08 luglio 2018

Il purgatorio dell'Angelo di Maurizio De Giovanni


Confessioni per il commissario Ricciardi



Tommaso amava l’alba. Non avrebbe saputo spiegarlo bene, faceva il pescatore e si limitava a esprimere concetti semplici e diretti. I pescatori, è noto, parlano poco e, a meno di essere come Carmeluzzo di San Giovanni, che tutti sfottevano chiamandolo ’o Poeta, sia perché cantava sempre sia perché si divertiva a parlare difficile, dicono solo ciò che è necessario, e solo se non possono farne a meno: se parli mentre sei in barca, i pesci non si sentono considerati e vanno via. I pesci vogliono attenzione. 
Nessuno perciò sapeva quanto a Tommaso piacesse, tra tutti, quel momento. Gli piaceva più di quando, in piena notte, si percepiva l’odore del sale e si intuiva il mare dal rumore, una distesa nera che divora e respira come un animale enorme. Più di quando sorgeva la luna nuova, o di quando era piena e faceva male agli occhi per la luce che dava, e rubava l’anima mischiandosi alle canzoni che provenivano dalla terraferma. Più di quando l’aria calda del giorno lasciava il posto alla brezza del Nord e la pelle si apriva per riceverne ristoro.

La confessione dei propri peccati. Di tutto quello che si porta dentro e si vorrebbe tanto condividere con qualcuno.
E poi la vita di ognuno: un inferno per qualcuno o solo un purgatorio, in attesa di un paradiso per tutti i meriti, per tutte le cose buone fatte.

Sono questi i due temi al centro di questo romanzo, il penultimo della serie con protagonista il commissario Ricciardi, che dovrà indagare sulla strana morte di un prete, don Angelo, trovato morto dal pescatore che amava l'alba, su una spiaggia di tufo, a Posillipo (il cui nome significa pausa dal dolore). Una strana morte perché don Angelo era amato da tutti, un angelo di nome e di fatto. Così ne parlano di lui i fratelli della compagnia di Gesù: perché don Angelo era gesuita, insegnava teologia ed era anche un noto confessore di molte famiglie benestanti.
Ma una strana morte anche per il luogo e il modo in cui sarebbe avvenuta: una spiaggia cui si arriva con molte difficoltà, lungo un sentiero pieno di spine.

Come a ricordargli la sua condizione, a pochi metri dal finestrino, in mezzo alla piccola folla che si assiepava alla fermata in attesa del passaggio della carrozza, vide l'immagine traslucida di un'anziana vestita di nero, con pesanti abiti invernali inadatti alla calda giornata di maggio. La donna gettava fiotti di sangue scuro dalla carotide recisa per una caduta su un qualche spuntone di metallo che fiancheggiava il marciapiede. 
Perché il commissario Luigi Alfredo Ricciardi era certo di essere pazzo, e di aver ereditato la sua follia dalla madre..

Di fronte al cadavere, lasciato solo, il commissario assiste al fatto, il triste dono ereditato dalla madre: vedere il morto negli ultimi istanti della sua vita, percepirne le sue ultime parole:
Io confesso, ti confesso, lascialo stare, lascia che viva, io ti confesso. 
Si voltò di scatto. Stagliato contro il mare, appena più lontano dal corpo inerte, il prete lo fissava. Era in ginocchio, le braccia lungo i fianchi, il volto inespressivo, come rassegnato.

Chi stava confessando, quale peso doveva essergli rivelato, così grande da portare alla sua morte?
Le indagini partono da dentro il seminario, andando a chiedere le prime informazioni al padre superiore della comunità che ha sede proprio sopra la spiaggia, e ad altri due fratelli che erano molto legati a don Angelo, padre Costantino e padre Michele.

Una vita esemplare, dedicata all'insegnamento e alla confessione: solo uno screzio avuto a seguito di un testamento, del marchese Berardelli che lasciava i suoi beni compreso un castello a Vietri alla compagnia diseredando il nipote Tullio. Che aveva minacciato don Angelo davanti a tutti.
È questa la causa della sua morte? Oppure una delle altre confessioni raccolte dal gesuita all'interno dell'aristocrazia partenopea?

Tanto il prete quanto il commissario si scoprono simili in questo frangente: entrambi devono raccogliere le confessioni dei colpevoli ed entrambi hanno un proprio purgatorio.
Quello di don Angelo.
E quello di Luigi Ricciardi, barone di Malamonte: “un purgatorio fatto di morti e di dolore e di sussurri e urla”, che forse si chiama inferno.
Ora che la sua storia con Enrica, la dolce Enrica che ha spiato ogni sera, dalla sua finestra, è quasi ad una svolta, Ricciardi si chiede se sia giusto portarla dentro il suo, di purgatorio.
Io confesso, ti confesso, lascialo stare, lascia che viva, io ti confesso. 
E io? 
Io confesserò mai a chi vuol vivere accanto a me, inconsapevole di amare un pazzo, un miserabile pazzo, che dovrebbe essere chiuso in un manicomio, che vedo i morti e che i morti mi parlano?

E' possibile confessare tutto, tutto il male che portiamo dentro e che vorremmo condividere con una persona fidata, oppure ci sono cose che è bene che rimangano dentro di noi?
Se lo chiede Ricciardi e lo chiede anche all'amica Bianca, contessa di Malaspina, conosciuta anni prima per un delitto cui era stato accusato il marito, una delle poche persone con cui ha un rapporto di confidenza

- Tu credi che sia concepibile confessarsi sul serio? Non intendo in senso religioso, ma in senso .. umano. O pensi che ci siano cose che non si possono confessare? 
La contessa era rimasta seduta, e sembrava inseguire chissà quale segreto ragionamento. Le note della tromba si spensero lentamente, lasciando un doloroso silenzio nell'aria. 
- No, non c'è niente che non si possa confessare. Serve solo tanta fiducia. E molto, molto coraggio.

Ci sono confessioni che costano, però. Ne sa qualcosa anche Maione che a distanza di cinque anni si porta ancora dentro la ferita per quel figlio, Luca, diventato poliziotto come lui e morto per una coltellata.
Un figlio che ora sembra ritrovare nella guardia Felice Vaccaro: giovane, esuberante, desideroso di far bene il proprio mestiere.
Assieme, oltre al caso del morto di Posillipo, stanno lavorando su una serie di rapine ai danni di commercianti nella zona di Chiaia. Ladri che si muovono velocemente, rapine mordi e fuggi, che Maione considera come un'onta personale, perché dentro la sua giurisdizione.

Siamo a Napoli a maggio, nel pieno di una primavera fatta di profumi e di colori, che De Giovanni ci descrive in uno degli intermezzi attraverso una rosa che passa di mano in mano, di dolore in dolore:
Perché se volete capire bene, davvero bene una domenica di maggio, non dovete inseguire le onde del mare ancora freddo, né l'alito del vento dolce che sa di sale e d'erba nuova, né le ali di un piccione o le grida di un gabbiano.Non cercate le note di un pianoforte o le parole di una canzone, o il suono delle campane.Se volete capire una perfetta domenica di maggio, seguite il profumo di una bella rosa.

Riuscirà Ricciardi a trovare il segreto dentro l'ultima confessione di don Angelo?
E troverà il mondo di confessare ad Enrica tutto l'amore e tutta la sofferenza che si porta dentro?
Ed Enrica riuscirà a tener testa alla madre, che ancora non è rassegnata al suo no all'ufficiale tedesco Manfred, cui lei aveva detto no davanti tutta la sua famiglia?
E Maione, riuscirà a confessare a Lucia, la donna della sua vita, di quel vuoto che Luca ha lasciato dentro di sé?

Un ruolo importante, per risolvere tutti gli enigmi, lo avranno due personaggi minori, come Bambinella e Nelide, la nipote della tata Rosa. La prima (che incontriamo travestita come Marlene Dietrich ne l'Angelo azzurro, ancora un angelo), andando a raccogliere le voci dai quartieri su quegli strani furti.
La seconda in un'azione di forza, risolutiva, con tanto di dialetti cilentani, per aiutare il suo signorino, il cui destino le è stato affidato da zi' Rosa.

La confessione sarà anche il tema del finale: quella di chi ha tradito la fiducia di una persona vicina. Quella dell'assassino, in cui comprenderemo finalmente il significato delle parole del titolo “il purgatorio dell'angelo”. E anche quella del brigadiere Maione a Lucia e di Ricciardi.
Perché la vita, come la rosa che passa di mano in mano, va avanti. Con le sue gioie e coi suoi dolori.

Lo dico con la morte nel cuore ma arrivati a questo finale, così dolce e tragico, potremmo chiudere, o almeno mettere in pausa, la serie di Ricciardi.

La scheda del libro sul sito di Einaudi
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