29 novembre 2013

Una stella incoronata di buio, di Benedetta Tobagi

Una stella incoronata di buio, di Benedetta Tobagi.
Storia di una strage impunita

Sono qui con voi, perchè sia voce
La mia dentro le vostre
Voce dimenticata
E l'assolata fantasia dei vostri anni
La forza che reclama da ogni radice il frutto
Salvata intatta nel vostro guardare gli uomini

Questo pensarvi vivi, liberi e scalzi
Le tasche piene di sassi, la memoria di voi
Che trema in noi
Come una stella incoronata di buio
Pierluigi Cappello

Strage di piazza della Loggia: cinque istruttorie, per dieci gradi giudizio, l'ultimo di cui si è celebrato l'anno passato alla corte di Appello di Brescia, con l'assoluzione di tutti gli imputati. Un generale dei carabinieri dalla strabiliante carriera, un politico di estrema destra e un medico di Venezia.
Come tante altre stragi della nostra storia, anche quella di Brescia (8 morti e decine di feriti) rimane senza colpevoli. Senza nessuna verità giudiziaria cui aggrapparsi, da parte dei parenti delle vittime.
Ma questa strage, così come le altre, non è solo una questione giudiziaria: è anche un racconto delle vite delle vittime, delle loro vite, delle loro passioni. Ogni morto porta con sé la sua “valigia”, per il suo viaggio nella vita, così come ogni sopravvissuto porta con sé il dilemma, il rimorso per essere vivo.
Il bel libro di Benedetta Tobagi è un lungo racconto della strage in cui si cerca di andare oltre il solito discorso sui processi, le piste, le dietrologie, le “solenni ovvietà” di cui parla Gherardo Colombo tirate fuori ad ogni ricorrenza. Un tentativo di andare al di là di una verità putroppo incompleta, per evitare che questa strage diventi solo un luogo e una data.
Piazza Fontana, Milano, 1969.
Piazza della Loggia Brescia, 1974.
Italicus, 1974.
Bomba alla stazione di Bologna, 1980.
Ustica, 1980.
Strage Capaci, 1992.
Cia D'Amelio, 1992.

Benedetta ci racconta le vite dei personaggi di questa storia, i buoni e i cattivi come anche quelli che sono rimasti a vedere: a cominciare da zio Manlio Milani, marito di Livia, una delle vittime della bomba:
Fino in fondo è il titolo che sceglierei per la biografia di Manlio. La locuzione torna come un leitmotiv nei discorsi che ha pronunciato nel corso degli anni, ma la utilizza spesso anche chiacchierando normalmente. Gliel'ho sentita usare la prima volta quando l'ho intervistato per un documentario, poco tempo dopo averlo conosciuto. Parlando con trasporto, disse: «Abbiamo bisogno di approfondirla fino in fondo, la nostra storia, di far emergere tutta la verità storica di quegli anni» - gli anni settanta ovviamente. [..] Mi piacque il modo in cui Manlio salvata a piè pari i richiami rituali alla verità e giustizia ed evitava espressioni generiche (dunque vacue) come «dovere della memoria» e tutto un certo apparato retorico d'occasione..
pagina 60
Manlio e Livia si sono conosciuti sul treno per Milano, lei reduce da una lezione all'università, lui dopo di ritorno dal capoluogo con un amico: il classico colpo di fulmine. Lui impegnato nel partito ma soprattutto col sindacato, lei insegnante amante della poesia. Una di quelle tante ragazze che vedevano nello studio un modo per emanciparsi come donne. Una emancipazione che alla generazione precedente era stata esclusa, sia per colpa della guerra che per la mentalità vigente.

Manlio e Livia che si scambiano lettere, che vanno a visitare la casa del Gattopardo, che volevano fare un viaggio a Cuba. Livia che studia anche per Mario, costretto ad andare a lavoro fin da piccolo:
Mi dici sempre «ho voglia di fare». Credo di essere orgogliosa di te in quei momenti, gli aveva scritto un anno prima. L'altro giorno dicevi che tutto quello che hai avuto, hai dovuto conquistarlo. Ti ho proposto di studiare insieme perché mi sembrerà di partecipare alle lotte che condurrai. La Laurea per Livia appartiene a tutti e due. Sposandosi hanno suggellato anche questa promessa.
Pagina 76
Ci sono tante ministorie dentro la strage: storie di persone cui la follia terrorista (ma non solo) ha interrotto bruscamente: in piazza, il 28 maggio 1974 c'era un'intera generazione che voleva cambiare il paese.
Dal diario di Alberto Trebeschi, insegnante come Livia, come Clem:
Ritengo che si possa veramente portare innanzi la lotta per una società migliore, più giusta e più colta, passando attraverso le battaglie con la decisione che può nascere soltanto dalla consapevolezza di contribuire a una causa profondamente umana e giusta. Io cerco di dare tutto ciò che è nelle mie possibilità, ben consapevole dei miei limiti angutissimi, ma altresì orgoglioso di poter collaborare ad una lenta ma continua trasformazione della società verso il riconoscimento dei veri valori ideali e sociali”.
Pagina 125
La bomba, o sarebbe meglio dire le bombe del 1974, interrompono tutto questo: ci hanno privato di questo slancio emotivo dentro i partiti di sinistra, dentro il sindacato (Livia e le sue amiche Clem e Giulietta era impegnata nella Cgil scuola, per arrivare ad una istruzione aperta a tutti). E' un anno importante il 1974: ogni strage segna nella nostra storia uno spartiacque. Un prima distinto da un dopo, anche si fa fatica a comprendere le vere motivazioni, il cui prodest (per i molti risvolti causati dalla strage).
C'è la fine dell'amministrazione Nixon e dei tentativi di Golpe. Ci sono i gruppi di estrema destra, armati fino ai denti, che inseguono ancora il golpe per una svolta autoritaria del paese. Gruppi neofascisti che cercano, con quelle bombe, di fare una fuga in avanti, in disobbedienza ai loro referenti nei servizi, negli organi dello Stato che per anni li hanno protetti e coperti.
Infine, Brescia rende più indigeribile, per i militanti comunisti, il compromesso storico: lo sanno tutti che quella bomba è fascista. Che i fascisti sono stati protetti dal Sid (il servizio segreto), dall'arma dei carabinieri, dalla polizia. Organi che prendono ordini dall'esecutivo democristiano:
Il 1974 marca una cesura netta, non solo nella loro vita e in quella della città. Per il sindacato, nonostante lo strapotere apparente, comincia una lenta, inesorabile autolisi. La crisi economica pesa, ma i ritardi culturali saranno fatali. La sinistra istituzionale si avvita su se stessa, il Pci si logora nella mediazione tutta politica e istituzionale con la Dc e abbandona a se stessa la pressante domanda di cambiamento che monta sempre più forte dalla società. A Brescia è la bomba a troncare ogni stagione di speranza. Sul resto del paese, calerà ad asfissiarla lo sfacelo del terrorismo rosso.
Pagina 147
Il lungo viaggio dentro il neofascismo.
Chi sono i neofascisti, come sono stati protetti dallo Stato, quali obiettivi si prefissavano con quelle bombe (piazza Fontana e le bombe sui treni, e poi le bombe della stagione 1973-74, da Brescia all'Italicus)?

Una stella incoronata di buio affronta tutti questi temi: leggendo i capitoli dedicati all'eversione nera, alla Brescia industriale molto restia ad accettare le richieste dei sindacati (e di riflesso, molto favorevole ad una svolta autoritaria che queste richieste avrebbe affossato), al “granchio d'ombra sulla terra”, al capitolo su depistaggi e omertà istituzionali, quale sia stato grande lavoro di ricerca svolto da Benedetta Tobagi.
Un lavoro che mette a nudo l'ipocrisia dei militanti e dei politici di estrema destra, ovvero di destra (in Italia non abbiamo mai avuto una destra moderata), del MSI. Che non sono mai stati capaci di fare i conti con la propria coscienza, non hanno mai voluto tirare fuori i propri scheletri dagli armadi: le stragi?
Colpa dei servizi, ti dicono gli ex terroristi.
Come se Ordine Nuovo e poi Ordine Nero, Avanguardia Nazionale, La Fenice, Le Sam di Fumagalli le armi e gli esplosivi li tenessero solo per difesa. O per sport.
Come se non esistessero le prove dei loro coinvolgimenti dentro le stragi, manovrati o istigati da quello stato che avrebbe dovuto proteggere i cittadini e difendere la Costituzione. E che invece hanno saputo proteggere una distorta ragione di stato, in nome di un anticomunismo che ha permesso tutte le nefandezze:
Dire «le stragi le hanno fatte i servizi», a sottintendere che il terrorismo di destra di destra non c'entra, è una comoda scappatoia. Senz'altro è vero, e alcuni ex terroristi l'hanno raccontato, che la galassia della destra eversiva si è sentita usata e poi scaricata dai padrini nascosti nelle forze di sicurezza statali, quando fu evidente che l'«ora X» del colpo di Stato non sarebbe mai arrivata, perché allo status quo bastava l'intentona. Ma è troppo comodo, da parte di chi militava in quel mondo, proclamare la propria estraneità sulla base del seno di poi, l'evidenza che le stragi hanno stabilizzato il potere in senso neocentrista. I servizi erano coinvolti in una partita giocata dalla destra eversiva. Ci hanno creduto davvero, e a lungo, i camerati che a furia di botti e attentati, sarebbero riusciti a innescare una svolta autoritaria.
Pagina 288
Le responsabilità della destra radicale le racconta l'ex militante di Ordine Nuovo Vincenzo Vinciguerra:
«E' ben chiara l'area a cui vanno riferite le scelte e le operazioni di strage, comprese quella di Brescia. Per quanto in mia conoscenza, tale area va individuata, e non ho alcuna difficoltà a farlo, nel gruppo di Ordine Nuovo – senza distinzioni, notare, tra “centro studi” e “movimento politico”, - collegato con ambienti di potere e apparati dello Stato».
Pagina 289
Della pericolosità di questa destra ne parla Aldo Moro: il ventre profondo dello Stato che mette assieme nostalgici del fascismo, vertici militari (ma anche la magistratura) cresciuti nel ventennio, un mondo industriale poco incline a dare una risposta alle rivendicazioni salariali e dei diritti. Un partito di massa, la Democrazia Cristiana, costretta a rimanere al governo per colpa della guerra fredda che impedisce di fatto, un'alternanza politica (e una depurazione dei politici di governo):
Pensava a tutto questo Aldo Moro, quando nel 1973 constatava amareggiato quale ingombro insuperabile all'evoluzione del paese rappresentasse la «vera destra», «sempre pericolosa per la sua carica reazionaria, per la minaccia che reca inevitabilmente – lei sì - all'ordine democratico», una destra che ha «un peso di gran lunga maggiore di quello che risulta dalla consistenza dello schieramento politico e parlamentare che a essa si richiama» cioè il MSI, ma ha una forte capacità di condizionare i vertici civili e militari dello Stato, anche in virtù del fatto che essi sono ancora capillarmente innervati di personale che, ben prima di iscriversi alla P2 o entrare nella Rosa dei Venti, semplicemente si è formato sotto il regime fascista. E agisce di conseguenza. Questo ventre profondo dello Stato è il comprimario delle stragi e degli altri crimini impuniti contro i cittadini. Per molti fedeli servitori non si tratta di complicità con l'eversione: sono convinti di fare il proprio dovere, obbedendo ad una ragion di Stato posta al di sopra della Costituzione, tanto quanto gli ex partigiani Sogno e Fumagalli.
Pagina 207
Il cui prodest della bomba (o delle bombe), che aiuta a chiarire quello che è stato il contesto in cui sono maturate le stragi, è da ricercare negli avvenimenti che sono accaduti nella seconda metà degli anni settanta: il sorpasso mancato del partito comunista
La bomba non fa che approfondire la spaccatura. Manlio mi spiega che dietro al netto rifiuto, suo e di tanti compagni, della prospettiva del «compromesso storico» c'era proprio il sentimento dell'impossibilità di governare insieme alla forza politica che di fatto ha avallato per anni le coperture agli stragisti. In questo senso, la bomba ottenne l'effetto auspicato da molti golpisti di rendere più difficile il consolidarsi di una prospettiva del compromesso cattocomunista verso cui tende la «repubblica conciliare», come la definiscono con sarcasmo i missini.
Pagina 215

Tra il 1973 e il 1974, quando Ordine Nuovo viene messo fuori legge, l'area di cui parla Vinciguerra subisce un'ulteriore mutazione. La strage di Brescia matura in questo contesto, nel cuore di una destra radicale che indossa nuove maschere ma che ha sempre lo stesso scheletro. Una rete di ragazzi e di uomini ormai ben addestrati e pronti a tutto, perché non hanno davvero niente da perdere,e sono carichi di esplosivo fino ai denti.
Hanno cominciato ad accumularlo fin dagli anni sessanta. Anfo, plastico, tritolo, gelignite, dinamite in pacchetti, cilindri, mattonelle, scaglie, granuli scuri, perle rosate, candelotti, trasportato in valigie, immagazzinato in santabarbare, garage, armadi, sottoscala, appartamenti, ristoranti, chili, quintali, tonnellate. Un fiume di esplosivo scorre per anni inosservato lungo la traccia pulsante di arterie nascoste che irrora tutto il paese, il vero granchio d'ombra, il più pericoloso.
Pagina 290
I despitaggi
Come si è arrivati all'assenza di colpevoli, a processi durati anni, alle assoluzioni per insufficienza di prove, alle false piste, come il mostro Valpreda, il mostro Buzzi, colpevole nella prima istruttoria partita dalle indagine “forzare” del capitano Delfino?
Non c'è stato bisogno di opporre il segreto di Stato. E' stato sufficiente non passare le informazioni alla magistratura, come ha fatto il Sid (su input dei suoi referenti politici, come Andreotti) con la magistratura di Brescia, consentire che certe piste investigative (come quella del neofascista Cesare Ferri) finissero in secondo piano. E poi il tempo: che rende più difficile il vaglio delle prove, il confronto dei testimoni che dimenticano, non si ricordano più bene.
Ogni anno sui muri di Brescia, in ricorrenza con la strage, venivano appesi dei manifesti in cui si chiedeva conto del silenzio, sui responsabili:
Dietro il silenzio c'era Maletti. C'era Del Gaudio. C'erano i «plurimi atti abusivi» di Delfino.
Dietro il silenzio c'era non un gruppo, ma un grumo di potere, come lo definisce il giovane Andrea [un avvocato della parte civile] nella sua arringa. Qualcosa che blocca e ostruisce il funzionamento dello Stato e della giustizia secondo le regole costituzionali. Il vero segreto di Stato era il silenzio. Lo è ancora. Ma questo silenzio è possibile romperlo senza bisogno d'interventi dell'esecutivo. Sta tutto scritto in documenti accessibili al pubblico.
Seduti sulle macerie della storia, bisogna avere il coraggio di fissare l'abisso, fino in fondo, come dice sempre Manlio, cercando le radici da estirpare. Di solito si parla di «deviazioni» all'interno dei servizi segreti e delle altre forze di sicurezza. Espressione rassicurante, ma inesatta, quanto le grida a indirizzo del «segreto di Stato». Come si fa a parlare di «deviazioni», quando sono coinvolti i vertici del Sid? Quando le attività di copertura, di protezione, di inquinamento probatorio a opera dei carabinieri si ripetono in modo sistematico?
Pagina 377
E' vero, non abbiamo i nomi. Ma sappiamo tante cose: il duro lavoro di Manlio è stato anche questo. Impedire che il tempo cancellasse la memoria delle vittime e che facesse cadere nel dimenticatoio questa strage. Se anche non sono più perseguibili dal punto di vista giudiziario, deve rimanere viva la memoria storica su questi fatti:
«Non è più tempo di ripetere “io so, ma non ho le prove”, - osserva Manlio dopo l'ultima sentenza -. Oggi è il contrario: abbiamo moltissime prove». Sapiamo del contesto delle dinamiche, dei gruppi. Non sappiamo i nomi degli esecutori, ma conosciamo quali meccanismi ci hanno impedito di incastrarli, e in taluni casi anche chi li ha messi in moto. Sappiamo cos'hanno fatto Gian Adelio Maletti a Manlio Del Gaudio [ufficiali del Sid, entrambi iscritti alla P2]. Conosciamo gli effetti dei «plurimi atti abusivi» consumati da Francesco Delfino [capitano dei carabinieri, investigatore della rima falsa pista Buzzi]. È assai meno suggestivo, ma indispensabile, confessare ciò che non possiamo sapere, e al tempo stesso esercitare un paziente vaglio critico per non lasciar affondare nel mare dell'indistinzione quanto invece possiamo argomentare con persuasività, se non affermare con certezza. È tempo di lasciarsi alle spalle l'incantesimo di Pasolini.
Pagina 407
E poi:
Di tante cose abbiamo le prove. Con l'ultimo processo resta accertato che Maggi ricopriva un ruolo apicale nel gruppo di Ordine Nuovo, già parzialmente rigeneratosi nella struttura clandestina di Ordine Nero e sigle affini, la cui pericolosità è ben nota e provata. Stava lavorando al suo rafforzamento per portare avanti una strategia stragista, come confermano, scrive la Corte d'assise d'appello bresciana del 2012, «numero e significativamente concordanti dichiarazioni testimoniali». Sappiamo che nel 1974, l'anno in cui accadono due stragi e vengono a galla almeno tre trame golpiste, Maggi e i suoi sodali volevano fare proprio le stragi, per arrivare al colpo di Stato. Avevano la volontà, gli esplosivi, le competenze e gli uomini per mettere in atto il loro programma, e godevano della disattenzione degli uomini del Sid. Sappiamo che Maggi era ben noto ai servizi come soggetto assai pericoloso, sin – almeno – dal dicembre del 1973. Ma non sarà mai lambito da inchieste o indagini, fino al 1982. La bomba passata per le mani di Digilio e Soffiati rimanda all'ideazione della strage di piazza della Loggia agli uomini della galassia di Ordine Nuovo, ancora una volta, come quella di piazza Fontana.
Pagina 409
Questo libro non è solo un racconto sulla strage, le vittime e i carnefici: la volontà di Manlio, superato lo choc, è stata quella di dedicare la vita “al tentativo di continuare a dare voci a queste morti e quindi a ricercare la verità sui fatti”. L'impegno dentro “La casa della memoria”, gli incontri con studenti e altri incontri pubblici, anche con persone che stavano dall'altra parte della barricata (come Casapound).
Con questo lavoro, coscienzioso, ha voluto preservare la memoria delle vite offese, “affinché il fuoco vitale che accese le loro vite non si spenga per sempre”, per “ottenere una giustizia che possa essere patrimonio per tutti”.

Una stella ha forse ancora luce ..
Altri post su questo libro:
L'Italia delle stragi - http://unoenessuno.blogspot.com/2013/11/litalia-delle-stragi-benedetta-tobagi.html
Cos'è questo golpe - http://unoenessuno.blogspot.it/2013/11/cose-questo-golpe.html

Il link al sito “La casa della memoria”.
Una stella incoronata di buio di Benedetta Tobagi, qui potete scaricare il primo capitolo.
La scheda sul sito di Einaudi, il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon


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