Il più grosso bottino della storia: 30000 miliardi sottratti alle
casse pubbliche da multinazionali, banche, evasori. Dov'è nascosto,
come possiamo recuperarlo.
Il tesoro di cui parla la giornalista Nunzia Penelope è
quello che si è accumulato in vari decenni nei paradisi fiscali in
Europa e nel mondo: una montagna di miliardi finiti nei circuiti
dell'offshore, soldi che anziché aiutare l'economia reale dei paesi
diventano ricchezza occulta sottratta al fisco. Sono soldi che
potrebbero far comodo ai governi per abbassare la pressione fiscale e
far ripartire la domanda interna. Per poter garantire ai cittadini
quei servizi pubblici oggi a rischio.
Sono soldi che potrebbero risolvere i problemi del debito
pubblico, per paesi come l'Italia, sempre sotto la minaccia di una
nuova guerra a colpi di punti di spread. Guerra che ha portato al
commissariamento dei governi, alle riforme fatte al grido “ce lo
chiede l'Europa”: salari ai minimi, pensioni rinviate nel
futuro, il dogma della precarietà nel lavoro, gli stati che
privatizzano i loro asset.
Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di offshore? Ecco: ma
cosa diversa è capire cosa si nasconde dietro questa formula dal
senso molto esotico.
Il pregio di questo libro è proprio questo, la chiarezza: in
pochi capitoli spiega il sistema dei paradisi fiscali, usando la
formula giornalistica del chi, cosa, come, dove e quando.
“Il PIL dell’Italia è circa 1500 miliardi di euro annui: nei paradisi fiscali ci sarebbe quindi, grossomodo, l’equivalente di vent’anni della nostra ricchezza nazionale. Vent’anni di lavoro e di stipendio di tutti i nostri lavoratori, di prodotto di tutte le nostre fabbriche e aziende, di tutte le attività commerciali, di tutti i beni comprati e venduti, di tutte le case costruite, di tutta la spesa pubblica per sanità, scuola”.
Cosa sono i paradisi fiscali e dove si trovano.
Iniziamo col dire che i paradisi fiscali sono il paradiso solo per
quelli che riescono così a sfuggire alla tassazione cui sono
sottoposti i comuni mortali.
Sono paesi che attraggono beni e capitali garantendo l'anonimato
dei proprietari, ben nascosti dietro società fittizie (molto
virtuali), dietro la privacy del segreto bancario, dietro la macchina
burocratica delle rogatorie internazionali, quelle procedure che i
magistrati sono costretti a rispettare per capire dove sono finiti i
soldi di tizio o caio.
Non sempre possiamo parlare di evasione fiscale (soldi non
dichiarati al fisco): spesso è più corretto parlare di elusione.
Ovvero la ricerca del posto migliore dove si pagano meno tasse e i
governi fanno meno questioni sulla provenienza del denaro.
I paradisi non sono solo le Cayman: qui in Europa possiamo dire
che ce ne sono molti, troppi, vicini a noi. I furbetti italiani
possono andare rivolgersi alla Svizzera a San Marino e lo Ior.
I francesi ad Andorra. In piena Europa troviamo il Liechtenstein,
vero paradiso fiscale per super ricchi selezionati, da dove proviene
l'attuale presidente del Consiglio europeo Juncker.
L'Irlanda è famosa per il double Irish, il sistema che
permette alla Apple di pagare il minimo consentito di tasse sugli
enormi profitti.
Ma anche negli Stati Uniti ci sono paesi a fiscalità agevolata,
come il Delaware.
Il futuro si dice che sia nell'estremo oriente, ovvero la piazza
di Singapore.
Chi sono i signori dell'offshore.
Diversamente da quello che pensavo, solo il 30% dei capitali che
finiscono nei paradisi fiscali sono di proprietà delle mafie. La
maggior parte sono profitti delle multinazionali come Apple e Google.
Di banche internazionali come Ubs e Credit Suisse. Nei paradisi
troviamo le ricchezze dei super ricchi della terra che hanno deciso
di nascondere dietro un Trust (uno scudo fiduciario) i loro beni.
Anche molte imprese italiane hanno società in paradiso (fiscale)
o in paesi dalla fiscalità agevolata: dalla Fiat a Marcegaglia. Da
Parlamat a Luxottica, Ferrero, Prada, Bulgari. I Riva avevano il loro
gruzzolo nell'isola di Jersey mentre a Taranto la città soffocava
sotto l'inquinamento dell'Ilva per le bonifiche che non si sono
fatte. Dolce e Gabbana, condannati in appello per la
“esterovestizione” del loro marchio.
Infine le banche italiane, specie quelle di sistema come Intesa
San Paolo.
L'offshore:
“È un’industria globale molto redditizia e ingegnosamente strutturata, progettata e gestita in primo luogo dalle più grandi banche del mondo, da una miriade di studi legali e società di revisione contabile dai nomi prestigiosi, con base a New York, Londra, Ginevra, Francoforte, Milano”.
Come funziona il meccanismo dell'offshore.
Il libro parte con una immagine: l'incontro del G8 all'Aquila del
2009, quando i grandi della terra (Berlusconi compreso) dichiararono
la loro guerra ai paradisi fiscali.
Va chiarita una cosa: se esistono i paradisi fiscali è perché i
governi per lunghi anni lo hanno permesso. Perché un grosso pezzo
dell'economia e della politica si appoggia ad essi.
Mentre i cittadini soffocano sotto le tasse e le piccole aziende
sotto i controlli e la burocrazia, le grandi imprese possono
sfruttare tutti i cavilli e le regole (che non ci sono), per fare i
loro comodi.
Ovvero: i governi non possono fare oggi la guerra all'evasione e
all'elusione perché in realtà dovrebbero far la guerra a loro
stessi.
Gli USA alle loro multinazionali come Google e Facebook, con sede
in Irlanda ma i lobbisti a Washington.
In Italia non parliamo: il presidente del Consiglio del G8 a
l'Aquila è stato condannato per frode fiscale avendo creato un
impero offshore con cui creare fondi neri (il sistema B Fininvest).
Nel buco nero da 30000 miliardi di dollari ci sono dentro le
tangenti dei politici, i profitti delle mafie, le plusvalenze delle
multinazionali che poi finanziano le campagne elettorali dei
politici.
Magari proprio quelli del rigore per i comuni mortali.
Sono le leggi che permettono questo: non è un caso che la famosa
legge sull'autoriciclaggio, presentata dal governo Letta, sia stata
lasciata morire dallo stesso Parlamento con la sua caduta. Renzi,
l'innovatore, il rottamatore, nemmeno parla più di volontary
disclosure, anticorruzione e autoriciclaggio.
Altrimenti le riforme con Berlusconi non passerebbero:
“Il governo è costantemente in cerca di soldi. Ma dei paradisi fiscali, delle enormi ricchezze che contengono, di chi le possiede, di come vi arrivano, non si parla affatto; ed è perfino inutile sottolineare che l’argomento non entra mai, nemmeno per sbaglio, nel dibattito politico italiano: da cui, piuttosto, sono ormai usciti anche i termini evasione fiscale e corruzione”.
Da quando si parla di paradisi fiscale.
Sembra incredibile
ma esiste una pista, sull'omicidio di Kennedy, che porta proprio ai
paradisi fiscali, che già nel 1962 erano pozzi neri capaci di
risucchiare i profitti delle grandi aziende americane.
Kennedy intendeva
porre fine a questi privilegi. Ma non ne ebbe modo.
La guerra ai paradisi
Non tutti hanno ancora capito come la guerra ai paradisi fiscali
sia una guerra per la difesa della democrazia. Il mondo oggi si sta
trasformando in un enorme club di pochi super ricchi, cui tutto è
concesso e, sotto, una marea di cittadini di democrazie svuotate.
Perché se è vero che le tasse in molti paesi (non solo l'Italia)
sono alte, non è vero che i soldi sottratti alla fiscalità, cioè a
noi, servono poi per creare posti di lavoro, per fare investimenti,
per creare ricchezza.
Non è così almeno da noi in Italia, che si sta trasformanda dal
paese dei capitalisti senza capitali al paese dei capitalisti coi
capitali all'estero. E dove le tasse sono in crescita proprio per
colpa di quelli che non le pagano.
Fino ad oggi la guerra ai paradisi è stata solo una foglia di
fico.
Ma le persone all'Ocse con cui Nunzia Peneloper ha parlato ci
credono, ora. Perché i governi, sempre più in crisi, non possono
più far finta di niente.
Se fino ad oggi il sistema offshore era il lato B dell'economia
mondiale, ora non è più tollerabile: chi sta dietro i fondi alle
Virgin Island (uno dei paradisi), che stanno invendo in Cina, il
maggior proprietario dei titoli di stato americani?
Possiamo accettare che i cinesi mettano le mani sui pezzi pregiati
delle nostre industrie energetiche?
Possiamo accettare che il fondo Black Rock continui a fare
shopping in Italia?
Come vedete, c'è un forte intreccio tra la salute delle
democrazie e il mondo dell'offshore.
Ma per fare questa guerra serve una politica che non sia più
complice o alleata al partito degli evasori ma che sia forte.
Il rischio, altrimenti, è arrivare ad un mondo a due velocità:
come nel palazzo in Downtown Abbey (la serie TV incentrata su una
famiglia aristocratica inglese), con la servitù sotto e gli
aristocratici sopra. Separati non solo da un piano ma da un abisso
sociale, economico.
Sarebbe paradossale ammettere che il nostro futuro è ritornare
all'ottocento, non credete.
Come lo si spiega alle persone che pagano le tasse sempre e
comunque? Alle imprese che rimangono in Italia, e che rispettano
tutti gli adempimenti fiscali? Agli imprenditori che, piuttosto che
al profitto a tutti i costi, pensano al futuro, ai tempi lunghi, ai
posti di lavoro reali?
Alcuni spunti per la lettura:
La scheda del libro sul sito dell'editore Ponte alle grazie.
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Mi raccomando, siate umani