06 febbraio 2017

L'ambasciatore, i Servizi e il mistero Falange armata - da Il filo dei giorni (Torrealta)

Si intitola "Il filo dei giorni", il saggio scritto da Maurizio Torrealta per Imprimatur: si occupa del biennio 1992-1993 (tra prima e seconda repubblica), i mesi delle bombe per gli attentati rivendicati dall'organizzazione Falange Armata.



Il Fatto Quotidiano del 5 febbraio ne ha pubblicato uno stralcio (preso dal sito Antimafiaduemila):
Maurizio Torrealta - Un romanzo sulla sigla che rivendicò una decina di attentati nei primi anni 90, tra mafia e 007 “deviati” di Gianni Barbacetto 
Nel biennio 1992-93, sul crinale tra “prima” e “seconda” Repubblica, compare in Italia una nuova sigla, Falange Armata, che rivendica una decina di attentati terroristici. Le indagini giudiziarie che tentano di capire chi si muova dietro quella sigla non giungeranno ad alcun risultato certo. Ecco allora che un giornalista d’inchiesta come Maurizio Torrealta, grande conoscitore dell’eversione nera e degli apparati di Stato, sceglie la strada del romanzo per raccontare una storia vera e drammatica, che lambisce pezzi di servizi segreti (la Settima divisione Ossi del Sismi) e di apparati militari (gli incursori di Marina del Comsubin e i parà del Col Moschin). Tra i personaggi del racconto, non è difficile intravedere l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, ex dirigente dei servizi, che nel 1993 consegna al capo della polizia e al comandante dei carabinieri una lista di 16 agenti del Sismi, per “meri fini di riscontro” in merito agli attentati. Il risultato è Il filo dei giorni, edizioni Imprimatur, che arriva in questi giorni in libreria. Eccone alcuni brani. 
“In tutto questo, Bruno, c’è qualcosa che ancora non mi torna. Falange Armata. Una sigla nuova, mai comparsa prima, ma molto ambigua: sembra voler indicare la luna, ma non si vede neanche il dito. Che ruolo ha in questa storia?”. “Falange Armata è il nome di comodo di chi si occuperà di rivendicare le azioni, tutte, quelle vere e quelle presunte, quelle compiute e quelle no. Non ci dovrà essere più alcuna certezza, il Paese dovrà assaggiare il sapore del terrore e della vera instabilità. Troppo a lungo ha goduto di una democrazia costruita sulle nostre operazioni sporche, di guerra psicologica, e dai nostri interventi silenziosi. I tempi sono cambiati”.
Guido, mentre annuisce in silenzio, appunta mentalmente le informazioni confidenziali che il suo vecchio commilitone gli sta fornendo, forse in onore di quel cameratismo a cui sembra ancora credere. “Potrà succedere di tutto. Fai arrivare ai tuoi colleghi dell’ufficio politico questo messaggio: da questa stagione non si uscirà con i comunisti al governo, solo perché hanno cambiato nome. Chi di dovere se lo dovrà mettere bene in testa, o lo faremo noi con la terapia del terrore, che è l’unica che funziona sempre. Anche se chi dava gli ordini non c’è più, rimaniamo un esercito armato e invisibile”. “Bruno, un esercito senza paga non va molto lontano”. “Fallo sapere ai tuoi capi. Sappiamo rispondere colpo su colpo. Non gli conviene intralciarci. Chi cercherà di mettersi contro, chi si lascerà sfuggire dei nomi, ti assicuro che non passerà dei bei momenti. Camerati o non camerati”.
Guido coglie la minaccia, neanche troppo velata, che gli viene indirizzata per bocca del parà. Gli si chiede reticenza, che vuol dire complicità. La conversazione sta prendendo una brutta piega, e Guido cerca di mitigare i toni. “Ma a voi non vi toccheranno, quelli che avevano delle responsabilità sono stati coperti di denaro e gli altri hanno fatto soldi con ogni genere di traffici, dalla coca alle armi. Quelli che staranno male, ma male veramente, saranno i detenuti, soprattutto quelli delle organizzazioni criminali e mafiose. Saranno loro le vittime sacrificali.
Vedi, sono stati tutti arruolati dentro quella che doveva essere una crociata; in prima linea contro un nemico considerato assoluto; poi, di colpo, licenziati, perché non servivano più. Il loro discorso è semplice: vogliono soldi per il servizio assolto, e libertà di movimento nelle carceri. Per il resto sono nella nostra stessa situazione: hanno lavorato con noi e non vogliono essere condannati. Se parlano loro, c’è il rischio che cada non solo il governo, ma qualche pezzo dell’Alleanza atlantica. Per questo, per evitare che certe notizie trapelino, un segnale deve essere dato”.
“Che segnale?”. “I primi a cui verrà cucita la bocca saranno quei civili che hanno frequentato troppo le carceri per non avere orecchiato qualche frammento di cosa stava avvenendo là dentro: tipo gli educatori, i teatranti e rompicoglioni vari; poi i pentiti, quelli veri. Gli altri, quelli finti, sono tutti gestiti dall’organizzazione. E quelli che non saranno fatti fuori, verranno arruolati con uno stipendio anche dentro le carceri. Così saremo sicuri che staranno zitti”. (…)
In questa storia ci sono due persone che non si conoscono, né mai si conosceranno, e che non hanno niente in comune l’una con l’altra: una sta ai “piani alti” e l’altra batte le strade. Partono da idee politiche diverse ma il filo dei propri ragionamenti sembra giungere allo stesso punto: una è l’ambasciatore Francesco Maria Dell’Arti, da poco nominato capo di una struttura dell’intelligence, l’altra è il solitario e scontroso poliziotto della Digos di Firenze, Guido. Però qualcosa in comune, che li contraddistingue, ce l’hanno: la capacità di leggere dietro le apparenze e, in una certa misura, di sapere anticipare il corso che gli eventi prenderanno. Leggono i giornali che un giorno strillano “Allarme golpe” e poi quello dopo “La bufala del golpe”, e pensano: “Due più due fa quattro: hanno sciolto Gladio ed è comparsa la Falange Armata. Quando c’era il primo, non c’era la seconda e viceversa. Ora hanno chiuso il primo ed è apparsa la seconda. La soluzione è semplice: sono sempre loro, però, questa volta, molto incazzati”.
 
In questa primavera romana l’aria è già tiepida, e per scaldare la temperatura del disordine si stanno preparando operazioni molto strane. Dell’Arti, che ha indetto una riunione in ufficio, sta leggendo ai suoi collaboratori l’informativa che ha ricevuto dai funzionari della sua struttura: “Sono iniziati, con una frequenza mai vista, una serie di furti in abitazioni importanti: effrazioni in casa del ministro della Pubblica istruzione, in quella del ministro per il Mezzogiorno, a casa del capo della segreteria del ministro dell’Interno, in quella del ministro della Marina mercantile, per due volte nella casa del direttore della Rai, nella casa del ministro per le Aeree urbane, in quella del sottosegretario alla Difesa; intrusioni notturne anche nella sede del Partito liberale e dell’ex Partito comunista, furti a casa del comandante generale dell’Arma dei carabinieri e del ministro degli Esteri. Sono state perfino rubate delle armi nella macchina del capo della polizia. Vecchie conoscenze legate alle galassie della massoneria e del neofascismo hanno cominciato a fondare leghe del sud in ogni regione meridionale per dividere l’Italia in tre.
“Dunque, ambasciatore, lei prevede un ritorno all’uso terroristico delle stragi?”. A porre il quesito è il suo braccio destro, un giovane dall’aria severa. “La cosiddetta Falange Armata le sta annunciando da tempo. Ho incaricato una persona di mia fiducia di analizzare da dove partono le telefonate di minaccia e in quali orari. E ho scoperto che vengono effettuate sempre in orario d’ufficio, da città dove è presente una sede del Sismi, e da carceri all’interno delle quali è presente qualche suo funzionario.
Da questo deduco che potrebbe trattarsi di qualche personaggio legato proprio a quella struttura. E purtroppo non credo che in questa situazione, anche se esistono forme di terrorismo più diluito e periferico, quei signori rinunceranno a usare l’esplosivo. Ma non si tratterà di qualche spettacolo pirotecnico simbolico, bensì del gran finale dei fuochi d’artificio dell’‘esercito segreto’ della prima Repubblica”.(5 febbraio 2017)

Le stragi come strumento di dialogo tra poteri eversivi e non, destabilizzare per stabilizzare, servizi che vengono chiamati deviati ma che rispondono ad esponenti delle istituzioni.
La trattativa tra stato e mafia nel sottofondo, il nuovo patto tra i nuovi referenti di stato e antistato.

La scheda del libro sul sito di Imprimatur:
Dal maggio del 1992 alla fine del 1993 l’Italia è insanguinata da una decina di attentati firmati dal gruppo terroristico che si fa chiamare Falange Armata. Sono numerosi i morti che provocano in tutto il Paese. Un ispettore della Digos, che conosce bene gli ambienti dell’eversione neofascista, capisce in poco tempo cosa si muove dietro l’ambigua sigla che dice di aver scatenato l’ondata di bombe e terrore, ma non viene ascoltato. Un ambasciatore del nostro Paese consegna al capo dell’Arma dei carabinieri una lista di sedici persone che dovranno essere indagate nell’eventualità che venga ammazzato. Una giovane giornalista, grazie al suo intuito spregiudicato e alla sua ferrea logica, ricostruisce pezzo per pezzo quello che solo in apparenza è impossibile vedere.
La rivelazione di Gladio, gli omicidi della Uno Bianca, le bombe davanti alle chiese e ai musei; ma anche la trattativa con Cosa Nostra, i tentativi di golpe, i segreti di Stato. È una partita a scacchi, giocata senza esclusione di colpi, che finisce in stallo. I testimoni che raccontano la verità vengono fatti sparire, quelli che accettano di mentire vengono premiati. Tutto torna normale. Può nascere la Seconda Repubblica.
E i morti? Danni collaterali. È un romanzo, ovviamente…

Altri libri in tema
- Stragi di Rita di Giovacchino
- Protocollo fantasma di Walter Molino 
- Il quarto livello di Maurizio Torrealta

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