22 giugno 2015

Oggi no, domani forse

Forse oggi è la volta buona per trovare un accordo tra la Grecia e la (ex) Troika: nel caso ciò non avvenga, domani si tornerà a parlare di tonfo delle borse e di Grexit ..
Ci sono margini per tagliare ancora qualcosina, come i prepensionamenti, una tassa per le aziende con oltre 500mila euro di utili (magari anche gli armatori pagheranno).
Ma non si potrà andare avanti a spremere il limone all'infinito: l'Unione europea e gli organi sovranazionali dovrebbero capirlo, che serve avere una visione a lungo termine, che a furia di passar sopra le scelte dei cittadini poi questi si disamorano dell'Europa e si favoriscono le destre fasciste.

Di certo ieri non è stato affrontato né risolto l'argomento immigrazione tra Hollande e Renzi: il presidente francese (come tutti i paesi del resto), non vogliono le quote. L'Italia tira in ballo la solidarietà tra i paesi europei.
Andremo avanti a non risolvere il problema e a rimandare ad un domani dove l'emergenza (e l'insofferenza delle persone) diventerà sempre più grande.

L'arte del rimandare è come una partita a poker, dove devi essere bravo a capire quando smettere coi bluff.
Funziona a breve termine.
Si sono salvate le banche creditrici europee.
Si è scaricato sulle regioni del sud (e su poche città del nord come Milano) il problema dei profughi, su cui hanno speculato le coop rosse e bianche. 

Ma domani?

Sempre in tema migranti: Fabrizio Gatti su l'Espresso racconta dei progetti nati e fatti morire in Africa. Progetti che avrebbero potuto arginare i flussi migratori creando un minimo di benessere e posti di lavoro.
Con i due miliardi e 288 milioni spesi dal nostro governo negli ultimi quattro anni, avremmo potuto far lavorare un milione e 830 mila uomini e donne. E garantire una ricaduta positiva sulle loro famiglie per un totale di dodici milioni e ottocentomila persone. In altre parole, con un investimento di 180 euro per persona in Africa e un progetto decente, e soprattutto gestito dai beneficiari, potremmo alla fine fermare al via gran parte degli emigranti in cerca di lavoro. Destinando così l’accoglienza in Europa a quanti chiedono asilo o protezione umanitaria perché davvero in fuga da guerre o dittature: come siriani, eritrei e somali. Il successo dell’esperimento è tutto qui, nel caldo torrido di Makalondi, sulla strada nazionale che dal Burkina Faso porta a Niamey, la capitale del Niger. 
Un successo talmente a buon mercato che proprio in questi giorni il progetto, avviato nel 2012 dall’associazione piemontese “Terre solidali” e dall’Università di Torino, verrà chiuso e archiviato dall’Unione Europea. Non è una bocciatura. Funziona proprio così. Bruxelles ci mette il 75 per cento dei soldi necessari, gli altri bisogna trovarseli. Poi però i risultati devono essere raggiunti e rendicontati all’Ue in appena tre-quattro anni, in modo che il commissario di turno possa appropriarsi di cifre e applausi nel corso del mandato. L’Europa industriale sta depauperando il continente da secoli, ma noi pretendiamo che gli africani si rimettano in piedi nel giro di trentasei-quarantotto mesi. Con questi cappi al collo, qualunque Sergio Marchionne troverebbe più conveniente e capitalistico pagarsi il viaggio sul barcone.
Possiamo continuare a ragionare come se questi (la Grecia, la povertà nei paesi africani, le guerre, la disperazione di chi scappa) non siano un problema nostro.
Ma non dimentichiamoci che c'è sempre qualcuno disposto a specularci sopra.
E a portare i migranti qua.
E attraverso la Grecia passa una parte dei migranti dall'Asia: che succede se la Grecia fallisce? Ci avete pensato?

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