07 dicembre 2017

5 colpi alla 'ndrangheta – la serata finale ad Inverigo


Si chiude ad Inverigo la serie diincontri dedicati alla cultura della legalità e per il contrasto alle mafie in Brianza – 5 colpi alla ndrangheta: cinque serate cominciate con l'incontro a Lurago d'Erba “La lotta alla corruzione e il monitoraggio civico” con Ester Castano giornalista antimafia e Leonardo Ferrata, e terminata ieri sera con l'intervento delprocuratore Nicola Piacente assieme al giornalista Paolo Moretti.

La presenza della mafia dentro la nostra società, che si prendono imprese, strutture commerciali, portano pacchetti di voti a quel politico con pochi scrupoli è un fatto noto, di cui tutti sono consapevoli.
Anche qui nella sonnolenta provincia di Como, una zona quella dell'altra Brianza che fa raramente notizia, zona di piccole industrie in parte spazzate via dalla crisi, ma dove comunque c'è ancora una certa ricchezza.

Un po' di numeri: negli ultimi sette-otto anni nella provincia di Como, sono state arrestate (per l'inchiesta Crimine-Infinito) 55 persone con l'accusa del 416 bis, di queste 20 sono state poi condannate in via definitiva.
Le indagini dell'antimafia hanno portato alla scoperta 5 locali di ndrangheta, ad Erba, Mariano (che ha il ruolo più alto di Crimine), Canzo, Fino Mornasco e Cermenate.
Ad Inverigo è vissuto per anni Antonino Belnome, oggi importante collaboratore di giustizia.
Ma il fenomeno delle mafie al nord non comincia in questi anni.

Il procuratore capo di Como Nicola Piacente per prima cosa ha voluto ringraziare i presenti all'incontro: la sala era piena, indice di sensibilità da parte del territorio su questo argomento.
La sua presenza qui era di testimonianza del valore della legalità – anche questo è il ruolo dell'autorità.

Piacente per conoscere questo territorio e le sue dinamiche criminali, ha dovuto studiare: oggi ricopre il ruolo di procuratore a Como da due anni, arrivando dalla DDA a Milano, dove aveva affrontato la mafia su un territorio diverso.

La caratteristica della nostra cultura è la mancanza di memoria”: questa la prima riflessione: siamo convinti che le strategie stragistiche della mafia siano cominciate con gli attentati a Falcone e Borsellino. Oggi non ci ricordiamo della strage di Portella della Ginestra, un attentato indiscriminato avvenuto in Sicilia il 1 maggio 1947 contro lavoratori che lottavano contro la cultura latifondista.
Anche in quella strage, poco ricordata, furono uccise donne e bambini: la storia si ripete, come poi successo coi crimini di Riina che faceva uccidere i figli dei suoi nemici poi sciolti nell'acido.

Come è arrivata la mafia al nord? Negli anni 50 fu approvata la prima misura di prevenzione che spostava le persone sospettate di ndrangheta lontani dalla loro comunità, qui al nord.
Ma questa non fu l'unica causa della diffusione della ndrangheta, visto che questa si è diffusa anche in Germania e in America, dove i mafiosi non sono arrivati in soggiorno obbligatorio.
La causa principale è la presenza del capitale: noi pensiamo alle mafie solo come fenomeno criminale, militare, che intimidisce le persone solo con l'uso delle armi e della violenza.
Ma il fine della mafia è l'accumulazione del capitale ma spesso, anche noi magistrati ci siamo concentrati solo sulle armi.
Così al nord si creavano le locali, una clonazione di una struttura ndranghetista, molto legate alla madre Calabria, la terra d'origine, che ha ancora una funzione di “camera di controllo” per verificare l'applicazione delle gerarchie e degli ordini impartiti e che devono essere rispettati anche fuori dalla Calabria.
Non solo a Como ma anche alle cosche in Svizzera e nel Canton Ticino.

La presenza della ndrangheta è occulta, che cerca di fare affari nei piccoli centri: Milano ha solo 3 locali, presenti storicamente in questo territorio.
Mentre invece nei piccoli centri troviamo cosche che si sviluppano lontano dai riflettori delle grandi città.
Sono territori dove si registra un'assenza di prevenzione della polizia: a Como c'è una sola Squadra Mobile e nessun commissario, così sul territorio il contrasto alla criminalità lo devono portare avanti solo i carabinieri, con pochi uomini.
Una cosa che mi stupisce – un commento del procuratore – è che sono stati aboliti presidi della Guardia di Finanza, in territori di passaggio di capitali.

Il giornalista Moretti ha introdotto la storia dell''inchiesta di Cantù: qui è presente una compagnia di Carabinieri e questo ha fatto sì che certe voci si siano poi trasformate in una inchiesta che ha portato poi a degli arresti.

Il procuratore Piacente ha spiegato come il fenomeno di Cantù sia differente: non ci sono imprese da colonizzare, qui la ndrangheta voleva entrare nel tessuto dei commercianti perché voleva controllare il mondo della movida dei giovani.
L'obiettivo erano i bar che si volevano prendere usando le intimidazioni mafiose: sono azioni che potrebbero anche essere considerate come atti di bullismo (come molti esponenti politici hanno cercato poi di minimizzare).
Ma anche questo non è un fatto nuovo: nel 2010 ad Erba in una notte sono saltate 2 discoteche, un segnale premonitore del fatto che la ndrangheta volesse entrare nell'area del divertimento. Anche allora si qualificò l'attentato come una ragazzata.
Ma attraverso il controllo del divertimento la ndrangheta ottiene un importante risultato: il consenso sociale da parte delle persone e anche questa è una manifestazione della mafia.
L'intrattenimento made in mafia, come il lavoro nero controllato dalle cosche: quest'ultimo fenomeno è una forma di welfare mafioso, una forma di ammortizzatore sociale con cui le mafie danno lavoro a persone in difficoltà.
Queste sono forme più pericolose del fenomeno mafioso, perché quando c'è consenso, questo si accompagna all'omertà nel non sentirsi in obbligo di denunciare nulla.
Chi è riconoscente all'organizzazione, che gli ha dato lìil divertimento, che gli ha dato un lavoro, ha meno tendenza a collaborare.
I numeri parlano chiaro: a Como stanno monitorando da anni i fenomeni spia della mafia, telefonate anonime a professionisti, minacce, incendi a locali o capannoni, colpi di arma da fuoco.
Sapete quante denunce sono state fatte dalle persone minacciate? Zero.
Ogni mese avvengono due episodi di questo genere e nessuno denuncia e le vittime spesso negano di essere state minacciate, di avere nemici.
Succede al sud e anche nel nord, l'Italia unita.
Ci sono imprenditori che mentono perché nemmeno hanno la coscienza a posto, per reati commessi nel passato che ora temono che con delle indagini, possano venire fuori.
Così tutti stanno zitti.
Il procuratore ha citato degli episodi di giustizia fai date che sono avvenuti nell'alto lago: persone che regolavano i conti con qualche schioppettata o con qualche fuoco da appiccare.
Sono anche queste zone con pochi presidi di polizia: in assenza dello Stato, della sua azione efficace nel gestire questi contrasti, succede questo, al sud come al nord.

Lo stesso principio vale per altri servizi offerti dalle mafie, come i prestiti ad usura a imprenditori che non ottengono risorse dalle banche.
La mafia negli anni sessanta e settanta ha accumulato così tanti capitali, erano gli anni del boom, che poi nel duemila ha potuto usare per sopperire ai prestiti bancari.
Ma quando un imprenditore entra in questo tunnel non ne esce più: facendosi prestare soldi dalla ndrangheta, questa piano piano si prende tutta l'azienda e il proprietario rimane solo un prestanome, una testa di legno.
C'è uno stadio iniziale in cui le vittime sembrano beneficiate, ma è solo l'inizio della fine.

Siamo un paese di evasione generale, di non rispetto della norma: questo spinge in molti a ricorrere ai servizi della mafia per ripulire il denaro, per pagare meno tasse, per il recupero crediti.
Ma in questo modo le vittime diventano due volte prigioniere: della mafia e dallo Stato e così si tende a non denunciare perché se lo facesse, dovrebbe denunciare anche la sua evasione tributaria nel passato.

Di tutto questo è anche colpa della lungaggine dei procedimenti civili, che sono anche causa dei bassi investimenti nel nostro paese dall'estero, dei tempi della giustizia: ricorrere alle mafie è, nel breve, più efficiente, ma sono solo scappatoie che poi alla lunga si pagano.

Ci sono state poi delle domande da parte del pubblico, molto interessanti:
- come è stato possibile arrivare ad una storia come quella di Seregno, col consiglio comunae sciolto?
- il rapporto tra il culto del denaro al nord e lo stesso culto dell'accumulo di capitali da parte dei mafiosi: una comunione di intenti. Cosa possiamo insegnare ai nostri giovani?
- Come è andata a finire l'inchiesta sulla Perego strade, per il filone dello smaltimento rifiuti, sotterrati sotto l'ospedale S Anna?

L'inchiesta di Seregno racconta una storia di consenso, di politici che hanno accettato pacchetti di voti. Il politico come anche il funzionario di banca che si rivolge alla criminalità per il recupero crediti, sapendo che quelle persone sono mafiose (è successo a Mariano). Sono persone che poi diventano capitale sociale delle mafie, ovvero persone che pur non essendo affiliate, agevolano la loro attività.

Il problema – ha voluto precisare il procuratore – non è il consenso in sé, ma il non rispettare le leggi e i principi costituzionali.
Non basta dire ripartiamo dalle scuole: la cultura della legalità, dell'etica, deve iniziare dalle famiglie.
Con le mafie sta succedendo che il peggio del sud ha incontrato qui il peggio del nord, finché continuerà questo non ci sarà futuro nel nostro paese.

Il processo sulla Perego strade, per il filone ambientale, finirà probabilmente in prescrizione, perché l'Italia è l'unico paese in cui la prescrizione non si ferma mai, nemmeno quando inizia il processo.
Così molti di questi, per i tempi lunghi della giustizia, finiscono in prescrizione e questo costituisce un fallimento.

In Lombardia convivono più o meno pacificamente tutte le mafie: Camorra, ndrangheta, la mafia siciliana e la sacra corona unita. Il loro obiettivo sono i soldi che qui al nord continuano a circolare.
Si sono divisi i reati in settori: la prostituzione alla criminalità straniera, i cinesi, i nigeriani, gli albanesi; l'infiltrazione nelle imprese alla ndrangheta; le rapine ai portavalori sono principalmente della Camorra.

Tutto questo avviene sotto il tacito consenso della società, che per prima cosa dovrebbe preoccuparsi di come allontanare questi fenomeni criminali, come stimolare i propri anticorpi.
Cominciando dalle elezioni, dai candidati che non dovrebbero frequentare certi personaggi che a livello locale sono già noti.
A Mariano, per esempio, era d'uso per un consigliere comunale, portare il suo santino elettorale a Muscatello, capo della locale.

Per battere la criminalità occorre creare una sinergia tra cultura, legalità e valori civici. Occorre il contributo di tutti.
E la grande quantità di persone che hanno seguito questi incontri, organizzati dai comuni e dal circolo Ilaria Alpi, sono solo di buon auspicio.


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