L'uomo, in completo Armani fumo di Londra, si avvicinò alla scrivania. Era un tipo tarchiato, con un triplo mento e la testa rasata. Lo sguardo duro e deciso rendeva i lineamenti del volto ancora più marcati.«Secondo te possiamo stare tranquilli?» chiese con tono perentorio.«Si» rispose il suo interlocutore, un tipo smilzo, stempiato, gli occhi artificiosamente socchiusi dietro occhiali da vista perennemente calzati. «Comprendo le sue preoccupazioni» continuò, «ma Alfieri è stato promosso, si sentirà appagato.»«Promosso? Che grado ha?»«Assistente capo.»«Capo?» ripeté pensoso l'annesso al triplo mento. «Quale ufficio dirige?»L'occhialuto rise a denti stretti: «Signore» rispose, «non dirige nessun ufficio. L'assistente capo corrisponde al grado di appuntato capo, insomma poco più che un agente. Non comanda nemmeno se stesso.»«E il casino che ha combinato?» chiese la testa rasata.«C'è riuscito perché quel coglione di Donizzetti gli ha permesso di indagare. Ora sta alle volanti di Roma dove non ha alcuna autonomia»
Con un incipit così,
spero di avervi messo voglia di leggervi questo secondo romanzo dello
scrittore poliziotto Alessandro Maurizi, che ho avuto il
piacere di conoscere alla rassegna noir “La passione per il
delitto” ad Erba.
Questo libro ha un prima e un dopo: un
prima perché, come si capisce tra le righe, questo assistente capo
Marco Alfieri di cui parlano questi oscuri signori, ha fatto qualcosa
di cui preoccuparsi nel passato. Ha un prima che deriva dalla voglia
di Alessandro di raccontare come è il lavoro di un agente di polizia
per davvero. Da uno che in polizia ci lavora sul serio: troppe volte,
ha raccontato al pubblico di Erba, si leggono libri proprio campati
per aria, non aderenti alla realtà.
Ma questo libro avrà
anche un dopo perché, ve lo anticipo subito, questo romanzo ha un
finale che chiude solo una parte della storia, l'indagine privata (e
non autorizzata) di questo poliziotto che iniziamo a capire che sia
un tipo un po' ribelle.
Che va a ficcare il naso
in archivi che dovrebbero rimanere nascosti.
Alessandro Maurizi ha
tratto sicuramente ispirazione dal suo bagaglio di esperienze per
tratteggiare questo personaggio: Marco Alfieri, agente di
polizia sulle volanti di Roma, fidanzato con una collega, Silvia
Grandi, con cui fa pure coppia sulla pattuglia. Con una grande
amicizia che lo lega al giornalista di cronaca nera Francesco
Waldman, uno che è passato dalla cronaca politica alla nera, per
non morire di noia. Nella ripetizione degli stessi gesti, delle
stesse stancanti interviste al politico di turno.
Alfieri è uno di quei
poliziotti da strada, non uno che fa indagini (come quelli dei
romanzi che non piacciono all'autore): si porta dentro un dolore
forte, per la perdita del suo ex dirigente, Donizzetti che
forse aveva visto qualcosa che non doveva vedere. E che preoccupa
ancora qualcuno molto in alto, come si racconta nelle prime
righe.
Alfieri e Waldman non sono solo amici, per quella strana
amicizia che a volte si crea tra giornalista e sbirro. E' qualcosa di
più profondo che li porta ad aprire un'indagine privata (e non
autorizzata) sulla morte di Letizia Santi: una donna molto
bella e consapevole del suo fascino.
Letizia è stata pugnalata
a morte nel cimitero di Ussita, un paesino in provincia di
Macerata, dopo aver lasciato una lettera sulla tomba della madre.
Della morte viene subito
incolpato l'ex marito, Ulisse Mantiglia: dopo la separazione l'aveva
perseguitata con sms e minacce. Ma è una soluzione che non convince
Waldman, che decide di farne una sua, di indagine. Forse è un caso,
ma pochi giorni prima della sua morte, Alfieri aveva fatto un
intervento presso la casa di uno psichiatra per una lite domestica.
Il professor Karamesinis stava litigando con la moglie, che
l'accusava di avere una relazione. Proprio con Letizia Santi.
Lo sbirro e il giornalista
scoprono così la vera natura della morta, una femme fatale capace di
succhiare la linfa agli uomini cui si legava, come un vampiro. Come
nel quadro di Munch:
I due, in rigoroso silenzio, si misero a scorrere le pagine del web che tratteggiava l'opera.
Lessero che l'amore che scaturiva dall'amplesso raffigurato aveva in sé qualcosa di terrificante perché la donna, nuda e audace, avvolgeva l'uomo sedotto e perso in un abbraccio mortale. La donna era un vampiro, un sordido carnefice che uccideva l'uomo, remissivo e abbandonato, succhiandogli la linfa vitale. Un uomo sottomesso in un desiderio irresistibile e autodistruttivo. Continuarono a spostarsi con il mouse da una pagina all'altra disegnando nelle loro menti nuove congetture, qualcosa di sfuggente che di fronte alle parole che scorrevano sul monitor iniziava ad avere un tratto più chiaro, come lo schizzo di un pittore che man mano prendeva forma.
La loro attenzione, all'improvviso, fu attratta da alcuni versi di Munch.
Riguardavano “Il vampiro”, riflessioni che avevano spinto il pittore a porsi di fronte a una tela immacolata e riempirla con il sangue di un amore degenerato.
I suoi capelli rosso sangue si erano impigliati in me,
si erano avvolti attorno a me come serpenti rosso sangue,
i loro lacci più sottili si erano avvolti intorno al mio cuore.
L'archivio segreto di
Donizzetti, la morte di Letizia Santi. E anche un saggio scritto da
un certo Federico Giorio, ex Questore nel 1882: “Ricordi
di Questura”.
La lettura delle pagine del saggio dove si
racconta delle malversazioni della polizia dei primi anni dell'Unità
d'Italia incuriosisce Waldman (e anche Alfieri), a tal punto da
spingerlo a fare una ricerca presso l'archivio di Stato per capire
chi fosse l'autore, Giorio.
“Non vi capitò mai d'entrare in un ufficio di P.S.? Tutto è tetro, malinconico, sinistro. L'aria vi è gelida e la luce scialbata, tutto si mesce e si confonde per rendere pesante, triste, uggiosa l'atmosfera di un ufficio”.
L'autore un ex poliziotto
aveva avuto il coraggio (in tempi difficili) di denunciare il
malcostume nel corpo di polizia. Poteva dire altrettanto Alfieri? E
il suo ex dirigente?
Quanti dubbi, altri sensi di colpa, che
pesano e peseranno sulla coscienza del poliziotto.
Il
vampiro di Munch è un giallo che entra nel mondo delle
passioni, nei rapporti di coppia, tra amante e amato. Che possono
diventare vittima e carnefice.
Ma è anche un racconto
del mondo della polizia, visto da dentro, raccontato non dall'occhio
dei Maigret o dei Montalbano, ma da quelli degli agenti in divisa che
girano per le nostre strade.
Un mondo dove si
intravedono i grandi giochi di potere, i ricatti su segreti nascosti
che hanno fatto la fortuna (o la sfortuna) di carriere
importanti.
Non ci sono solo gli occhi di Alfieri e Waldman
a guidare il racconto: altri occhi, più in alto, seguiranno
l'evolversi della storia.
Nel complesso un buon
romanzo, che paga qualche eccesso nella descrizione dei luoghi che
blocca la scorrevolezza della scrittura. Talvolta anche nei dialoghi
tra i personaggi avrebbero dovuto essere più diretti, più asciutti.
Nell'intervista a
Giallomania,
l'autore anticipa il prossimo romanzo con protagonista Marco Alfieri:
dovremmo aspettare un altro anno.
Buona lettura!
Il blog di Alessandro
Maurizi e la scheda del libro sul sito di Ciesse
edizioni.
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