24 agosto 2015

Fumisteria, di Fabio Stassi

Certe storie sono peggio dei mafiosi. Non si fanno catturare. È per questo che si deve tacerle. Solo così, se si ha fortuna, all’ultimo, qualcuna si riesce pure a prenderla. Ma capita di rado. E, se capita, è solo per la coda. Perché da questa terra hanno rapinato tutto, proprio tutto, anche le voci, e il silenzio, è rimasto meno di niente”.

Fumisteria, lo spiega l'autore a fine libro, in dialetto siciliano significa indica il gusto di fare scherzi, ma anche quei discorsi altisonanti ma vuoti, destinati a risolversi in fumo.
Significa promettere e non mantenere: una pratica ben nota a taluni politici capaci di passare attraverso le varie ere politiche, voltando semplicemente gabbana.
Cosa c'entra questo col libro? Fabio Stassi racconta, attraverso un fatto di cronaca, della Sicilia del dopo guerra, delle lotte dei contadini e della (finta) riforma agraria che lasciò ancora le terre ai latifondisti. Dove le rivolte dei contadini e dei sindacati che aspiravano finalmente ad un cambiamento, furono soffocate con la violenza, col sopruso, col beneplacito dei politici che, dopo le ambizioni separatiste, avevano ben capito come avrebbe girato il vento e si erano rifugiati dietro lo scudo crociato.
A Kalamet, Padre Bendicò invocava ogni domenica, dal pulpito della Matrice, la scomunica per i comunisti e i socialisti e le fiamme dell’inferno per chi desse loro credito. Ma la precarietà del momento era solo apparente, l’ultima convulsione di una crisi ormai sotto controllo. La Democrazia Cristiana prometteva di portare a perfezione antichi e affidabilissimi sistemi di governo”.

Tutto questo viene raccontato attraverso un fatto di cronaca, ambientato nel paese di Kalamet (inventato, ma reale): uno dei tanti avvenuti in quegli anni in Sicilia. È l'omicidio del sindacalista Rocco La Paglia, trovato morto accanto la fontana del paese:
“Rocco fu ucciso che beveva dalla fontana di via Verdi. Bastarono due colpi di pugnale alle spalle, la punta nel cuore. L’uomo cadde chino in avanti e il viso combaciò con la fessura di pietra ai suoi piedi. Un pacchetto di sigarette sgusciò da una tasca della sua camicia e si aprì sul selciato. Non era ancora l’alba”.
Ma questo, invece, una soluzione la trova: i carabinieri individuarono in motivi d'onore (perso) la ragione per cui l'avvocato Licata (che aveva gestito i latifondi per i baroni e i signori) aveva ucciso il sindacalista ritenendolo l'amante della moglie Ester.

Ma anche questa è fumisteria: la storia, raccontata in brevi capitoli, ha un'altra amara verità, che riporta alla strage di Portella della Ginestra, ai suoi veri mandanti (politici).
Le ultime speranze di Rocco si infransero il primo maggio del 1947, quando Giuliano il bandito, o chissà chi altro, e chissà per conto di chi, e chissà perché, sparò contro i contadini in festa di Piana degli Albanesi”.

Il primo maggio del 1947, a Portella della Ginestra (nel paese di Piana degli Albanesi), la mafia, la banda di Giuliano e commandos armati con fucili americani spararono sulla folla lì radunata per festeggiare è una di quelle storie “che non si fanno catturare”, come dice la voce narrante che alterna il suo racconto della Sicilia alle storie dei protagonisti. Il primo segreto di Stato, Portella segna l'ingresso al tavolo della politica regionale (e nazionale) della mafia, segna il patto tra latifondo, massoneria, mafia e malapolitica.
Dal paese se ne sono andati anche gli scarpari, mi hanno detto, perché non hanno più nessuno a cui fare le scarpe. Sono rimasti solo quelli senza cervello, un poco di pescatori e chi sta in carcere, come me.”

Questa è l'amaro commento di questa voce, un contrabbandiere finito in carcere dopo aver ucciso un carabiniere (come il bandito Giuliano): la fine delle lotte contadine, la chiusura delle miniere, la fine nel sangue dei sindacalisti che cercavano giustizia e libertà (senza la prima non si può avere nemmeno la seconda), costrinsero quanti poterono ad andarsene dai paesi, dai campi.
È che da quest’isola se ne vanno tutti, non solo gli scarpari, anche le storie, perché non c’è più a chi raccontarle. Restano solo quelle che non hanno senso e non dicono niente.”

La storia del fumo.
Non è solo la fumisteria delle promesse non mantenute: il fumo in questo racconto è centrale per altri motivi. Parte dall'odore del fumo la storia inventata della relazione tra la moglie dell'avvocato e il sindacalista Rocco:
Il letto sapeva di fumo. L’avvocato Licata ne fiutò l’odore appena mise la testa sul cuscino. La data di quella notte non la dimenticò più: 24 settembre 1954, giorno d’estate appena bruciata, di vendemmia e luna equinoziale”.

E la lettera anonima che porta i carabinieri su questa pista fa ancora riferimento al fumo.
E il fumo era un vizio che accomunava la domestica di casa Licata ma anche Ester, la moglie.
Fumo l'inchiesta dei carabinieri.
Fumo la resistenza, il partito di Rocco. Fumo i suoi assassini e la mafia.
Tutto fumo:
soltanto qualche naso più fine di altri, a volte, in particolari circostanze, potrà appena percepire un certo lontano odore di bruciato”.

I muli della vergogna e la storia personale di Fabio Stassi
Il bisnonno di Fabio Stassi quel giorno era salito a Portella, assieme ai suoi muli: i suoi parenti hanno raccontato le storie che fanno da cornice al racconto. Le partenze e i ritorni, le lotte per ribellarsi ad un destino di ingiustizia già scritto.
Da loro, ha ascoltato il primo racconto sulla strage di Portella della Ginestra, troppo bella per non riportarla:
Sciatu meu, la valle era tutta una giostra di bambini.
Arrivavano contadini da ogni paese. Da San Giuseppe Jato, Altofonte, da Montelepre, da San Cipirello...
Erano due anni dalla fine della guerra, in Sicilia quattro.
Ma ancora non si sapeva in che ordine sarebbero tornate le cose.
Nell’isola avevano vinto le sinistre. C’era clima di attesa, e di speranza.
Da ogni lato della montagna si inerpicavano muli.
Da una parte venivano su carichi di nespole, vino, carciofi e pane.
Dall’altra, nascosti tra insenature di roccia e sentieri di pascolo, risalivano il costone pieni di moschetti militari e fucili americani.
Tu i muli li vedi, e ti sembrano uguali, diceva mio padre. Invece uguali non sono.
Alcuni quella mattina portavano la morte, sotto coperte di spago; altri dispensavano pane e frutta. Erano muli contrari nella dignità e nella soma.

La scheda del libro sul sito di Sellerio.

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