Il giornalismo in Italia è sempre stato un mestiere difficile: oggi lo è ancor di più per il livellamento verso il basso delle condizioni di chi chi lavora in questo settore.
Come la mia amica costretta a lavorare in più posti per arrivare a fine mese una certa somma: un contratto a progetto con una fondazione, per scrivere una biografia nel pomeriggio.
E una finta partita Iva al mattino in un giornale online, con una paga molto bassa: alla domanda di un aumento le è stato risposto "ma questi soldi ti fanno schifo"?
Come si è arrivati a questo?
Stiamo parlando di una persona, laureata, che ogni mattina deve essere presente al lavoro per svolgere un compito, ma non è assunta e nemmeno può fare altre rivendicazioni, perché dietro di lei c'è una fila di persone, giovani e affamate, disposte anche a lavorare gratis.
E' la legge della giungla, che non si applica solo a chi lavora nella logistica, nei servizi.
Ma anche in settori dove sono richieste professionalità e competenze.
Perché questo ci si aspetta da chi scrive un giornale.
Invece oggi sta passando questa tendenza a non voler pagare il lavoro, specie quello dentro l'informazione perché tanto si trova tutto in rete.
Bufale comprese.
E anche articoli di quanti scrivono che la precarietà fa bene, che uffa il posto fisso.
A furia di livellare verso il basso, si sta perdendo tutta la professionalità dentro certi settori, giornalismo compreso.
Settore che sarebbe ancora sindacalizzato, con tanto di ordine dei giornalisti.
Un settore dove però succedono cose strane: come la causa dell'Inpgi, l'Istituto di previdenza dei giornalisti, a diversi giornalisti "colpevoli di aver raccontato vicende del procedimento sulla finanziaria Sopaf, in cui era imputato anche l'ex presidente di Inpgi, Andrea Camporese".
Ci siamo riempiti la bocca con le immagini del film di Spielberg, The Post?
Altri tempi. Pare che oggi quel giornalismo (dove perfino all'ultimo arrivato al Post era concesso il rimborso spese, per andare fino a New York per capire cosa bolliva in pentola nel giornale concorrente) non ce lo possiamo permettere.
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