02 luglio 2017

Il piano per una vera accoglienza

Stefano Feltri intervista la giornalista Milena Gabanelli sul tema dell'immigrazione (e dell'accoglienza): a Report avevano elaborato un piano di vera accoglienza, che creasse occupazione e che diminuisse le tensioni a livello locale per l'arrivo di profughi e immigrati.



“Più metti in opera possibilità di salvataggio e più i trafficanti portano in mare un’umanità disperata e inconsapevole”. Milena Gabanelli oggi è vicedirettore dell’area digital della tv di Stato per il progetto web Rai24. Ma prima di lasciare il suo Report su Rai3 si è occupata molto di migranti. E la sua voce sul tema è molto ascoltata.
Milena Gabanelli, chiudere i porti è fattibile o è solo una minaccia per fare pressione sull’Ue?
 
Una soluzione andrà trovata, se le intenzioni di “non lasciare l’Italia sola” continuano a rimanere “intenzioni”, qualcosa di concreto andrà fatto. Ma forse sarebbe sufficiente se, da subito, qualche Ong straniera facesse un’azione dimostrativa. Medici senza frontiere potrebbe sbarcare migranti a Nizza o il Muos a Malta. Vediamo se il democratico Macron ha il coraggio di dire “qui non li portate”. 
Ma è realistico pensare di sbarcare i migranti salvati in mare sulle coste di altri Paesi: Malta, Spagna e Francia? 
La Convenzione di Amburgo obbliga a sbarcare nel primo porto sicuro: dovrebbe essere la Tunisia, che ha firmato quella convenzione, e anche Malta. Ma poiché il flusso è costante, e alcune navi sono dotate di infermeria, potrebbero arrivare anche in Spagna o a Nizza. Il ministro Minniti ha ragione quando dice “non si può disgiungere il momento del salvataggio da quello dell’accoglienza, e quest’ultimo non può essere un problema di un solo Paese”. 
Sulle Ong che idea si è fatta? Complici involontari dei trafficanti o riempiono un vuoto? 
Fino a quando le inchieste non saranno arrivate a conclusione non si può alimentare alcun sospetto. L’unico dato certo è che non ci sono mai state tante navi che si adoperano per il salvataggio e mentre nel 2015 i morti in mare sono stati 2800, nel 2016 siamo arrivati a 4300. Una considerazione andrà pur fatta. Più metti in opera possibilità di salvataggio e più i trafficanti portano in mare i migranti. 
I ricollocamenti non funzionano, l’Italia ha spostato solo settemila persone. Dobbiamo rassegnarci? 
No, la tenuta del sistema Italia si giocherà su questo. Siamo l’hub d’Europa, serve un progetto che non ci veda soccombere. 
Se identifichiamo persone che non hanno diritto di asilo, è impossibile spostarle in altri Paesi. Sono i “migranti economici”. Che fare? 
Al momento dello sbarco non c’è una identificazione, ma una autodichiarazione con fotosegnalamento e impronte digitali. Poi le persone vengono sparpagliate per i Comuni, molte spariscono. L’identificazione è più complessa e va organizzata a monte. Alla fine di questo processo chi non ha diritto a restare, deve essere accompagnato al Paese d’origine, che spesso però non lo riconosce come cittadino. Per questo occorre aver fatto prima accordi bilaterali. È complicato, ma non impossibile, se decidiamo di trasferire una delegazione a Bruxelles determinata a non venir via da lì senza aver raggiunto un impegno comune. 
Come si fa a trasformare questa emergenza in una opportunità?
L’opportunità è quella di decidere che il sistema accoglienza è un affare di Stato, e quindi si rimettono a posto i luoghi pubblici (dalle caserme ai resort sequestrati alla mafia, agli ex ospedali), e assumere personale qualificato, circa 28.000 persone: formatori, medici, psicologi. Un sistema di accoglienza dove le cooperative e le associazioni hanno un ruolo di supporto e non più di gestione. Il tempo di permanenza dei migranti in questi luoghi non deve superare i 6 mesi, trascorsi i quali chi ha diritto a restare, munito di curriculum, viene trasferito in piccoli gruppi nei Comuni e, per quote, nel resto dei Paesi membri. 
E quanto costerebbe? 
Il costo che in cinque mesi di lavoro io e la mia squadra, insieme a esperti del settore, abbiamo stimato, sarebbe di circa 2 miliardi per la messa in abitabilità, e 2,2 miliardi l’anno per gestione e personale. La ricaduta sarebbe una maggiore percezione di sicurezza, oltre a una maggior disponibilità dei Comuni a farsi carico dell’integrazione, poiché le persone che arrivano sui loro territori sono solo quelle con diritto all’asilo, hanno imparato la lingua, un mestiere e conoscono le regole. 
Perché le strutture italiane sono sempre al collasso anche se l’impennata di sbarchi era prevista? 
Perché manca una visione a monte e si spera sempre che un giorno o l’altro gli sbarchi diminuiscano. 
È realistico rimandare la soluzione a un controllo dei flussi, soprattutto in Libia, come ha detto il ministro Minniti? 
Minniti fa ciò che può. Si sta spendendo molto sul fronte libico e dobbiamo augurarci che ci riesca, perché non si può prescindere da un intervento là dove il problema ha origine. Ma saranno tempi lunghi. Intanto c’è un problema qui e Minniti non può fare tutto da solo.

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