02 marzo 2015

Presa diretta – E l'Italia?

Il tag per commentare la puntata di Presadiretta era #3percento: si parlava infatti dei vincoli europei che ci siamo dati e che vincolano la politica economica e sociale. Ogni giorno, al lavoro, quando prendiamo i mezzi pubblici, quando abbiamo bisogno di cure.
Cosa c'è di scientifico dietro la regola del 3%? Che sicurezza abbiamo che rendendo il lavoro flessibile, riparta l'occupazione?

22 gennaio 2015: la puntata è partita dalla chiusura della campagna elettorale di Siryza, con l'alta aspettativa dei greci stanchi dei ricatti della Troika.
Presa diretta ha seguito la giornata di voto, l'entusiasmo attorno ad Alexis Tsipras, l'attenzione dei giornalisti europei: in gioco non c'è solo il destino della Grecia, ma qui si decide il destino dell'Europa, di quanta solidarietà ci sarà tra gli stati.
Forse da qui può partire il processo che porterà ad una vera federazione: l'austerità non può più essere impostata ad un livello inaccettabile per una nazione. Sì ai conti in ordine, sì alle riforme, ma basta con la macelleria sociale.
Il primo discorso di Tsipras presidente parlava proprio di questo: abbiamo avuto il mandato dal popolo greco per dire basta con l'austerità e annullare il memorandum.

E l'Italia?
Tsipras e Varoufakis hanno firmato un accordo per avere quattro mesi di tempo, per restituire il debito. Hanno abbassato la testa, o forse è solo l'inizio di una nuova partita.

Come nasce l'austerità: la regola del 3%
Il rapporto deficit / pil sotto il 3% nasce da un oscuro funzionario francese nel 1981: riceve una telefonata da Mitterrand che gli chiedeva una regola per mettere un freno alle richieste dei vari ministeri, per avere un tetto alla spesa pubblica.
Il vincolo non nasce da una teoria economica ma da una regola interna: il funzionario francese ha pensato al deficit e al PIL: la divisione ha fatto venir fuori il numero 3.
La regola è arrivata poi a Maastricht, con Trichet che era capo di Gabinetto allora e quella formula è diventato il cappio cui ci siamo impiccati.
Gli economisti hanno elaborato mille teorie scientifiche per giustificare quel numero.
Ma noi italiani abbiamo fatto di più: con Monti abbiamo messo nella Costituzione il pareggio di bilancio, senza nessuna discussione parlamentare nel paese.
Solo 34 si sono astenuti dal voto: dal 2012 l'austerità è diventata regola istituzionale, in modo rapido senza alcun approfondimento sugli effetti.
La fretta non era giustificata: abbiamo voluto fare i primi della classe, racconta Rodotà.
La norma è stata approvata a maggioranza assoluta, per escludere il referendum: e ora gli stessi che l'hanno votata si lamentano della situazione europea.
Solo noi e la Germania abbiamo il pareggio di bilancio in Costituzione: per l'onorevole Lanzillotta addirittura era un momento che si aspettava da decenni.
Si creava così il nuovo totem. Ideologico.

5 premi nobel lo hanno definito una camicia di forza, perché impedisce alle generazioni future di fare le loro scelte: Lisa Iotti ha intervistato un economista francese che, contrario a questi vincoli. Anziché prendercela con gli speculatori, che hanno causato la crisi, abbiamo solo vincolato ulteriormente i bilanci.
Tutti i paesi, nel 2012, firmano vincoli stretti come il fiscal compact: la ghigliottina che obbliga a ridurre il debito per arrivare al 60% sul PIL. Nemmeno la Germania si avvicina a questo numero.
L'Europa si è intrappolata nelle sue regole”, ha confermato alla giornalista l'economista Angelo Baglioni de Lavoce.info.
Queste regole dettano il contrario di quello che si dovrebbe fare: sono regole stupide, portate avanti da estremisti del rigore.
Se continua così, altro che Grecia”: lo ha affermato Becchetti, un altro economista chiede un referendum sul pareggio di bilancio. A firmare per il referendum abrogativo sul fiscal compact anche il senatore Vita, l'unico che due anni fa non votò il pareggio di bilancio.
Mentre altri aderirono acriticamente al governo Monti.

Letta, sul pareggio di bilancio, scarica oggi la colpa su Berlusconi, ma all'epoca la pensava all'opposto: parlava di atto solenne, di cambiamenti di buon senso.
Persino Monti dice che oggi al posto di Berlusconi non avrebbe fatto quei patti.
Berlusconi oggi è paladino dell'antiausterità. Lui che ha firmato tutto quello che l'Europa gli ha chiesto di firmare. Nel 2011.

Tutti dicono che oggi l'austerità non basta, anche Renzi.
Che durante le primarie per il PD voleva violare il patto di stabilità, la regola del 3%: “Non andiamo a Bruxelles a prendere ordini”. Ma poi non metterà mai in discussione della regola del 3%. Meglio essere prudenti in Europa.
La manovra di Renzi, presentata ad ottobre, rispetta la regola e, a suo dire, è pure una manovra di crescita: ma i 18 miliardi di tagli di tasse sono solo numeri, sostiene l'ex senatore di FI Baldassarri, sono solo previsioni rispetto alla spesa dell'anno prossimo.
Con l'austerità cresce la spesa pubblica: altro che diminuzione, altra spesa da coprire con altre tasse.
Padoan il ministro, conferma l'aumento della tassazione, in una audizione al Senato: crescerà fino al 43,6%, con le clausole di salvaguardia, che significa aumento dell'Iva e delle accise.
Padoan però è ottimista sul futuro: lo stesso ministro che aveva sbagliato la previsione della crescita del PIL, in soli sei mesi.
Perché non è facile fare le previsioni: le hanno sbagliate tutti fino ad ora, Osce, Bankitalia, BCE.
Dicevano +0,7 e invece siamo a -0,4%: sono anni che le previsioni si sbagliano, ma si continua a ripetere la storiella della luce in fondo al tunnel.
Grilli nel 2012 diceva che il debito sarebbe sceso nel 2015 al 110% ….
Tremonti prevedeva nel 2009 0,2% di crescita, siamo andati a -5,6%
Nel 2015 cresceremo di 0,6%, forse. O più probabilmente non cresceremo affatto. E sarebbe il quarto anno di seguito, una catastrofe.
Dovremmo cresce di qualche punto percentuale, per uscire dalla crisi, altro che lo 0,1% che dice l'Istat. Abbiamo perso 10 punti di pile e 1 milione di posti di lavoro.
Al sud ci sono più morti che nati.

Ci vorrebbero forti investimenti pubblici, quelli tagliati dai governi recenti.
Sono stati tagliati di 50 miliardi in questi anni: oggi solo lo Stato crea reddito e posti di lavoro. Abbiamo una classe dirigente che, per motivi ideologici, non riesce a dire più pubblico.

L'intervista a Padoan: se tutti hanno sbagliato le previsioni, se ora lei dice che ci sarà la crescita, perché dovremmo crederle?
Stiamo migliorando le previsioni”, risponde il ministro.
La tenuta dei conti? Esamineremo le voci della spesa, nel dettaglio, per impedire le clausole di salvaguardia e scongiurare aumenti di tasse.
La pressione fiscale non si è ridotta: il ministro ha risposto che l'aumento delle tasse tiene conto delle clausole, per trasparenza.
Gli economisti come Giavazzi contestano la manovra dicendo che è troppo blanda: “io non sono d'accordo con Giavazzi” - Padoan. Abbiamo tagliato le tasse in modo selettivo, abbiamo dato incentivi alle imprese per assumere.
Ridiscutere il 3% per liberare risorse: lo stiamo facendo, dice Padoan. Le priorità sono crescita e investimenti in Europa.
Mancano i progetti, risponde a Iacona: per la scuola, l'ambiente.
Il vero obiettivo per l'Italia è mettere il debito in un sentiero di discesa: se avessi miliardi da spendere, dove li metterei?”
E sullo spread “Lo spread cala perché il mercato dice che stiamo facendo le riforme, non giuste, ma sostenibili. Allentiamo i vincoli dall'interno, senza perdere la fiducia”, conclude la prima parte dell'intervista.

La strada è giusta, dice il ministro. Stretta ma giusta. Ma è una strada che sta costando tanto solo ai ceti medi e deboli.
Come la flessibilità del lavoro: è una ossessione della commissione europea. Una teoria che però non ha fondamenti: a Parigi alla scuola di economia sostengono proprio il contrario.
La richiesta di un mercato più flessibile è solo ideologica: l'Ocse non ha mai portato una correlazione tra regole del lavoro e occupazione.
Si vuole arrivare verso una liberalizzazione del lavoro, per abbassare i salari, per attaccare i diritti e le tutele sociali. La partita è politica, dicono a Parigi.
Cominciamo a far pagare le tasse a chi non le paga”, sostengono.
Queste politiche sul lavoro non stanno portando benefici. Vedremo cosa succederà in Italia.

I luoghi comuni sulla Germania: il lato oscuro della locomotiva tedesca
Almeno qui, la flessibilità porta a maggiore occupazione? No.
Anche qui ci sono persone che non riescono a mettere assieme i soldi per il pranzo. C'è una faccia pubblica di nazione di successo, ma c'è anche una faccia nascosta, quella delle persone che non hanno da mangiare.
E a Berlino ci sono centri dove distribuiscono cibo ad 1 euro: che fine ha fatto il welfare tedesco?
Tutto è cambiato con le riforme di Schroeder: adesso l'assegno di disoccupazione è stato ridotto e ti arriva per meno tempo. Rischi di scivolare nel girone dell'Hartz 4. Un assegno da poche centinaia di euro, e sei costretto il lavoro che ti trovano. Anche se non riguarda il tuo campo.
Se rifiuti, ti viene tolto tutto: sei sempre reperibile e devi sempre rispondere, anche per lavori di un giorno. Alle aziende va bene, perché pagano di meno i lavoratori.
Con le sanzioni, sei come un recluso in casa, dice un manager che ha perso il lavoro ed è finito in Hartz 4....

Alle agenzie di lavoro non trovano posti a tempo indeterminato, stabili: ti trovano lavori per pochi mesi, dove sei costretto a viaggiare.
Una delle persone finite in questo girone infernale ha raccontato la sua vita “Vivo con la paura, che il datore di lavoro mi cacci via, che mi succeda un incidente, che mi faccia male ad una partita di calcetto …”

Sono 6 milioni di persone che vivono in regime Hatz 4: manodopera a basso costo senza le tutele degli altri lavoratori. Per un sussidio da 380 euro.
Anche in Germania il lavoro non c'è, a parte i mini jobs. Come i lavori da 1 euro all'ora.
È la riforma che piace ai datori di lavoro, come in Italia col jobs act.

Si dice che la disoccupazione è scomparsa in Germania, con la flessibilità. Una deputata della Linke ha spiegato come funziona il meccanismo dei numeri: in Germania si mettono tra gli occupati quelli che sono senza lavoro, ma sono iscritti ad un job center, e anche quelli che hanno uno dei mini job.
Ora si lavora le stesse ore che si avevano prima della riforma Schroeder: si sono cambiate le regole del lavoro e con un trucco si sono aumentati i numeri dell'occupazione.
I poveri tra gli anziani stanno aumentando: i problemi sociali si sono spostati avanti negli anni.
Nel cuore di Berlino c'è un cimitero: sono i morti della riforma del lavoro. Serve a mostrare alla gente gli effetti delle riforme sulla vita della gente. Persone che sono morte perché non potevano riscaldarsi. Morti assiderati nel parco o asfissiati da una caldaietta.
E ora vorremmo portare questa riforma in Italia. E ad applaudire saranno solo quegli imprenditori che plaudono il lavoro gratis, senza tutele. Come quello di Expo per esempio.

Qui la seconda parte dell'intervista al ministro Padoan.


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