21 settembre 2012

Questione cromatica


A questo punto credo che sia solo un preblema di percezione cromatica.
Quell'ostinarsi a vedere la luce in fondo al tunnel e la ripresa nel 2013.

Quel credere ciecamente che sia sufficiente avere gli indicatori economici in positivo, andare avanti con la politica dei tagli verso i più deboli (come quei 200000 pensionati che si vedranno richiedere indietro i soldi della pensione dall'inps il cui presidente siede su 15 poltrone) per uscire dalla crisi.

Forse il paese, visto da un'altra prospettiva, assume tutta un'altra connotazione.
Magari raggiungeremo il pareggio di bilancio nel 2013.

Ma poi le aziende della Fiat rimarranno in cassa integrazione (e mi chiedo cosa si diranno il manager e il professore al prossimo incontro).
L'Alcoa chiuderà la produzione e in Sardegna sarà ancora più dura.
L'Ilva di Taranto, dove si continua a produrre e inquinare, lascerà a casa qualche altro migliaia di lavoratori.
E tutte le altre migliaia di situazioni di crisi per aziende più piccole (ma non meno importanti per il territorio, come la Tamburini di Carugo dalle mie parti).

Da una parte tutto uno sfilare di piani, di proposte, di cifre tabelle e istogrammi: il piano giustizia, il piano crescita, il piano carceri, il piano per la scuola, la riforma della sanità, il concorsone (che mette alla porta i precari).
Tutte proposte che prontamente finiscono sui giornali, per poi essere dimezzate in Parlamento (e non è colpa di Monti, ovviamente). Oppure lasciate ad ammuffire nelle commissioni.
Da quanto tempo aspettiamo una vera legge sul conflitto di interessi? Una legge sulla corruzione (che metta fuori dal parlamento i corrotti)? Una sforbiciata (ora, non alla prossima legislatura) dei costi della politica?
Per controllare i costi dei partiti si può aspettare.
Per la riforma del lavoro e delle pensioni va fatto in fretta.
L'Europa lo chiede.

Ma come lo si spiega all'Europa, ai mercati (se mai ai mercati interessa qualcosa) un caso come quello del Lazio? O della Sicilia, della Lombardia ...
Arriveremo ad una spending review nelle regioni?

Mettetevi nei panni di un consigliere regionale: due anni fa ha speso magari uno o due milioni per farsi eleggere e guadagna dai 7,5 ai 14 mila euro netti al mese, più rimborsi vari. Per rientrare dei costi della campagna elettorale, e guadagnarci, non gli bastano cinque o sei consiliature complete. Figurarsi un biennio. Dunque, o è un missionario, oppure arrotonda, cioè ruba. E rubare non è solo versare i rimborsi pubblici sul proprio conto, come faceva quel neofita di Fiorito: è anche ingaggiare come consulente o membro dello staff chi ha lavorato alla campagna elettorale; è favorire negli appalti le aziende che l’hanno finanziata, specie nella sanità, magna pars del bilancio regionale; è farsi pagare ferie, viaggi, pranzi, cene, barche, auto, vestiti, squillo; è gonfiare le note spese di rappresentanza o di trasferta o dei convegni; è inventarsi trasvolate diplomatiche; è moltiplicare le commissioni e i comitati, con gettoni di presenza incorporati; è creare gruppi consiliari sempre più piccoli, anche formati da uno solo, per estrogenare i rimborsi. Perciò il ritorno alle urne, con altre spese da far rientrare e il rischio concreto di non essere rieletto è una prospettiva terrificante, per il consigliere medio. Ieri, per dire, un nostro cronista ha chiesto conto ai capigruppo di tutti i partiti in Lombardia sulla destinazione dei rimborsi: qualcuno ha invocato la privacy, altri l’han cacciato in malo modo, mancava poco che lo menassero. E c’è da capirli: il tesoro è talmente appetitoso da esigere una guardia arcigna, impermeabile a qualunque controllo democratico. A cinque anni dal boom de La Casta di Stella e Rizzo e dal V-Day di Grillo, dopo gli scandali Penati, Belsito, Formigoni, Tedesco e migliaia di solenni dichiarazioni, annunci e promesse sui famosi “tagli ai costi della politica”, un consigliere regionale ci costa 750 mila euro l’anno. Solo per mantenerlo, si capisce. Al netto degli arrotondamenti: la tassa occulta degli sprechi e della corruzione, che non si vede ma si paga. I soloni che s’interrogano sul successo tumultuoso di 5 Stelle non hanno ancora capito che molto dipende dal fattore soldi. E non sembra averlo capito nemmeno lo staff di Matteo Renzi, che risponde alle domande del Fatto su chi finanzia il tour delle primarie con imbarazzanti e imbarazzati “vedremo”, “pagheremo”. Ma quando? E come? E questa sarebbe la “nuova politica”? Cominciamo bene.
[Polverini di stalle - Marco Travaglio, Il fatto del 21 settembre]

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