11 luglio 2011

Todo modo di Leonardo Sciascia

Chissà se Sciascia avrebbe immaginato nel 1974, quando scrisse questo breve romanzo sulla classe dirigente e politica italiana, che sarebbe stato attuale e utile per raccontare il mondo torbido di ipocrisie, connivenze, compromessi della politica di ieri e di domani.

Scritto sulla struttura di romanzo giallo (con molti echi del romanzo di Agata Christie, “10 piccoli indiani”), Todo modo racconta “dell'impasto vischioso del potere ” con gli occhi di un professore (di cui non vien mai fatto il nome), pittore famoso che, in cerca di riposo, finisce in un eremo, l'eremo di Zafer, trasformato in albergo.

Qui si incontrano ministri, politici, direttori di banche, per un periodo di ritiro spirituale, sotto il controllo di Don Gaetano. Un prete molto particolare, a cominciare da quegli occhiali simili ad un paio indossati dal demonio, nel ritratto presente nella cappella. Don Gaetano, che si rivela al professore come una persona estremamente colta, intreccia con lui un dialogo acuto su religione, laicità (le donne presenti nell'eremo), sul significato del ritiro spirituale cui partecipano tutti quei politici, non proprio un esempio di etica e valori.

- Quale battesimo aspetta?
- Il dolore, la morte: non c'è altro.
- Ma per aspettare questo battesimo, che bisogno c'è di tutto questo? Che bisogno ha lei di fare un albergo, di amministrarlo, di fare e amministrare tante altre cose? Che bisogno hanno i suoi amici di governare, di comandare: con la sua benedizione se non addirittura col suo mandato?
- Questa volta tocca me protestare: non sono miei amici. Ma sono anche loro il fuoco che divampa. E per quanto li disprezzi, al tempo stesso che li amo: 'Che voglio, se già divampa? [tratto dal Vangelo di Luca]'
- Bisogna dunque distruggere?
- Non c'è altra via, non c'è altro scampo. Distruggere, distruggere .. Il nostro più grande errore, il più grande errore che sia mai stato commesso da coloro che hanno governato, o che hanno creduto di governare , la Chiesa di Cristo, è stato quello di identificarsi, ad un certo momento, con un tipo di società, con un tipo di ordine. E' un errore che perdura, anche se molti hanno cominciato ad avere coscienza che è un errore. Approssimativamente, con una battuta, le posso dire: il diciottesimo secolo ci ha fatto perdere il senno, il ventesimo ce lo farà riguadagnare. Ma che dico, ce lo farà riguadagnare? Sarà finalmente la vittoria, il trionfo ..
- La fine.
- Dal suo punto di vista, si: la fine .. Ma sarà anche l'epoca, o almeno il principio dell'epoca più cristiana che il mondo può conoscere ..” [pagina 103]

Una delle scene più inquietanti e sinistre del libro è quella del rosario, recitato all'aperto da tutti assieme i partecipanti, in fila serrate, come le fila di un esercito:

E c'era di che. Quell'andare su e giù nello spiazzale quasi buio, non come quieto passeggio ma a passo svelto, appunto come chi ha paura del buio e si affretta a raggiungere la zona di luce (che era quella dell'ingresso dell'albergo: e lì infatti il loro passo si faceva più lento, a indugiarvi prima di riaffrontare il percorso verso la parte più buia); quelle loro voci che si levavano verso il Padrenostro, nell'Avemaria, nel Gloria con un che di atterrito e di isterico; la voce di don Gaetano , che succedeva alle loro, distante e fredda: e da quella voce espressioni come 'misterioso messaggio', 'mistero della salvezza', 'antico serpente', 'spada che trafiggerà l'anima', si intridevano in un senso tutto fisico, non più metafore ma eventi che stavano realizzandosi, che si realizzavano, in quel posto al confine del mondo, al confine dell'inferno, che era l'hotel di Zafer.
E in quel momento anche chi, come me e il cuoco, li vedeva nell'abbietta mistificazione e nel grottesco, scopriva che c'era qualcosa di vero, vera paura, vera pena, in quel loro andare nel buio dicendo preghiere: qualcosa che attingeva all'esercizio spirituale: quasi che fossero e si sentissero disperati, nella confusione di una bolgia, sul punto di metamorfosi. E veniva facile pensare alla dantesca bolgia dei ladri.” [pagina 50]

Proprio durante questa recita, qualcuno uccide l'onorevole Michelozzi e, il giorno successivo, l'avvocato Voltrano, che forse era a conoscenza del nome dell'assassino.

All'eremo per indagare sulle morti, arrivano prima il commissario e poi il procuratore Scalandri, vecchio compagno di scuola del pittore.
Ma portare avanti le indagini, o a suggerire la pista da seguire, sembra essere quasi più il pittore che non il magistrato. Chi ha ucciso le due persone e per quali motivi?

Tutte le persone presenti al ritiro, escluse il pittore, il cuoco e le donne, sono sospettabili: fondi sottratti allo stato, corruzione e ruberie varie, hanno legato tra loro in una torbida ragnatela, tutti quanti i presenti:

Per la verità, da anni non mi veniva di pensare che – zac – ci fosse da mietere, decapitare; e che un simile pensiero o vagheggiamento, in me spento, tanti rigogliosamente germogliasse in un commissario di polizia, anche se celato, non avrei creduto.
Ma tante cose avevo perso di vista; di tanti mutamenti non mi ero accorto, di tante novità. E non soltanto io: anche la gente che incontravo ogni giorno era nella mia stessa condizione. Ministri, deputati, professori, artisti, finanzieri, industriali: quella che si suole chiamare classe dirigente. E che cosa dirigeva, effettivamente? Una ragnatela nel vuoto, la propria labile ragnatela. Anche se di filo d'oro.” [pagina 76]

Ma Sciascia ha scelto di mantenere aperto e vago il finale, poiché non è importante trovare il nome dell'assassino, o degli assassini. La verità è sotto gli occhi di tutti.

Il finale:
Lo vedi dove si arriva, quando si lasciala strada del buon senso? - disse trionfalmente Scalandri – si arriva che tu, io, il commissario diventiamo sospettabili quanto costoro, e anche di più: e anche che ci si possa attribuire una ragione, un movente .. io lo dico sempre, caro commissario, sempre: il movente, bisogna trovare, il movente ..”

Dal libro Elio Petri ha tratto un film con Marcello Mastroianni (don Gaetano) e Gian Maria Volontè (il presidente, nel libro una figura minore). Un film altrettanto oscuro, cupo, duro contro il potere incarnato dalla Democrazia Cristiana.






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4 commenti:

  1. Bel post, ma mi permetto una precisazione. Sciascia non lasciò affatto volutamente aperto il finale.

    "Quando in Todo modo il pittore che narra in prima persona uccide don Gaetano, il sacerdote che porta gli occhiali a pince nez, identici a quelli del diavolo del dipinto di Manetti: ebbene, egli uccide anche, deliberatamente, una parte di se'"

    Lo disse lo stesso Sciascia nel '76, come riportato in questo articolo del Corriere del 1995.
    http://archiviostorico.corriere.it/1995/aprile/08/maledizione_SCIASCIA_co_0_9504082818.shtml
    In effetti il pittore, a precisa domanda di Scalambri ("Dov'è che te ne sei andato?"), risponde: "Ad uccidere don Gaetano".
    La cosa curiosa è che tutti - come lo stesso Scalambri - la prendono per una battuta. Così ho fatto anch'io, lì per lì.

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    1. Sono d'accordo. Il libro è incredibile e va riletto. Si apre sulla decisione di compiere un 'atto di libertà' da parte del pittore. Una sorta di 'Delitto e castigo' dove in realtà il castigo è impossibile in un mondo che gira a vuoto. E il 'colpevole' (almeno della morte di Don Gaetano) è proprio il pittore, forte del nichilismo e della corruzione che distrugge ogni possibilità di giustizia e verità.

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  2. Grazie!

    Come al solito si impara molto dalle letture di Sciascia e anche dalle riletture .. degli altri.

    Aldo

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  3. Don Gaetano suicida

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Mi raccomando, siate umani