17 settembre 2012

Lucarelli racconta - giornalisti nel mirino (prima parte)

Quattro storie (e un prologo) di giornalisti finiti nel mirino delle mafie: minacce, telefonate, pressioni. Il prezzo da pagare (per qualcuno anche la vita) per l'aver voluto scrivere senza nessun filtro, senza nessuna limatura al pezzo, della mafia, dei suoi rapporti con la politica, con l'imprenditoria. Del suo controllo del territorio.
Giornalisti nel mirino che si sono permessi, con i loro articoli dettagliati in cui si facevano nomi e cognomi e dove si chiamava col loro nome questo tumore che sta uccidendo il sud (e anche tutto il resto del paese): mafia.

Giornalisti un pò pazzi.
Come lo era Cosimo Cristina, il giornalista pazzo perchè col suo giornale "Prospettive siciliane" (uscito nel dicembre 1959) si permetteva di scrivere di cronaca giudiziaria, e dunque delle cosche mafiose della zona di Caccamo e Termini.
Era un giornalista coraggioso, con la passione per il giornalismo, il voler andare a caccia delle notizie, andare a fondo sui perché.
Non si fermò alle prime minacce, cui seguì la morte, il 3 maggio 1960.
Morte che fu seguita, come per altri cadaveri eccellenti, dall'ingiuria, dal fango.
Non è stato ucciso per per mafia, ma si è suicidato. Anche se, guardando il cadavere, qualcosa non torna. Ma erano gli anni 60, la polizia preferì seguire la pista del suicidio.
Cosimo Cristina, il pazzo, che morì due volte, ma tornò a vivere (come successo per altri eroi, vittime della mafia) nella memoria di altri colleghi.

Giuseppe Fava è invece stato un intellettuale: non solo giornalista, ma anche sceneggiatore, conduttore di trasmissioni radiofoniche. Produsse per la Rai un'inchiesta in 6 puntate sulla Sicilia, "I siciliani".
Scriveva di Catania, la città dove si costruiva in fretta, dove c'erano più auto che nel resto della Sicilia. Ma dove dietro tutto questo boom c'era la mafia, l'imprenditoria mafiosa, le istituzioni colluse.
Come la famiglia di Nitto Santapaola, che aveva preso il posto dei Calderone.


Come i quattro cavalieri dell'apocalisse, Costanzo, Rendo, Greci e Finocchiaro. Questori e prefetti che erano in rapporti con questi.
Pippo Fava scriveva di questo, del cugino del bos Ferlito assessore al comune, della guerra tra cosche, del traffico di droga, sulla procura di Catania.
Prima su il giornale del sud, finchè gli editori lo permisero, poi, con la sua redazione di giovani giornalisti, su I siciliani, nel 1982.

Nel 1983, ospite della trasmissione Film dossier di Biagi, spiega che "i mafiosi sono banchieri, ministri, sono quelli ai vertici delle istituzioni".

Fu ucciso il 5 gennaio 1984: a deciderlo fu il boss Santaopaola. Ucciso due volte, la prima con le pallottole, la seconda con le parole.
Quelle del deputato andreottiano Nino Drago "stiamo attenti a parlare di mafia, altrmenti i miei amici svuotano le fabbriche e le spostano altrove".
Ucciso due volte ma le sue parole, il suo ricordo è ancora vivo.

Arnaldo Capezzuto ha pagato con minacce il suo voler raccontare il processo a Napoli, per la morte di Annalisa Durante. Uccisa a Forcella nel marzo 2004, uno dei quartieri di Napoli, durante una sparatoria tra esponenti del clan Giuliano e del clan subentrante Mazzarella.
Sulle colonne del quotidiano Napolipiù raccontava del processo, delle intimidazioni dei clan ai testimoni.
A Forcella, per quella morte, ancora più assurda, c'era stata la rivoluzione: per una volta, i familiari della vittima non avevano chiesto vendetta alla camorra. Il padre di Annalisa chiedeva giustizia, chiedeva allo Stato di fare giustizia.
Chiedeva che 'o russo, Salvatore Giuliano (colui che sparò ad Annalisa), pagasse la sua colpa, che la scuola del quartiere aprisse, che la legge fosse rispettata anche a Forcella.

Il processo finì con la condanna di Salvatore Giuliano, con la condanna successiva al padre del le minacce al giornalista.
Ma Napolipiù è chiuso dal 2009.
Il parroco, uno dei promotori della primavera, don Merola, è stato spostato.
E a Forcella c'è ancora la camorra e la droga.

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