13 maggio 2014

La zona grigia di Massimiliano Griner

La zona grigia: Intellettuali, professori, giornalisti, avvocati, magistrati, operai. Una certa Italia idealista e rivoluzionaria.
«Gli italiani e le italiane che negli anni Settanta hanno flirtato con la lotta armata hanno fornito al partito della sovversione quel retroterra confortevole senza il quale non avrebbe potuto né operare con sanguinaria efficacia, né resistere a una repressione progressivamente crescente». 
Il saggio di Massimiliano Griner affronta il tema della zona grigia attorno al terrorismo di sinistra: professori universitari, giornalisti e intelletuali, operai, sindacalisti, avvocati e perfino magistrati che non solo simpatizzarono coi brigatisti, ma che pur non entrando direttamente dentro l'eversione, ne furono fiancheggiatori.
La tesi portata avanti dall'autore è che la forza delle Br e degli altri gruppi dell'eversione rossa sia da ricercare anche nella vicinanza, nel sostegno, nel far da megafono alle loro ragioni che queste persone diedero al partito armato.
Qualcuno in buona fede, per un ideale rivoluzionario, altri perché accettarono la scelta della violenza ma non vollero sporcarsi le mani direttamente. Altri per interessi di carriera (l'autore cita gli scoop de l'Espresso sul rapimento d'Urso).

“Nelle brigate rosse erano passate centinaia di persone, brigatisti di un giorno, un mese, un anno, poi tornati tranquilli al loro lavoro.”
Alberto Franceschini, tra i fondatori delle Br
Senza quest'area di consenso, di cui le stesse Br erano consapevoli, l'attacco al sistema, al padronato, allo Stato sarebbe stato molto più difficile.
Un saggio molto interessante perché colma un vuoto all'interno della storiografia italiana: i conti con la propria coscienza da parte della sinistra che, per anni, non ha compreso o non ha voluto comprendere quanto pericolosa potesse essere questa scelta. Strizzare l'occhio ad una violenza sempre diffusa, in nome di una battaglia per il proletariato e che alla fine si ritorse proprio contro loro. Causando anche, in questa guerra asimmetrica, centinaia di morti e altrettanti feriti. Giornalisti come Walter Tobagi, avvocati come Fulvio Croce, medici, operai come Guido Rossa, magistrati come Francesco Coco.

Nonostante questi meriti, il libro non è completamente riuscito, come risultato: manca l'inquadramento generale degli episodi e delle persone dentro il contesto storico.
Dico questo non per minimizzare le colpe (spesso nemmeno passate per un giudizio penale), né per giustificare alcun atto di questi intelletuali che ieri scrivevano e gridavano frasi orribili e che danno dato al altri l'alibi morale per premere un grilletto.
Ma non possiamo dimenticare che la magistratura, gli organi della polizia, erano ancora legate al vecchio regime fascista. Che la polizia era ancora un corpo militarizzato. Che il codice penale era ancora quello del guardasigilli Rocco.
Non possiamo dimenticarci quanto fossero chiusi gli ambienti accademici, che nelle fabbriche italiane dove lavoravano i terroni dal sud, non c'erano le migliori condizioni, che la gente si ammalava e moriva per stipendi non sempre dignitosi.
Che le richieste in senso progressista che scandivano gli slogan del '68, non portarono sempre a delle riforme in senso progressista delle istituzioni.
Ma arrivarono le bombe, le stragi di Stato, l'incattivirsi degli scontri in piazza. I depistaggi e le coperture dei responsabili di quelle stragi portarono al convincimento che di queste istituzioni non ci si potesse fidare.
Anche questo portò al consolidarsi della zona grigra di cui parla, in modo estrettamente dettagliato, Griner.

In questo clima di diffidenza maturarono le idee che lo stato si abbatte, della resistenza tradita, della necessità di portare avanti uno scontro armato.
Che è inutile aspettarsi giustizia da una magistratura che avocava le inchieste e le insabbiava a Roma. Che non perseguiva i golpisti (e i loro padrini politici), le schedature degli operai e dei sindacalisti.
Che non ci si poteva fidare dei partiti, come la PCI, da cui provenivano molti dei futuri brigatisti delusi dal partito e dalle sue scelte.
La molla per scrivere questo libro, scrive l'autore, nasce dall'indignazione “verso un ambiente spesso arrogante e protetto”: un ambiente che ancora oggi non ha voluto o saputo ammettere le proprie colpe.
Si riferisce all'appello in difesa del latitante Cesare Battisti sottoscritto da diversi scrittori e intellettuali italiani. Gli appelli in difesa per Lotta Continua, quando fu chiamata a rispondere dei suoi articoli diffamatori contro il commissario Luigi Calabresi, ritenuto falsamente colpevole della morte di Pino Pinelli.
In difesa di un assassino che non aveva nulla del rivoluzionario, e di un giornalista, Adriano Sofri, che ancora oggi scrive su giornali influenti.
Altri scrittori, sempre provenienti da Lotta Continua come Erri De Luca, hanno deciso di sposare la linea violenta dei No Tav in Val di Susa. Forse il passato non ha insegnato nulla: una delle colpe che l'autore rinfaccia alla sinistra è la sottovalutazione del pericolo, per quanto stava covando l'area alla sua sinistra.
Le azioni delle BR che erano considerate provocazioni dell'estrema destra, le Brigate Rosse che erano considerate “presunte” ..

Devo aggiungere una cosa: leggendo frettolosamente queste pagine, troppo dense di personaggi ed episodi della storia recente, si rischia di mettere tutto in un unico calderone, i cattivi maestri come Toni Negri e Franco Piperno, e anche Soccorso rosso e Magistratura democratica.
Col risultato di bollare le discussioni su questa “Zona grigia” che pure è esistita, come il solito revisionismo.

Alcuni pretesti di lettura:
L’estremismo verbale che idealizza e copre la violenza, le falsificazioni su un’Italia poliziesca, la filosofia dell’anti-Stato (suggeriti da anarchismo libertario o da utopie rivoluzionarie), rappresentano una minaccia per la convivenza civile e un’oggettiva complicità con il terrorismo.”
Carlo Casalegno, «La Stampa», 10 luglio 1977.
L’uccisione di Calabresi, un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia.”
«Lotta continua», 18 maggio 1972.

“Sapevano che io e gli altri eravamo nelle Br, anche se nessuno lo ammetteva ufficialmente. Così potevo tornarmene nella mia città per la Festa dell’Unità e mangiare tranquillamente ai tavoli con i compagni di pochi anni prima. […] Mi consideravano uno di loro.”
Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate rosse, 1987.

“Gli articoli contro Calabresi erano obiettivamente orribili.”
Adriano Sofri, La notte che Pinelli, Sellerio, 2009.

“Allora mi pareva di capire che certi giornalisti servissero anche ai terroristi, o meglio ai protagonisti della lotta armata.”
Walter Tobagi, giornalista del «Corriere della Sera», ucciso dai terroristi della Brigata XXVIII marzo.

“– Giravate armati?
Tutta la nostra attività era una attività armata.
Tipo pistole?
Noi le avevamo, sì: facevano parte della necessità della presenza in piazza contro i fascisti e nei cortei. Dopo il ’75 è diventata pratica comune.”
Erri De Luca a Claudio Sabelli Fioretti, «Corriere Magazine», 9 settembre 2004.
Certo, io non l’avrei fatto, però...”
Testimonianza di un operaio della Fiat, 1978.
Ehi, giornalista, se mi ammazzano me, tu lo fai lo sciopero? […] Scrivi: uno, cento, mille Casalegno. A me mi vanno bene!”
Testimonianza raccolta da Giampaolo Pansa davanti alla Fiat di Mirafiori dopo l’attentato a Carlo Casalegno, «la Repubblica», 18 novembre 1977.
Guerra no! Guerriglia sì!”
Franco Fortini.
L'intervista all'autore su Cado in piedi:
D: La responsabilità degli intellettuali è comunque grandissima. Non crede?
R: Sono comunque solo una delle categorie, la zona grigia è molto eterogenea. Gli intellettuali hanno fornito idee e alibi, a me interessava soprattutto la violenza che si è coltivata. Ancora oggi Toni Negri dice che in tutte le università del mondo qualche schiaffo un professore dagli studenti lo può prendere. Giustifica la violenza e la minimizza, ma quello che è accaduto in quegli anni a Padova, a Cosenza a Roma era un'attività di tipo squadrista, con intimidazioni, aggressioni, attentati.

D: Quali sono le altre categorie della zona grigia?
R: Gli avvocati, per esempio, che hanno difeso le persone coinvolte aiutandole e andando ben oltre la giusta difesa. Il libro racconta tutti gli eccessi di questa difesa che diventa militanza. Soccorso Rosso, per esempio, è stata importante attività di appoggio, un ottimo lavoro che non va negato, ma al fianco di quegli esempi positivi ci sono stati altri avvocati che poi hanno fatto il salto nella lotta armata e diventati brigatisti o parabrigatisti.

D: Lei parla anche dei magistrati vero?
R: Ci sono stati quelli che hanno fermato tutto alle soglie del risultato cercando una tolleranza molto pericolosa nei confronti dei brigatisti. Purtroppo è molto difficile parlarne con cognizione di causa perché laddove ci sono stati dei procedimenti disciplinari - e ci sono stati - gli atti sono secretati dal Csm.

D: Anche i giornalisti hanno avuto un ruolo?
R: La maggior parte si è trincerata dietro la libertà di stampa. È certo però che ci sono stati contatti pericolosi, ambigui, che in alcuni casi hanno portato i media italiani a fare da potentissimo megafono ai brigatisti. Nei giorni caldissimi del sequestro del giudice D'Urso, con il generale Galvaligi ammazzato sulla porta di casa, il giornalista Mario Scialoja porta a Giovanni Senzani, allora capo delle Br, 44 domande le cui risposte vengono pubblicate integralmente da L'Espresso.
Altre letture che consiglio:
- Terrore rosso, dall'autonomia al partito armato (Calogero, Fumian, Sartori)
- Bombe ad inchiostro (Aldo Giannuli)
La scheda del libro su Chiarelettere
Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

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