Lo storico Casarrubea, che molto aveva
studiato le carte sulla strage di Portella, l'aveva battezzata “il
peccato originale” della nostra Repubblica.
Uomini dello Stato e dell'antistato che
si frequentavano senza preoccuparsi, anzi preoccupandosi che i
mafiosi si comportino come buoni figliuoli.
Così scriveva la corte il tribunale di
Viterbo sulla strage, con un linguaggio che nasconde l'ipocrisia
dello stato.
“L’Ispettore Verdiani non esitò ad avere rapporti con il capo della mafia di Monreale, Ignazio Miceli, ed anche con lo stesso Giuliano, con cui si incontrò nella casetta campestre di un sospetto appartenente alla mafia, Giuseppe Marotta in territorio di Castelvetrano ed alla presenza di Gaspare Pisciotta, nonché dei mafiosi Miceli, zio e nipote, quest’ultimo cognato dell’imputato Remo Corrao, e dal mafioso Albano. E quel convegno si concluse con la raccomandazione fatta al capo della banda ed al luogotenente di essere dei bravi e buoni figlioli, perché egli si sarebbe adoperato presso il Procuratore Generale di Palermo, che era Pili Emanuele, onde Maria Lombardo madre del capo bandito, fosse ammessa alla libertà provvisoria. E l’attività dell’ispettore Verdiani non cessò più; poiché qualche giorno prima che Giuliano fosse soppresso, attraverso il mafioso Marotta pervenne o doveva a Giuliano pervenire una lettera con cui lo si metteva in guardia, facendogli intendere che Gaspare Pisciotta era entrato nell’orbita del Colonnello Luca (si tratta dell’ex generale dei Carabinieri Ugo Luca, che tra il 1949 e il 1950 coordinò l’uccisione di Giuliano in Sicilia”.
Estratto della sentenza del tribunale
di Viterbo 1952
Questo era (ed è) lo stato che sa da
chiacchiere che Miceli è un boss della mafia e non da un'indagine
delle forze dell'ordine.
Dove l'ex capo del corpo forze repressione banditismo Ciro Verdiani non ha problemi ad incontrare un bandito che ha ucciso carabinieri e soldati.
Uno stato che ammette che un mafioso
giri tranquillamente per la Sicilia, che viene avvisato che un suo
luogotenente lo sta tradendo ...
Nel romanzo "Noi che gridammo al vento", dove si parla appunto di questo tragico evento della nostra storia, si cita la sentenza del Tribunale e anche una frase di Bobbio:
La verità (che non è tanto ingenua da credere solo nei processi o nelle cricche) non fa il gioco di nessuno: è la salvezza di tutti, se ci si muove per guarire e non per fomentare rumorose risse: non sarebbe ancora verità.Profezione di Norberto Bobbio al libro di Danilo Dolci Banditi a Partinico
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