15 febbraio 2014

Banche e mafia, il grande affare di Davide Carlucci e Giuseppe Caruso

Banche e mafia, il grande affare: Come e perché gli istituti di credito aiutano le grandi organizzazioni criminali ad essere la prima azienda del Paese

Incipit
"Giovanni Falcone raccontava spesso che il destino di Boris Giuliano, il capo della squadra mobile di Palermo freddato dal mafioso Leoluca Bagarella nel luglio del 1979, si decise il giorno in cui entrò in una filiale della Cassa di Risparmio di Sicilia a chiedere informazioni su trecentomila dollari depositati da un certo signor Giglio. A rispondere alle domande di Giuliano, quel mattino, c’era il direttore dell’agenzia, il dottor Francesco Lo Coco, cugino di primo grado di Stefano Bontate, il principe di Villagrazia, al tempo boss dei boss di Cosa Nostra. I soldi che Giuliano stava seguendo erano stati depositati dallo stesso Lo Coco con il falso nome Giglio. Quei soldi appartenevano a Bontate. Giuliano era un uomo morto.
Raccontando questo episodio, Falcone voleva far capire come il rapporto tra criminalità organizzata e banche era, resta e certamente sarà il passaggio più importante e deicato per due poteri che spesso si sostengono a vicenda per arrivare allo stesso obiettivo: i soldi."
Seguite il denaro ... Falcone, e prima ancora Rocco Chinnici e Boris Giuliano si erano messi sulle tracce dei capitali mafiosi per combattere i boss della mafia. E le tracce del denaro li avevano portati all'interno dei quei "tempi sacri" che erano e sono le banche.
Falcone, che negli ultimi tempi stava seguendo una traccia dei capitali che passava dal sud al nord, è saltato in aria a Capaci. Rocco Chinnici è morto per una autobomba in via Pipitone. Boris Giuliano, lo sceriffo che si era messo in testa di scoprire le vie del riciclaggio mafioso dei proventi del traffico di droga, fu ucciso da Luchino Bagarella nel luglio 1979.
Pio La Torre, il segretario PCI fu ucciso anche per la sua proposta , poi diventata legge Rognoni La Torre, che prevedeva oltre all'introduzione del reato 416 bis (associazione mafiosa) anche la confisca dei beni per i mafiosi.

Questo ci dice quanto sia stategico per le organizzazioni mafiose il tema della difesa dei loro capitali.

Senza l'aiuto della politica, la mafia non sarebbe riuscita a penetrare così a fondo nel tessuto sociale ed istituzionale. Senza la tolleranza e le coperture e le connivenze vere e proprie, sarebbe rimasta una organizzazione criminale.
Ma senza l'aiuto delle banche, di banchieri infedeli, le mafie non sarebbero state in grado di conservare le loro fortune, di nasconderle al fisco e alla giustizia, persino di farle fruttare fino a renderle indistinguibili da capitali "puliti".
Il frutto del traffico di droga, dell'estersione e dell'usura.

Questo libro, che non vuole essere un attacco alle banche in generale, ma solo ai banchieri disonesti, mette però in evidenza questo legame tra banca e mafia. Prestiti e mutui concessi senza troppi controlli, senza chiedersi chi si nasconda dietro una certa impresa, come possa quell'imprenditore rientrare nel debito.
Il tutto mentre, in questi anni di crisi, i prestiti delle stesse banche ai comuni mortali e agil imprenditori onesti sono diminuiti di botto.

Quali le cause di questo intreccio perverso e come fare per contrastarlo?
I due autori ripercorrendo i 150 anni della nostra storia (dall’omicidio di Emanuele Notarbartolo presidente del Banco di Sicilia, alla vicenda della banda privata di Sindona) e, in particolare, vicende giudiziarie degli ultimi anni , cercano di dare una risposta a queste domande.
I limiti nel regolamento antiriciclaggio delle banche sono: scarsa collaborazione di istituti di piccole dimensioni e di filiali di banche estere, mancanza di uniformità tra gli ordinamenti europei, l'impossibilità per l'UIF (Unità informazione della banca d'Italia, l'organi che riceve le segnalazioni da parte delle singole banche) di accedere ad altri registri ad accedere agli organismi investigativi per approfondire le segnalazioni domestiche (mentre può farlo per le richieste delle UIF estere) , sanzioni troppo basse con troppa discrezionalità tra sanzione minima e massima.

Vediamo i capitoli del libro
Una vecchia storia: si parte dal racconto di Falcone su Boris Giuliano, nell'incipit: l'intreccio banche e mafia è uno dei motivi che ha portato al successo della criminalità organizzata nel nostro paese.
"Le quattro grandi mafie italiane, fatturano assieme 140 miliardi di euro all’anno, pari a circa il 9% del Pil italiano": tra le cause di questa enorme ricchezza, che mette a rischio la salute della democrazia, stessa vi è certamente la responsabilità delle banche. Per i limiti della legge dl 231 del 2007 (e gli accordi di Basilea): troppo blande le sanzioni, troppo complesso il meccanismo delle segnalazioni delle singole banche (che possono anche non fare alcuna verifica sui loro clienti, rischiando solo una sanzione), la ricerca del solo profitto da parte dei dirigenti degli istituti (senza tener conto di principi di etica e trasparenza).

Il risultato è che mentre le piccole imprese soffrono la crisi per la mancanza di liquidità, le imprese della mafia la crisi nemmeno la sentono. Colpa anche di un sistema bancario che è stato lasciato crescere troppo, diventando così, per il legislatore e per banca d'Italia, troppo difficile da controllare (se anche avessero veramente voglia).
Scrivono gli autori che "in Germania abbiamo banche nane e aziende giganti: in Italia banche giganti e aziende nane". E anche questo è un brutto spread.

- Banche e controllo del territorio "banche come lubrificante di ingranaggi difficili da muovere": Si parla del rapporto tra ndrangheta, mafia camorra e istituti di credito.
Rapporti dove il confine tra banchieri e criminale è veramente labile: specie nei piccoli paesi dove tutti si conoscono e non si può far finta di non sapere chi è la persona che ti sta di fronte e a cui stai prestando centinaia di migliaia di euro.
Nel capitolo si racconta la vicenda del boss Crucitti, in Calabria:
"Nell’ambito dell’inchiesta Raccordo-Sistema, il gup ha rinviato a giudizio quattordici persone, tra cui il boss Santo Crucitti, il direttore dell’agenzia della Banca Popolare di Lodi, Francesco Gullì, gli amministratori occulti della Planet".
- Come si accede al credito: "notabili e politici hanno spesso goduto di un trattamento di favore che a volte non aveva nulla a che vedere con la capacità di restituire i prestiti e con la trasparenza".

Secondo l'accordo di Basilea II "le banche devono adesso valutare la capacità storica e futura, da parte dell’impresa, di generare liquidità, la struttura patrimoniale, la flessibilità finanziaria, la qualità dei ricavi".
Questo nella teoria: le banche che lesinano i prestiti alle famiglie e alle piccole imprese sono quelle che hanno preso centinaia di miliardi dalla BCE: miliari che "le banche li hanno usati per ripianare i propri debiti con acquisti di titoli di Stato, che hanno comprato in un buon momento con tassi alti ma che si sono svalutati".Ma questa crisi dei mutui non vale per politici, massoni, vip: si citano nel capitolo i casi di "Denis Verdini, presidente fino al 2010 del Credito Cooperativo fiorentino [..] chiede a Mussari di intervenire per concedere altri dieci milioni, oltre ai 60 già accordati da Mps, sui 150 totali [..] i rapporti tra Credieuronord e Lega, che aveva un interlocutore anche in Massimo Ponzellini, di Banca Popolare di Milano, finanziatore del democratico Filippo Penati".

- Saluti dalla Thailandia: la storia della residenza per studenti in via Malipiero a Milano.

- La gara truccata: il caso Chiriaco/Introini
Introini, vicedirettore del Credito Cooperativo di Binasco è finito a processo per una speculazione: è stato poi condannato per aver truccato una gara pubblica in favore di una azienda che dietro avrebbe Carlo chiriaco (arrestato dopo operazione Infinito), il manager della Asl, vicino all'ex assessore Abelli.
Chiriaco, considerato dai pm il raccordo tra clan e politica si getta in questo affare: la costruzione di villette (dopo che la prima impresa costruttrice era fallita) su un terreno comunale a Borgarello, schermando il progetto dietro la società Pfp, e vincendo l'appalto grazie all'aiuto del sindaco, dell'avvocato liquidatore e del banchiere.
"Sono andato dal sindaco di Borgarello… Sono andato lì e per quanto riguarda la gara d’appalto delle quattro villette… io gli porto due buste" si dicono i protagonisti della storia al telefono.

- Che banca: l'incredibile ascesa dell'ex presidente Massimo Ponzellini dentro BPM. Gli affari e i prestiti pericolosi alla BPlus Atlantis di Francesco Corallo (figlio del boss Gaetano mafioso) con sede in un paradiso fiscale.
I prestiti agli amici politici, la banca usata come Bancomat, i rapporti con la Bplus: una vicenda già raccontata da Report "La banca degli amici" : "dalla finanza rampante alle società in mano a personaggi border line con la criminalità organizzata, dall'immancabile politica a fare da amalgama fino alle banche chiamate afornire il lubrificante affinché tutto funzioni: i soldi".

- Beni confiscati: "una brutta storia di incoerenza. E' quella dei beni immobili confiscati alle mafie e bloccati dalle banche, che su quegli stabili fanno valere le loro ipoteche dopo aver finanziato (in buona o in cattiva fede) criminali di vario genere".

Si parte dalla legge Rognoni La Torre, per arrivare alla legge 109 che prevede un uso sociale dei beni confiscati alla mafia.
Ma con la riforma del 2010, dentro la legge finanziaria, nasce l'Agenzia dei beni confiscati e sequestrati: una struttura senza personale, per cui alla fine i beni deperiscono.

- Lampada e gli altri
La storia scandalosa dei prestiti ottenuti dalla famiglia Lampada, dalla BNL: 1,5 milioni di euro. "Ma chi l'ha detto che ottenere un prestito da una banca è così difficile? "
Mentre si concedono meno prestiti e con maggiori vincoli alle imprese oneste, sembra che per gli imprenditori criminali (che hanno fatto soldi con la violenza, l'usura, l'intimidazione ai commercianti onesti) la crisi dei mutui non esista.

- Il mutuo al camorrista
A San Sebastiano al Vesuvio, la storia dei prestiti e dei mutui concessi dal credito popolare di Torre del Greco ai re della carne, i fratelli Simeoli, affiliati al clan Alfieri della NCO.

- Arner bank
Zummo, un costruttore edile, Nicola Bravetti, il vicedirettore della Arner Bank, Paolo del Bue, dirigente della banca e l'avvocato Sciumè.
Una storia di riciclaggio, mafia nella banca dove il conto numero uno era intestato all'ex presidente del Consiglio, raccontata anche qui da Report "La banca dei numeri uno".

- Pecunia olet
Ma c'è anche chi dice no: la storia di banca etica, i suoi valori e la sua missione. Traparenza, flussi di denaro tracciati, prestiti concessi dietro una rigorosa indagine sul cliente e sul fine per cui questo denarò verrà impiegato.
Non dovrebbe essere difficile per le banche, contrastare il riciclaggio e aiutare veramente la sana economia reale.
Occorre la volontà, da parte degli istituti, di non perseguire solo il profitto.
Il finale amaro, col commento di un magistrato che spiega come ragionano i vertici degli istituti: "Per loro le operazioni spericolate, gli scandali, i rapporti coi boss, sono una voce già prevista nel bilancio reale delle loro attività. Sono già perfettamente a conoscenza del rischio economico che corrono nel caso in cui qualcuno scopra le loro malefatte, e per questo hanno una previsione di possibili perdite - le spese legali per pagare i migliori avvocati, le campagne per rilanciare il nome ..".
Ovviamento, scrivono gli autori "questo fino a quando il sistema legislativo non avrà deciso di far pagare sul serio, ai custodi del nostro denaro, la responsabilità di aver permesso che i risparmi di cittadini onesti possano mescolarsi con le ricchezze di chi trae profitto dalla violenza, da sopruso e dalla morte".

Il link per ordinare il libro su ibs.
La scheda del libro sul sito di Ponte delle Grazie
 

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