02 novembre 2014

PPP: Pasolini, il potere e la politica dei medium di massa

Pier Paolo Pasolini: poeta, scrittore, regista. Editorialista sul corriere. Intellettuale scomodo.
Scomodo e scandaloso: non per la sua omosessualistà dichiarata (nell'Italia degli anni '70), ma per la sua indipendenza, il suo essere contro, senza le spalle coperte perché senza nessuna partito dietro.

Attento ai mutamenti nel paese per l'avvento della società dei consumi, che stava cambiando in modo irreversibile la cultura degli italiani come nemmeno il fascismo era riuscito a fare. Il suo, è un punto di vista diverso, scomodo, perché in contrasto con la vulgata del modernismo, condizionata dai pregiudizi, dai legami col potere.
L'intellettuale scandaloso che poteva permettersi di criticare l'aborto, i capelloni, i ragazzi di valle Giulia che si erano scontrati coi proletari poliziotti nel 1968 (Il PCI ai giovani)
« Ho passato la vita a odiare i vecchi borghesi moralisti, e adesso, precocemente devo odiare anche i loro figli... La borghesia si schiera sulle barricate contro se stessa, i "figli di papà" si rivoltano contro i "papà". La meta degli studenti non è più la Rivoluzione ma la guerra civile. Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri, hanno un senso legalitario della vita, sono profondamente conformisti. Per noi nati con l'idea della Rivoluzione sarebbe dignitoso rimanere attaccati a questo ideale.»
Il fascismo degli antifascisti, la DC come strumento di conservazione del potere. In un articolo finito nella raccolta “Lettere luterane” aveva chiesto il processo alla DC:
I potenti democristiani che ci hanno governato in questi ultimi dieci anni, non hanno saputo neanche porsi il problema di tale «nuovo modo di produzione», di tale «nuovo potere» e di tale «nuova cultura», se non nei meandri del loro Palazzo di pazzi: e continuando a credere di servire il potere istituito clerico-fascista. Ciò li ha portati ai tragici scompensi che hanno ridotto il nostro paese in quello stato, che più volte ho paragonato alle macerie del 1945. È questo il vero reato politico di cui i potenti democristiani si sono resi colpevoli: e per cui meriterebbero di essere trascinati in un’aula di tribunale e processati.
Il Vaticano, il consumo delle droghe.
La sua sincerità era scandalosa, perché metteva nero su bianco (e sul giornale della boghesia italiana) quello che era sotto gli occhi di tutti ma che nessuno voleva vedere. L'essere a favore del progresso ma non a questo modello di sviluppo: “questo sviluppo lo vuole la destra economica .. sviluppo che vuole la produzione di beni superflui, chi vuole il progresso vuole la produzione di beni necessari”.

L'acculturazione della società dei consumi, che stava stravolgendo il costume italiano e la sua società, come nemmeno il fascismo.
L'odio contro lo stato in cui viveva (stato come insieme delle cose e anche dal punto di vista istituzionale): lo stato capitalistico piccolo borghese, odio che lo portò a scrivere romanzi ambientandoli nelle borgate.
Un autore se appassionato è un contestatore vivente .. non appena apre bocca è scandaloso perché impegnato”.
Lo scandalo si tramutò nella persecuzione giudiziaria che subì in vita: finì 33 volte in tribunale per i suoi film accusato di vilipendio, turpiloquio. La presidenza del Consiglio chiese il sequestro del libro “Ragazzi di vita”.
Menzogne, falsità, calunnie, un linciaggio vero e proprio: dopo la sua morte, nel lido di Ostia non fu fatta alcuna indagine, alcuna istruttoria. I giornali, specie quelli di destra, diedero in pasto all'opinione pubblica una sola verità. Pasolini il poeta era stato ucciso in una storia torbida di omosessuali, per un rapporto con un minorenne.
Nemmeno al partito comunista, di cui pure aveva fatto parte, interessava davvero ristabilire una verità.
Sappiamo oggi, perché Pelosi uscito dal carcere è tornato a parlare, che Pasolini è stato ucciso in un agguato. Il perché dell'agguato, chi fosse il mandante, forse non lo sapremo mai.
Forse centra qualcosa il libro sull'Eni di Cefis, che stava scrivendo grazie alle informazioni che gli arrivavano da fonti bene informate. Era diventato soldato inconsapevole di una delle battaglie per il potere che si consumano in Italia?

Io so”, scriveva sul corriere nell'articolo “Il romanzo delle stragi”: perché col solo buonsenso, sapeva mettere assieme i fatti, un intellettuale
“che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.”
Cosa direbbe oggi, uno come Pasolini così attento alla realtà che cambia, del Partito democratico e del suo spostamento a destra? Di questa politica dove non si discute né si ragiona, ma si parla per slogan e dove il ragionamento più complesso deve concludersi nei 140 caratteri di un tweet. Del progresso che si declina solo in una deregolamentazione delle leggi a tutela dei più deboli.
Degli italiani, popolo telecomandato che si lamenta per le tasse sulla casa ma cui le grandi ruberie sul Mose, su Expo, sono indifferenti.
Del caso Cucchi, dello stato che non riesce a processare se stesso, nemmeno per casi come questo.

Dei giovani che oggi sono usati come merce da campagna elettorale, quando si devono fare le grandi riforme su pensioni e lavoro. Ma cui vengono negati i mezzi e gli strumenti necessari per poter costruirsi uno spazio nella vita. La scuola, l'università, le borse di studio, un lavoro dignitoso.
Una classe politica che cambia pelle ma non la sostanza. Che scrive leggi articolate e complesse e poi gli battezza con nomi inglesi per dare almeno una parvenza di serietà.
Che sa solo cavalcare l'emozione del momento, gli immigrati, le tragedie, i terremoti, gli alluvioni. Ma non è più capace di dare soluzioni ai problemi. 

Tra i vari video in rete, sui suoi rari interventi televisivi, mi è capitato di vedere questo, con Enzo Biagi. Parla del potere, del successo e della TV come medium di massa assolutamente antidemocratico "perché chi ascolta ha un rapporto da inferiore a superiore".

Pasolini: Il successo è l'altra faccia della persecuzione, il successo è sempre una cosa brutta, può esaltare può dalle delle soddisfazione, ma dopo averlo ottenuto si capisce subito che è una cosa brutta.Il fatto di aver trovato i miei amici qui, alla televisione, non è bello. Per fortuna noi siamo riusciti ad andare al di là dei microfoni e del video e a ricostituire qualcosa di reale, di sincero. Ma come posizione, la posizione è brutta, è falsa.
Enzo Biagi: Perché? Cosa ci trova di così anormale?
Pier Paolo Pasolini: Perché la televisione è un medium di massa e il medium di massa non può che mercificarci e alienarci. [...]Enzo Biagi: Ma noi stiamo discutendo tutti con grande libertà, senza alcuna inibizione. O no?Pier Paolo Pasolini: No, non è vero.
Enzo Biagi: Sì, è vero. Lei non può dire tutto quello che vuole?
Pier Paolo Pasolini: No, no, non posso dire tutto quello che voglio.
Enzo Biagi: Lo dica!
Pier Paolo Pasolini: No, non potrei perché sarei accusato di vilipendio, uno dei tanti vilipendi del codice fascista italiano. Quindi in realtà non posso dire tutto. E poi, a parte questo, oggettivamente, di fronte all’ingenuità o alla sprovvedutezza di certi ascoltatori, io stesso non vorrei dire certe cose, quindi mi autocensuro. Ma a parte questo, non è tanto questo, è proprio il medium di massa in sé. Nel momento stesso in cui qualcuno ci ascolta dal video ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore, che è un rapporto spaventosamente antidemocratico.(da “Terza B. Facciamo l’appello”, 1971)


No, forse oggi in questa Italia dove i politici sono in perenne campagna elettorale, più interessati all'immagine che ad altro, uno così non potrebbe andare in televisione.

Mostrare la mia faccia, la mia magrezza -
alzare la mia sola puerile voce -
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
[...]
(Da: "La Guinea", Poesia in forma di rosa, in "Bestemmia", volume primo, Garzanti, Milano 1993)


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