14 gennaio 2013

Ladri di calcio - le mani della criminalità

La seconda parte del servizio di Presa diretta sul calcio scommesse: i rapporti tra criminalità e gioco del calcio. Scommesse, ma anche controllo del territorio: da Il fatto quotidiano del 13 gennaio 2013
Salvatore Aronica “terzino d’onore”
NON SOLO SCULLI. STASERA A “PRESA DIRETTA” I RAPPORTI TRA IL DIFENSORE E LA ‘NDRANGHETA
di Federico Ruffo
   Posso farti vedere i filmati, così capisci che non ti racconto
storie”. Sparisce dietro la porta della camera da letto e inizia a
frugare nei cassetti dell’unico armadio. Ci promette di tornare con le
prove che alcuni calciatori di Serie A sono in rapporti stretti con
esponenti della ’ndrangheta.
   Non dovrebbe essere una ricerca lunga, di mobili nell’abitazione
che gli ha assegnato il ministero dell’Interno ce ne sono pochi e di
suoi non ne ha potuti portare. La notte stessa in cui ha deciso di
pentirsi, Luigi Bonaventura è stato trasferito lontano da Crotone
senza passare da casa. Quando sei il capo mandamento della cosca
Vrenna-Bonaventura, devi diventare invisibile prima che i tuoi
capiscano che hai tradito. La mattina dopo anche sua moglie e i suoi
figli erano lontani, pochi vestiti, niente effetti personali, qualche
foto e due filmati.
   Quando torna dalla camera ha in mano due nastri, ma prima ci
racconta tutto il resto. “Il calcio in Calabria è quasi tutto
controllato dalla ‘ndrangheta, ci sono decine di squadre controllate.
Non è per una questione di soldi, ma di potere. Senza il calcio non
diventi istituzione, non diventi antagonista allo Stato, non crei
consenso popolare, quel consenso che ti crea un serbatoio di voti che,
al momento giusto, puoi dirottare su chi ti fa comodo. A questo
servono le squadre in Calabria: a esercitare controllo”.
   GNE GNE, come lo chiamavano i suoi uomini, sa quello che dice
quando parla di calcio secondo i magistrati, tanto che a fine novembre
lo hanno ascoltato anche a Bari in merito al filone del calcio
scommesse. Per più di 10 anni di questo si è occupato a Crotone:
calcio e ‘ndrine. “Fu mio zio Pino Vrenna a volerlo. Quando mi scelse
come suo erede, decise di spostarmi dalla gestione dello smaltimento
dei rifiuti all’Fc Crotone, che era stata comprata da mio cugino
Raffaele Vrenna. Mi nominarono responsabile della security”. Dal 1994
a oggi il Crotone passa dai dilettanti ai vertici della Serie B,
un’ascesa costante, a cominciare dallo spareggio promozione per la C2
del 1997 contro il Lo-cri, controllato dal clan Cordì: “Comprammo la
partita, è cosa nota nell’ambiente. Per 400 milioni di lire e una
partita di kalashnikov. Non tutti erano d’accordo tra i Cordì, tanto
che nel-l’intervallo qualcuno di noi fu costretto a tirare fuori il
coltello, alla fine però, andò come volevamo noi”.
   Passano 7 anni ed è di nuovo promozione, stavolta in Serie B. Nella
semifinale dei play off il Crotone affronta il Benevento. “Imponemmo
la partita a suon di schiaffi. Li aspettammo quando scesero dal
pullman e cominciammo a malmenarli. Botte e minacce negli spogliatoi,
in campo. Mandammo un messaggio ai dirigenti e ci lasciarono vincere.
Il presidente del Bene-vento ci andò a denunciare, anche in tv. Ci
pensai io a far sparire la denuncia”. Ci vede perplessi, sorride:
“Sono tante le cose possibili in questo paese. I miei erano
preoccupati, erano stati riconosciuti e identificati. Chiamai Raffaele
(Vrenna, ndr) e lui mi disse di stare tranquillo “È cosa nostra, già
risolta”.
   “Il mio ruolo era questo, mi preoccupavo che tutto andasse bene.
Spaventavo gli ultras quando erano agitati, le denunce, le partite da
addomesticare e i biglietti da inviare alle altre cosche. Prendete
Crotone-Juventus, quando la Juve era in B, pensate che la ‘ndrangheta
non ci fosse in quello stadio? C’era eccome! La ‘ndrangheta pesante,
quella che conta! Inviai personalmente i biglietti ai boss e nessuno
si accorse di nulla”. Gestivamo tutto, mi ripete, anche i calciatori
“vicini” e le loro carriere .
   “Ci sono carriere accompagnate, trattamenti di riguardo per chi è
vicino alle famiglie, si fa in modo di mandarli a giocare lontano per
avere dei referenti in altri club, in questo modo puoi avvicinare
grandi nomi e realtà che altrimenti non potresti contattare”.
   Sullo schermo iniziano a scorrere le immagini di un giovane
Bonaventura il giorno del suo matrimonio, nel 2000. Il principe
designato a guidare la cosca vestito di tutto punto. Meno di 200
selezionatissimi invitati. Parenti stretti, uomini d’onore finiti in
carcere o al camposanto. Poi arriva Salvatore Aronica, difensore del
Palermo, fino a gennaio in forza al Napoli. “200 invitati sono niente
per un matrimonio di ‘ndrangheta, hai idea di quanta gente ho lasciato
fuori? Aronica era l’unico calciatore presente”.
   Sul perché Aronica sia al matrimonio del boss, Bonaventura non ha
dubbi: “Aronica era accompagnato dalla cosca dei Vitale di Palermo,
coi quali ero stato in carcere a Crotone. Gli dovevamo un trattamento
di riguardo. Lui quel giorno veniva a portare rispetto, era un modo
per far sapere a tutti che stava con noi. Facendosi vedere a quel
tavolo suggellava un patto tra noi e la mafia”.
   QUELLO tra Aronica e il boss sembra un rapporto che dura nel tempo.
Nuovo nastro, data diversa. Due anni dopo si festeggia il compleanno
del primogenito di Bonaventura: “Nel mio locale! Sapevano tutti che
era un ristorante della ‘ndrangheta”. Aronica arriva a metà festa,
prende in braccio il bambino, c’è confidenza col boss, scambiano
battute, sorridono. Non è la prima volta che il nome di Aronica
finisce accanto a quello di un boss. Sul registro degli indagati
“lucchetto palermitano” (come lo chiamano i tifosi) compare nel 2009:
ce lo scrive AntonioIngroia, dopo che il pentito Marcello Trapani gli
racconta di una combine voluta proprio dalla mafia nel 2003, quando
Aronica gioca con l’A-scoli. Il Palermo cerca di tornare in Serie A, i
Lo Piccolo vogliono facilitare la promozione e, secondo il racconto di
Trapani, pagano 200 mila euro ad Aronica e ai compagni Vincenzo
Montalbano e Franco Brienza, per perdere. 3 a 0 per il Palermo,
l’allenatore Bepi Pillon, che forse ha odorato qualcosa, lascia i 3 in
panchina. I fatti però sono vecchi di 6 anni, Ingroia archivia vista
l’imminente prescrizione. “Peppe Sculli era diverso, lui nasce già
vicino ai clan, è il nipote di Peppe Morabito (detto U Tiradrittu,
considerato per un quindicennio il capo assoluto della ‘ndrangheta),
con lui si parlava tra pari, ci capivamo al volo. Si vendette una
partita mentre era con noi al Crotone. Vero: nel 2002 viene accusato
di aver venduto la partita tra Crotone e Messina (2 a 1 per gli
isolani) e squalificato per 8 mesi. Lo incastrano le intercettazioni.
Alla fidanzata che gli chiede di un calcio di punizione battuto da lui
e non dallo specialista, risponde: “Se batteva lui, amore, facevamo
gol e io perdevo, invece c’era un vento, un “ventello” amore... Ti
compro un bel telefonino”.
   Finisce il nastro, tv nera. Restiamo a chiederci nello sport più
bello del mondo cosa sia ancora vero e cosa no.

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