La zona grigia: Intellettuali,
professori, giornalisti, avvocati, magistrati, operai. Una certa
Italia idealista e rivoluzionaria.
«Gli italiani e le italiane che negli anni Settanta hanno flirtato con la lotta armata hanno fornito al partito della sovversione quel retroterra confortevole senza il quale non avrebbe potuto né operare con sanguinaria efficacia, né resistere a una repressione progressivamente crescente».
Il saggio di Massimiliano Griner
affronta il tema della zona grigia attorno al terrorismo di sinistra:
professori universitari, giornalisti e intelletuali, operai,
sindacalisti, avvocati e perfino magistrati che non solo
simpatizzarono coi brigatisti, ma che pur non entrando direttamente
dentro l'eversione, ne furono fiancheggiatori.
La tesi portata avanti dall'autore è
che la forza delle Br e degli altri gruppi dell'eversione rossa sia
da ricercare anche nella vicinanza, nel sostegno, nel far da megafono
alle loro ragioni che queste persone diedero al partito armato.
Qualcuno in buona fede, per un ideale
rivoluzionario, altri perché accettarono la scelta della violenza ma
non vollero sporcarsi le mani direttamente. Altri per interessi di
carriera (l'autore cita gli scoop de l'Espresso sul rapimento
d'Urso).
“Nelle brigate rosse erano passate centinaia di persone, brigatisti di un giorno, un mese, un anno, poi tornati tranquilli al loro lavoro.”
“Nelle brigate rosse erano passate centinaia di persone, brigatisti di un giorno, un mese, un anno, poi tornati tranquilli al loro lavoro.”
Alberto Franceschini, tra i
fondatori delle Br
Senza quest'area di consenso, di cui le
stesse Br erano consapevoli, l'attacco al sistema, al padronato, allo
Stato sarebbe stato molto più difficile.
Un saggio molto interessante perché
colma un vuoto all'interno della storiografia italiana: i conti con
la propria coscienza da parte della sinistra che, per anni, non ha
compreso o non ha voluto comprendere quanto pericolosa potesse essere
questa scelta. Strizzare l'occhio ad una violenza sempre diffusa, in
nome di una battaglia per il proletariato e che alla fine si ritorse
proprio contro loro. Causando anche, in questa guerra asimmetrica,
centinaia di morti e altrettanti feriti. Giornalisti come Walter
Tobagi, avvocati come Fulvio Croce, medici, operai come Guido Rossa,
magistrati come Francesco Coco.
Nonostante questi meriti, il libro non
è completamente riuscito, come risultato: manca l'inquadramento
generale degli episodi e delle persone dentro il contesto storico.
Dico questo non per minimizzare le
colpe (spesso nemmeno passate per un giudizio penale), né per
giustificare alcun atto di questi intelletuali che ieri scrivevano e
gridavano frasi orribili e che danno dato al altri l'alibi morale per
premere un grilletto.
Ma non possiamo dimenticare che la
magistratura, gli organi della polizia, erano ancora legate al
vecchio regime fascista. Che la polizia era ancora un corpo
militarizzato. Che il codice penale era ancora quello del
guardasigilli Rocco.
Non possiamo dimenticarci quanto
fossero chiusi gli ambienti accademici, che nelle fabbriche italiane
dove lavoravano i terroni dal sud, non c'erano le migliori
condizioni, che la gente si ammalava e moriva per stipendi non sempre
dignitosi.
Che le richieste in senso progressista
che scandivano gli slogan del '68, non portarono sempre a delle
riforme in senso progressista delle istituzioni.
Ma arrivarono le bombe, le stragi di
Stato, l'incattivirsi degli scontri in piazza. I depistaggi e le
coperture dei responsabili di quelle stragi portarono al
convincimento che di queste istituzioni non ci si potesse fidare.
Anche questo portò al consolidarsi
della zona grigra di cui parla, in modo estrettamente dettagliato,
Griner.
In questo clima di diffidenza
maturarono le idee che lo stato si abbatte, della resistenza tradita,
della necessità di portare avanti uno scontro armato.
Che è inutile aspettarsi giustizia da
una magistratura che avocava le inchieste e le insabbiava a Roma. Che
non perseguiva i golpisti (e i loro padrini politici), le schedature
degli operai e dei sindacalisti.
Che non ci si poteva fidare dei
partiti, come la PCI, da cui provenivano molti dei futuri brigatisti
delusi dal partito e dalle sue scelte.
La molla per scrivere questo libro,
scrive l'autore, nasce dall'indignazione “verso un ambiente
spesso arrogante e protetto”: un ambiente che ancora oggi non
ha voluto o saputo ammettere le proprie colpe.
Si riferisce all'appello in difesa del
latitante Cesare Battisti sottoscritto da diversi scrittori e
intellettuali italiani. Gli appelli in difesa per Lotta Continua,
quando fu chiamata a rispondere dei suoi articoli diffamatori contro
il commissario Luigi Calabresi, ritenuto falsamente colpevole della
morte di Pino Pinelli.
In difesa di un assassino che non aveva
nulla del rivoluzionario, e di un giornalista, Adriano Sofri, che
ancora oggi scrive su giornali influenti.
Altri scrittori, sempre provenienti da
Lotta Continua come Erri De Luca, hanno deciso di sposare la linea
violenta dei No Tav in Val di Susa. Forse il passato non ha insegnato
nulla: una delle colpe che l'autore rinfaccia alla sinistra è la
sottovalutazione del pericolo, per quanto stava covando l'area alla
sua sinistra.
Le azioni delle BR che erano
considerate provocazioni dell'estrema destra, le Brigate Rosse che
erano considerate “presunte” ..
Devo aggiungere una cosa: leggendo
frettolosamente queste pagine, troppo dense di personaggi ed episodi
della storia recente, si rischia di mettere tutto in un unico
calderone, i cattivi maestri come Toni Negri e Franco Piperno, e
anche Soccorso rosso e Magistratura democratica.
Col risultato di bollare le discussioni
su questa “Zona grigia” che pure è esistita, come il
solito revisionismo.
Alcuni pretesti di lettura:
“L’estremismo verbale che idealizza e copre la violenza, le falsificazioni su un’Italia poliziesca, la filosofia dell’anti-Stato (suggeriti da anarchismo libertario o da utopie rivoluzionarie), rappresentano una minaccia per la convivenza civile e un’oggettiva complicità con il terrorismo.”Carlo Casalegno, «La Stampa», 10 luglio 1977.“L’uccisione di Calabresi, un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia.”«Lotta continua», 18 maggio 1972.
“Sapevano che io e gli altri eravamo nelle Br, anche se nessuno lo ammetteva ufficialmente. Così potevo tornarmene nella mia città per la Festa dell’Unità e mangiare tranquillamente ai tavoli con i compagni di pochi anni prima. […] Mi consideravano uno di loro.”Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate rosse, 1987.
“Gli articoli contro Calabresi erano obiettivamente orribili.”Adriano Sofri, La notte che Pinelli, Sellerio, 2009.
“Allora mi pareva di capire che certi giornalisti servissero anche ai terroristi, o meglio ai protagonisti della lotta armata.”Walter Tobagi, giornalista del «Corriere della Sera», ucciso dai terroristi della Brigata XXVIII marzo.
“– Giravate armati?– Tutta la nostra attività era una attività armata.– Tipo pistole?– Noi le avevamo, sì: facevano parte della necessità della presenza in piazza contro i fascisti e nei cortei. Dopo il ’75 è diventata pratica comune.”Erri De Luca a Claudio Sabelli Fioretti, «Corriere Magazine», 9 settembre 2004.“Certo, io non l’avrei fatto, però...”Testimonianza di un operaio della Fiat, 1978.“Ehi, giornalista, se mi ammazzano me, tu lo fai lo sciopero? […] Scrivi: uno, cento, mille Casalegno. A me mi vanno bene!”Testimonianza raccolta da Giampaolo Pansa davanti alla Fiat di Mirafiori dopo l’attentato a Carlo Casalegno, «la Repubblica», 18 novembre 1977.“Guerra no! Guerriglia sì!”Franco Fortini.
L'intervista all'autore su Cado
in piedi:
D: La responsabilità degli intellettuali è comunque grandissima. Non crede?
R: Sono comunque solo una delle categorie, la zona grigia è molto eterogenea. Gli intellettuali hanno fornito idee e alibi, a me interessava soprattutto la violenza che si è coltivata. Ancora oggi Toni Negri dice che in tutte le università del mondo qualche schiaffo un professore dagli studenti lo può prendere. Giustifica la violenza e la minimizza, ma quello che è accaduto in quegli anni a Padova, a Cosenza a Roma era un'attività di tipo squadrista, con intimidazioni, aggressioni, attentati.
D: Quali sono le altre categorie della zona grigia?
R: Gli avvocati, per esempio, che hanno difeso le persone coinvolte aiutandole e andando ben oltre la giusta difesa. Il libro racconta tutti gli eccessi di questa difesa che diventa militanza. Soccorso Rosso, per esempio, è stata importante attività di appoggio, un ottimo lavoro che non va negato, ma al fianco di quegli esempi positivi ci sono stati altri avvocati che poi hanno fatto il salto nella lotta armata e diventati brigatisti o parabrigatisti.
D: Lei parla anche dei magistrati vero?
R: Ci sono stati quelli che hanno fermato tutto alle soglie del risultato cercando una tolleranza molto pericolosa nei confronti dei brigatisti. Purtroppo è molto difficile parlarne con cognizione di causa perché laddove ci sono stati dei procedimenti disciplinari - e ci sono stati - gli atti sono secretati dal Csm.
D: Anche i giornalisti hanno avuto un ruolo?
R: La maggior parte si è trincerata dietro la libertà di stampa. È certo però che ci sono stati contatti pericolosi, ambigui, che in alcuni casi hanno portato i media italiani a fare da potentissimo megafono ai brigatisti. Nei giorni caldissimi del sequestro del giudice D'Urso, con il generale Galvaligi ammazzato sulla porta di casa, il giornalista Mario Scialoja porta a Giovanni Senzani, allora capo delle Br, 44 domande le cui risposte vengono pubblicate integralmente da L'Espresso.
Altre letture che consiglio:
- Terrore rosso, dall'autonomia al partito armato (Calogero, Fumian, Sartori)
- Bombe ad inchiostro (Aldo Giannuli)
La scheda del libro su Chiarelettere
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