I giornalisti Andrea Greco e Giuseppe
Oddo dedicano un intero capitolo del libro “Lo stato parallelo”
(l'inchiesta sull'Eni tra politica, servizi, scandali e guerre
geopolitiche), è dedicato alla gestione dell'ex amministratore
delegato Scaroni.
Che nel 2005 prese il posto di Mincato,
silurato anche per aver bloccato l'affare Mentasti con cui Gazprom
voleva entrare nella distribuzione del gas in Italia.
Con Scaroni - scrivono i giornalisti -
il cane a sei zampe venne imbrigliato dal governo, anzi da
Berlusconi, che dettò la linea energetica del paese, di cui ancora
oggi paghiamo le conseguenze:
La prima novità di rilievo avvenne sull'asse Roma-Mosca, dove le relazioni amicali dei i capi dei due governi avevano prodotto un'intesa strategica di tipo geopolitico. Da mesi la novità si preparava, e il vertice Nato di Pratica di Mare del 2002, con Putin ospite d'eccezione dell'Alleanza Atlantica, mostrò al mondo fino a che punto potessero spingersi l'abilità e la determinazione di Berlusconi nel veicolare la politica estera con il dosaggio di personalismi, parole, gesti di favore e lazzi.Mario Reali, mente e cuore dell'Eni in Russia, ricorda così quel periodo: «Con intensità crescente negli anni 2004-2005, lavorando con Mosca, notai un nuovo atteggiamento. I russi ci lasciavano parlare, poi dicevano: “Tu e Mincato è inutile che chiacchieriate tanto, perché Berlusconi parla con Putin”. Così l'azienda perse in Russia quell'autorevolezza che aveva rafforzato negli anni anche in virtù della sua veste di acquirente unico del gas in Italia».
Berlusconi e Tremonti, poi, agendo sulle competenze del governo, misero l'Eni al guinzaglio governativo. Il primo esautorò il governo e il ministero competente, nel campo della politica energetica, il secondo costrinse il gruppo a un crescente drenaggio di utili per rimpinguare le casse pubbliche. Questa le versione di un alto funzionario di via XX Settembre: «Fino al 2005 nessuno faceva politica energetica a Palazzo Chigi. L'Eni, una tecnostruttura unica tra le aziende italiane, era gestita da Mincato come fosse una sua pertinenza. Il cambio di marcia arrivò dalla politica estera e lo imprese Berlusconi, i cui rapporti diretti con Putin scavalcarono sia la società sia la politica energetica. Tutto avveniva nelle dacie e nelle ville in Sardegna, un lavoro di bassa cucina».I risultati del nuovo corso berlusconiano furono l'accresciuta dipendenza dalle forniture del gas russo, la sordina all'esplorazione e alla produzione, vale a dire agli investimenti, e il conseguente storno di crescenti flussi di cassa, e talvolta anche di debito, per la remunerazione dei soci. Il più famelico dei quali era proprio il Tesoro. Le società pubbliche come l'Eni furono trasformate in uno sportello dell'azionista-Stato. La sicurezza dei conti pubblici divenne prioritaria rispetto a quella degli approvvigionamenti e della diversificazione delle fonti.
Scaroni capì al volo l'antifona. Nell'ottobre del 2005, appena qualche mese dopo il suo insediamento, concesse un maxi-dividendo allo Stato. Da allora la gratificazione del socio pubblico sarà una costante, sarà sempre in cima ai suoi pensieri, senza peraltro alcun beneficio per le quotazioni del titolo in Borsa.«Siamo di gran lunga i principali contributori al Tesoro di dividendi» dirà Scaroni in una delle sue ultime audizioni al Senato. Nei suoi nove anni di gestione, l'Eni aveva versato allo Stato 29,7 miliardi di euro, di cui 12 di cedole e 15 di imposte. Soltanto nel 2009, dopo l'archiviazione di un utile più che dimezzato rispetto agli anni precedenti (per il «peggioramento dello scenario petrolifero, il calo del margine di raffinazione e il minore contributo delle partecipazioni»), il dividendo era stato ridotto da 1,30 a 1 euro per azione: una misura necessaria per non compromettere l'equilibrio tra cassa, debito e rating.
Lo
Stato parallelo – Chiarelettere,
di Andrea Oddo e Giuseppe Greco.
Dal blog di uno degli autori, Giuseppe Oddo: "Berlusconi, era nostro interesse acquistare più gas dalla Russia".
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