22 maggio 2012

Uomini soli – Paolo Borsellino



Nemmeno Paolo Borsellino avrebbe voluto diventare un eroe ma, come gli altri protagonisti di cui parlaBolzoni nel suo libro, lo è dovuto diventare per la determinazione nel contrastare Cosa Nostra, perché uno come lui riesce ad essere uomo dello stato in una sola maniera. Applicando le leggi e promuovendo la giustizia.
A differenza di altri magistrati dello stesso tribunale di Palermo che preferivano non vedere la mafia, i legami con la politica e l'imprenditoria.


“Un giudice tradito e venduto”, è il sottotitolo scelto da Bolzoni, per Borsellino: tradito dallo stato e da qualche suo collaboratore in riferimento alla trattativa (o meglio le trattative) stato-mafia, prima e dopo la strage di Capaci.

Il primo vero caso di mafia, per il giudice Paolo Borsellino fu quello relativo alla morte del capitano Basile nel 4 maggio 1980, della compagnia di Monreale: caso emblematico di come le inchieste non funzionavano a Palermo. Dopo il rinvio a giudizio nel 1981, i tre killer (catturati quasi subito) , assolti dal giudice Curti Giardina nel 1983.

Dal 1975 a Palermo, nel pool istruì il maxiprocesso contro Cosa Nostra e, come gli altri magistrati, assistette alla carneficina dei più fidati collaboratori: Boris Giuliano, Nini Cassarà, Roberto Antiochia, Calogero Zucchetto, Giuseppe Montana. E anche il capitano Basile e l'ufficiale che lo sostituì, D'Aleo. 
Nel 1986 fece domanda per la procura di Marsala, per aprire un filone d'indagini sulle cosche del trapanese: vinse davanti a giudici più anziani e questo fece da spunto per l'articolo di Leonardo Sciascia uscito sul corriere il 10/1/1987 “I professionisti dell'antimafia”.
Quanti intendevano attaccare il pool e quei magistrati così inflessibili nei confronti di Cosa nostra ebbero da quell'articolo ulteriori strumenti (ancora adesso viene citato, dai presunti garantisti per attaccare i “giustizialisti”).
A Trapani fa da chioccia ad una nuova leva di magistrati che poi si portò a Palermo, tra cui Antonio Ingroia e Alessandra Camassa.

Nel luglio 1988, Borsellino si espone pubblicamente per denunciare lo smantellamento del pool di Palermo, prima in una presentazione di un libro e poi in un intervista con Saverio Lodato.
Attilio Bolzoni, giornalista di Repubblica, intervista Paolo Borsellino"Lo Stato si è arreso: del pool antimafia sono rimaste macerie"Signor procuratore, perchè questo sfogo, perchè ha deciso di uscire allo scoperto su un tema così scottante? 
"Perchè dopo tanti anni di lavoro, prigioniero nel bunker di Palermo, sento il dovere di denunciare certe cose. E anche perchè non sono venuto qui a Marsala per isolarmi. Io sono venuto a fare il procuratore della Repubblica a Marsala per continuare ad occuparmi di mafia, per lavorare qui ma lavorare contemporaneamente anche con Falcone a Palermo, con il giudice ad Agrigento, con altri magistrati a Catania o a Trapani. E invece tutto questo non sembra possibile. Le indagini si disperdono in mille canali e intanto Cosa Nostra si è riorganizzata,come prima, più di prima".
Saverio Lodato, giornalista de "L'Unità", intervista Paolo Borsellino"Vogliono smantellare il pool antimafia"
Dottor Borsellino, tutti conoscono il clima di polemiche che ha preceduto e seguito la nomina del nuovo capo dell'Ufficio istruzione. Falcone non ce l'ha fatta. Non c'è il rischio di riaprire antiche polemiche?
"Sono fra quelli che non hanno ami pensato che si dovesse dare un "premio" particolare a Falcone. Si trattava semmai di tutelare la continuità con le direzioni di Chinnici e Caponnetto. Si trattava cioè di garantire una soluzione interna all'Ufficio, senza pause o pericolose soluzioni di continuità in certe indagini".
Lei è procuratore capo a Marsala. Vuol dire che con l'Ufficio istruzioni si sono "rotti i telefoni"?
"Qui, a Marsala, ho avuto modo di occuparmi di una potente cosca di Mazara del Vallo sulla quale indagano anche i giudici palermitani. Mi sembrava quindi di fare la cosa più normale rivolgendomi all'Ufficio istruzione: non ho avuto alcna risposta. Strano, davvero molto strano".
Qualche giorno fa, ad Agrigento, durante la presentazione di un libro sulla mafia in quella città, curato da Giuseppe Arnone, lei si è detto molto preoccupato anche della situazione delle forze di Polizia.
"Bene: l'ultimo rapporto di Polizia degno di questo nome risale al 1982. Era il dossier intitolato Michele Greco più 161. Da allora ad oggi non è stato presentato più alcun rapporto complessivo sulla mafia nel Palermitano. Se si escludono alcuni contributi del reparto anticrimine dei carabinieri, il vuoto è assoluto: nessuno, per esempio, che si sia posto il problema di capire quali effetti ha provocato negli equilibri fra le famiglie di Cosa Nostra la sentenza del maxi-processo. Recentemente, invece, il dottor Nicchi, capo della squadra mobile di Palermo, ha dichiarato pubblicamente che lui "lavora per la normalizzazione". Francamente non capisco una frase del genere detta da un funzionario di polizia."
Il capo della sezione omicidi della Squadra Mobile, Francesco Accordino, è stato trasferito a Reggio Calabria e da qualche mese si occupa di raccomandate rubate, presso la polizia postale. E' un caso?
"So solo che la Squadra Mobile, dai tempi delle uccisioni dei poliziotti Cassarà e Montana, era rimasta decapitata. Lo staff investigativo è a zero".
Qualche giorno fa il giudice Falcone ha affermato che non esistono prove dell'esistenza di un "terzo livello", inteso come superdirezione politica della "cupola" militare della mafia; ha aggiunto che molti uomini politici siciliani erano e sono adepti di Cosa Nostra. Che ne pensa?
"Sull'inesistenza del terzo livello concordo con lui. Per la seconda parte del ragionamento non dispongo di informazioni particolari, poichè da due anni vivo a Marsala, ma è risaputo che esiste un'area di reticenza dichiarata, da parte di Buscetta, proprio nelle sue confessioni".
Perchè lancia oggi questo grido d'allarme?
"Il momento mi sembra delicato. Avendo trascorso tanti anni negli uffici-bunker di Palermo sento il dovere morale, anche verso i miei colleghi, di denunciare certe cose".
Scoppia il “caso Palermo”: Borsellino dovette difendersi dalle accuse rivoltegli dal CSM (il procedimento fu anche chiesto da Cossiga, allora presidente). CSM che salomonicamente concluse con un ammonimento al giudice per l'intervista, ma non prese misure contro Meli (il successore di Caponnetto) o fece altro.

La convalida del maxi in Cassazione nel gennaio 1992, portò alla reazione dei corleonesi: l'omicidio di Salvo Lima, la prima trattativa (da parte di alcuni politici siciliani, che incaricano uomini dei servizi per contattare i boss per fermare i sicari).

Borsellino viene a sapere di Capaci mentre è dal barbiere: Falcone gli muore dalle mani, e da quel momento capisce quanto sia rimasto da solo.
Inizia  qui il tradimento di Borsellino, l'uomo solo: chiede di essere ascoltato dai magistrati di Caltanissetta che indagano sulla strage e non verrà mai contattato. Il CSM gli nega “gentilmente” il trasferimento a quella sede, per seguire in prima persona le indagini, perchè troppo coinvolto.
Il ROS avvicina Vito Ciancimino per cercare di aprire una trattativa, e Borsellino lo viene a sapere quasi per caso da Liliana Ferraro (il successore di Falcone al ministero).

È stato ucciso per questo? Per non intralciare la trattativa?
Il pentito Mutolo gli confida alcuni nomi di importanti personaggi delle istituzioni a disposizione di Cosa Nostra: tra questi il numero tre del Sisde, Bruno Contrada, 'u dutturi.
Contrada è proprio l'uomo che incontra al Viminale, chiamato dal neo ministro Mancino il 1 luglio: “vedo la mafia muoversi in diretta” confida al figlio.
Capisce di essere un uomo morto:
“Non sarà la mafia ad uccidermi ma saranno altri. E questo accadrà perchè c'è qualcuno che lo permetterà. E tra quel qualcuno, ci sono anche miei colleghi ..”.
Il 19 luglio, un'altra autobomba esplode in via D'Amelio (il questore e il prefetto in seguito saranno cacciati per non aver bonificato la zona): muore Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina.

Sparisce l'agenda rossa (come l'agenda elettronica di Falcone, come l'archivio di Dalla Chiesa, come la relazione di Pio La Torre). Da Roma arriva un funzionario della polizia che risponde solo al ministro, che con la sua squadretta porterà alla pista Scarantino.
Troppo tardi scopriremo che era tutto inventato....
La trattativa andrà avanti, con altri interlocutori: Riina e i suoi “macellai”, possono finire dietro le sbarre.

L'ultima intervista di Borsellino, dove parla di Mangano, Dell'Utri e cavalli ..


Uomini soli, Pio La Torre
Uomini soli, Giovanni Falcone

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