Due articoli letti recentemente mi hanno vedere la questione dell'accordo Fiat su Mirafiori da un altro punto di vista.
Sono “La pacchia di Marchionne” di Bruno Tinti e “Il film alla rovescia del caso Fiat”, l'intervista di Luca Telese a Maurizio Zipponi.
Nel primo, l'ex magistrato racconta del salvataggio di Chrysler con i soldi di Obama e con i brevetti e le tecnologie Fiat: i sacrifici per salvare la fabbrica da parte degli operai, sacrifici necessari perché in America non esiste welfare, né sanità. Se l'azienda fallisce perdono tutto: ma in cambio ottengono da Obama il controllo del pacchetto azionario, ovvero il sindacato unico è il vero padrone della Chrysler.
Per un lavoratore Chrysler – continua Tinti – “a salario ridotto, orario aumentato, rischio pensione, che i cugini italiani possano contrattare condizioni economiche migliori, godendo già in partenza di pensione e assistenza sanitaria garantite, non gli sta bene”.
Marchionne non può discutere, il controllo ce l'ha il sindacato, che non può accettare che il piano Marchionne vada in fumo per Landini e Camusso (quando in ballo c'è il loro futuro e le loro famiglie).
Se la sopravvivenza del gruppo è decisa da questo accordo (è su questo mi permetto di dissentire con Tinti), ecco che è necessaria l'omologazione dei lavoratori.
Quindi il piano inclinato, come lo chiama Ichino, porta ad un modello “a perdere”, ben lontano dall'attuale situazione (comunque migliorabile) di welfare e contrattazione. Ben lontano dal modello tedesco, dove i sindacati siedono nei consigli di sorveglianza.
L'intervista a Zipponi invece ribalta la questione del chi controlla chi: è la Chrysler che sta comprando la Fiat. Mentre il governo Obama ha messo i soldi di stato per salvare la produzione (e i posti di lavoro) in America, qui i soldi dello stato vengono messi per non fare la produzione (cioè per la Cassa integrazione).
Mentre è chiaro quali saranno i modelli prodotti negli impianti all'estero (la Multipla in Serbia, l'Ulysse e la 500 elettrica in America, la nuova citycar in Brasile e il Doblò in Turchia) delle nuove auto italiane si sa poco.
Chi ci guadagna dall'accordo è la Chrysler stessa, se si salva, Marchionne con le stock option, la famiglia Agnelli che fa cassa liberandosi dell'auto. L'obiettivo è la partita finanziaria.
E la Fiom in mezzo a fare da capro espiatorio.
Secondo Zipponi, il rischio finale è perdere del tutto l'industria dell'auto in Italia, e che il nostro know how finirà negli stabilimenti americani.
Nessun commento:
Posta un commento
Mi raccomando, siate umani