turchia) delle nuove auto italiane si sa poco.
Chi ci guadagna dall'accordo è la Chrysler stessa, se si salva, Marchionne con le stock option, la famiglia Agnelli che fa cassa liberandosi dell'auto. L'obiettivo è la partita finanziaria.
E la Fiom in mezzo a fare da capro espiatorio.
Secondo Zipponi, il rischio finale è perdere del tutto l'industria dell'auto in Italia, e che il nostro know how finirà negli stabilimenti americani.

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