05 dicembre 2011

Report – i mali culturali


L'avranno guardato il servizio diReport (di Stefania Rimini)  sulla mala gestione del nostro patrimonio culturale, i nostri ministri? Avranno visto, il professor Monti, il ministro Passera e il ministro Ornaghi (che proprio del patrimonio artistico si dovrà occupare), quanto è vasto il nostro patrimonio rispetto a quello degli altri paesi europei e quanto poco viene sfruttato economicamente?
Potremmo ricavarci proprio quei miliardi che servirebbero a fare cassa per sistemare il debito (senzadover chiedere soldi alle stesse persone, lavoratori dipendenti e pensionati), potremmo creare quei posti di lavoro che oggi mancano (e la disoccupazione, anche giovanile è l'altro problema), magari proprio nelle aree oggi meno sviluppate del paese.

Non è possibile che in Europa la cultura dà da mangiare (alla faccia di un certo ministro di cui ora non voglio nemmeno dire il nome) a 3,6 milioni di persone, generi PIL (vero, non finanziario) per il 2,6%, mentre in Italia, con tutto quello che abbiamo siamo al 1,1%.

E invece in Italia accadono cose che dovrebbero far vergognare tutti: i crolli a Pompei, il Colosseo che viene ristrutturato dai muratori (che costano come i restauratori veri). Il Real sito di Carditello, la sede colonica dei Borbone a Caserta, oggi in gestione alla regione Campania, che è abbandonato a se stesso, defraudato e vandalizzato. Ma nessuno ne ha colpa.
O come la Villa Reale a Monza, in piena Padania: dove accanto alle sedi dei ministeri Leghisti (una profanazione, l'ha definita il prof. Settis) c'è solo l'abbandono (muri a pezzi, finestre senza infissi..).

Perché in Italia i beni culturali diventano poi mali culturali? Forse Perché sono troppi, come dice qualcuno?

Sciocchezze: il problema sono le troppe competenze, i troppi enti che si occupano delle stesse cose sovrapponendosi tra loro, le nomine negli enti fatte dalla politica senza guardare a competenze e capacità.
Non esiste una direzione unitaria (a livello nazionale) sulla gestione dei beni artistici, che sono oggi gestiti dalle singole regioni (magari alle prese coi debiti) o dai comuni che grazie al patto di stabilità non possono investire su musei e personale. Eppure ci sarebbero i fondi europei (POR), che non si riescono però a spendere.

Perché, proprio per la troppa burocrazia (e centralismo), i soldi incassati ad esempio dalla Reggia di Caserta (la nostra Versailles), finiscono a Roma, che poi però non li gira a Caserta per pagare gli straordinari del personale. E succede allora che la villa rimane chiusa, e i visitatori delusi, non ritornano più.

Ma come fanno all'estero? La Gabanelli ha fatto il paragone con l'organizzazione che gestisce da anni il percorso del pellegrinaggio verso Santiago di Compostela.
O anche con i castelli della Loira: in Francia si è creata una vera e propria industria del turismo, che crea posti di lavoro e soldi dalle visite a tutti i castelli della regione. Si è creato un marchio, il cui sfruttamento è concesso solo per preservare l'immagine della Loira; tutti i castelli hanno medesimo orari di apertura e un sistema di trasporti integrato; concordano orari di apertura. Parliamo di 280000 visitatori e 1 miliardi di ricavi l'anno.


Perché non si è fatta la stessa cosa in Veneto, con tutte le centinaia di ville? Perché in Veneto si è preferito investire in cemento e capannoni, e nella piccola industria (oggi in crisi, tra l'altro)?

Forse Perché non è vero che i nostri beni sono troppi, ma che manca una classe dirigente e una elite culturale competente.

La seconda inchiesta, dopo i mali culturali, riguardava la gestione dell'Enpam, la cassa di previdenza dell'ordine dei medici e degli odontoiatri (servizio di Antonino Monteleone).

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