07 gennaio 2017

Ritratto dell'Italia e degli italiani di Dino Risi

In occasione dell'anniversario della nascita, mi sono fatto una personale rassegna cinematografica dei film del regista Dino Risi (in attesa che magari un giorno siano trasmessi in prima serata dalla Rai).
Cominciando da due film, meno noti degli altri: La marcia su Roma del 1961 e In nome del popolo italiano del 1971, entrambi con protagonisti Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi.

Il primo film è il racconto della marcia su Roma, il tentativo di colpo di Stato usato da Mussolini per fare pressioni sul re per entrare a Palazzo Chigi, dalla porta principale e non marciando assieme alle squadracce.
Domenico Rocchetti (Gassmann) e Umberto Gavazza (Tognazzi) sono due reduci della guerra: il primo sopravvive scroccando qualche lira ai passanti fingendo di essere ex commilitoni, il secondo è un contadino senza lavoro, che vive mal sopportato sulle spalle del cognato.
Siamo nel 1919 e in via San Sepolcro è appena nato il partito fascista, con a capo l'ex socialista Benito Mussolini: nel piano delle riforme è previsto il passaggio alla repubblica, la libertà di stampa, la fine dei titoli nobiliari, la terra ai contadini, le libere elezioni ..
Più per scroccare un pasto che per vera convinzione, Rocchetti entra in una delle “squadracce” e, in campagna fuori Milano incontra Gavazza.

Sono gli anni in cui le squadracce venivano usate per mostrare come il fascismo avrebbe ripristinato l'ordine, per esempio prendendo il posto dei netturbini in sciopero.
Finiti in carcere dopo uno scontro con la polizia, vengono liberati dai camerati che irrompono a San Vittore (il prefetto di Milano, fascista, aveva lasciato campo libero).
Siamo nel 1922 e si prepara la marcia su Roma che vedremo raccontata con gli occhi di questi due disgraziati che, man mano che scendono sulla capitale, hanno modo di ricredersi sulle presunte “riforme” del fascismo.
Niente libertà di stampa, visto che bruciano le tipografie che stampano giornali di sinistra.
Niente libere elezioni, visto che nel 1919 le hanno perse e la prossima volta si faranno a modo nostro.
Niente terra ai contadini e niente abolizione dei titoli nobiliari, visto che i latifondisti e i nobili sono i finanziatori dei gerarchi fascisti.



Riusciranno, come eroica impresa, a far bere un bicchiere di olio di ricino al magistrato in pensione che li aveva fatti condannare anni prima, ricevendone però una lezione di dignità e di civiltà.


Arriveranno anche loro a Roma: ma almeno butteranno giù il re Mussolini e i suoi gerarchi?
ma mica possono dare il governo a gente così, vedrai che ora le cose cambiano da così a così” dice Gavazza ..
Mentre dal palco, il registra fa dire al re, parlando al suo aiutante di campo

 «Ammiraglio, spassionatamente, cosa ne pensa di questi fascisti? Crede che mettiamo il paese in buone mani? Mi dica fuori dai denti qual è il suo parere, perché siamo ancora in tempo a sbatterli fuori, néh!», «Spassionatamente, Maestà, mi sembra gente seria.» «Ma sì, proviamoli per qualche mese!»  





Nel film In nome del popolo italiano siamo in piena democrazia, nei primi anni '70: il giudice istruttore Bonifazi (Tognazzi) è uno di quei magistrati che all'epoca venivano chiamati pretori d'assalto, perché si permettevano di aprire fascicoli contro nomi importanti dell'industria e dell'imprenditoria.
Per esempio contro gente come il dottor Santenocito, presidente di una azienda di plastiche che inquina il tratto di mare dove il giudice va a pescare. Ma anche costruttore edile molto ammanicato con la politica, uno di quei capitani di industria che ogni anno prendono premi per il loro lavoro.
Il nome di Santenocito viene fuori in un caso di cui si occupa Bonifazi: una ragazza venuta dal paese a Roma, grazie alla raccomandazione del dottore e che a Roma faceva la escort di lusso per aiutare quegli incontri di affari che si chiudono meglio a tavola che non negli uffici. E ancora meglio si chiudono a letto.
Come si vede, questo paese non è cambiato molto da allora.

L'indagine di Bonifazi punta su Santenocito, sull'alibi della sera in cui la ragazza è morta, avvelenata e con segni di percosse sul corpo.


Dopo un primo tentativo di sfuggire alla macchina della giustizia, l'industriale cerca poi di comprarsi la benignità del giudice, invitandolo a pranzo, ammiccando, strizzando l'occhio ..
Con Bonifazi non funziona: sotto una pioggia battente, l'industriale accusa il giudice di essere prevenuto nei suoi confronti, di non essere un buon giudice.
Forse ha ragione: il giudice vede in quell'industriale il simbolo di tutti i mali dell'Italia. I mari inquinati, le strade che crollano, la speculazione edilizia, la corruzione per le opere pubbliche, un sistema corrotto che va avanti solo grazie alle relazioni con cui si protegge da servitori dello stato come Bonifazi.
Tutto questo esplode nel finale, evocativo, dove, duranti i festeggiamenti per la vittoria dell'Italia sull'Inghilterra, Bonifazi continua a rivedere Santenocito in mezzo alla folla, una volta come tifoso, una volta come paracadutista (che canta la canzone di Giarabub), un'altra vestito da prostituta ..


In man ha le prove della sua innocenza, non ha ucciso la ragazza. Le prove vengono gettate nelle fiamme di una macchina incendiata dai tifosi ..

Il ritratto degli italiani.
In questi due film Dino Risi ha raccontato il carattere di noi italiani: quello cialtrone e opportunista di sbandati come le due camice nere, la vera natura del fascismo all'italiana, prepotente coi deboli e connivente coi potenti. L'inettitudine delle classi dirigenti, del re in prima persona e di parte degli intellettuali (uno dei personaggi è un poeta che ricorda vagamente il D'Annunzio), la facilità con cui noi italiani ci facciamo abbindolare dall'uomo forte, quel bisogno di ordine che viene usato come maquillage affinché nulla cambi, nelle classi dirigenti italiane.

E, nell'altro film, l'impossibilità da parte di un magistrato, da parte delle stesse istituzioni, di fare giustizia in un modo che, così corrotto, non si può risolvere se si rispettano le leggi stesse.

Il crollo del palazzo di Giustizia a Roma, è metafora di un paese in cui è perennemente a rischio la tenuta delle istituzioni, dove le tangentopoli si susseguono, decennio dopo decennio.
"La corruzione è l'unico modo per sveltire gli iter e quindi incentivare le iniziative: la corruzione, possiamo arrivare a dire paradossalmente, è essa stessa progresso".

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