26 agosto 2018

Il superstite, di Massimiliano Governi



Incipit

Era arrivato per ultimo. Non riusciva a trovare il posto e si era perso. Del resto, il luogo dove vivo non esiste quasi mai, è solo una stradella, se si vuole essere capiti bisogna chiedere di un paesotto qui vicino. Avevo già parlato con tutti i suoi colleghi nei due giorni precedenti, la villetta era stata chiusa e sigillata dalla scientifica, i corpi portate via in bare di alluminio. Ero davanti casa mia, centocinquanta metri più in là. Il giornalista mi è venuto incontro, mi ha stretto la mano e si è presentato. Mi sono accorto subito che mi assomigliava. Infatti, poco dopo, mentre gli ripetevo il mio racconto, è passato un uomo, si è fermato vicino a noi e ha fatto le condoglianze a lui. Gli ho chiesto chi fosse quella persona e mi ha detto che non ne aveva la minima idea, e per la prima volta in quei giorni ho riso.

L'io narrante di questo breve racconto non ha nome, viene presentato come il superstite. Superstite di una strage in una villetta di un paese che pure lui non ha nome, e che potrebbe essere qualsiasi paese di confine.
Come nel romanzo di Truman Capote, i ladri hanno sfogato la loro rabbia per il magro bottino, uccidendo tutti i membri della famiglia presenti in casa.
Il padre, la madre e i due figli.

Tocca così al “superstite”, che assieme al padre ha una piccola impresa di allevamento polli, cercare di sopravvivere a questa tragedia: ma mentre la moglie gli chiede di cercare di mettersi tutto alle spalle, la sua intenzione è quella di capire, di comprendere, di non cancellare il passato.
Così, decide di spostarsi dentro la villetta di famiglia, dove ancora sui muri sono rimasti i buchi dei proiettili e di seguire direttamente il processo, assieme al giornalista di un quotidiano nazionale che ha raccontato la vicenda andando oltre le solite banalità.
I responsabili della strage sono stati presi, nel loro paese d'origine in Serbia: uno dei due nomadi si è ucciso durante il conflitto a fuoco, ma l'altro no. È ancora vivo e ora si trova di fronte al “superstite” e al giornalista che prende appunti per un libro, forse.

Ma nulla nella sua espressione, nel suo racconto, fa trasparire alcuna emozione.
E così le domande rimangono e la voglia di far qualcosa.
Solo, perché la moglie e la figlia se ne sono andati in America, il protagonista decide di costruire una croce coi tasselli del parquet: un Cristo in croce col parquet a cui si aggiunge anche un altro Cristo in pasta di giornale.
Le testimonianze della tragedia dentro la casa che diventano emblema stesso DELLA sofferenza più grande.

La seguiamo tutta la vita dell'io narrante, anno dopo anno: la malattia, la morte dello “slavo”, le telefonate con Skype con la sua famiglia, che poi raggiunge per un breve periodo in Arkansas.
Ancora una volta le stesse domande: come fare a mettersi tutto alle spalle? Con la vendetta? Con la pena di morte, come in Arkanso, dove ai bravi cittadini è concesso pure di assistere alle esecuzioni?
Oppure, peggio ancora, col linciaggio e con la giustizia fai da te?

Nemmeno la lettura del libro scritto dal giornalista riesce a colmare quel vuoto:

Poteva essere la mia storia, ma anche quella di un altro. Quell'uomo aggredito e invaso dalla cancellazione della sua famiglia, ero io eppure non lo ero. Tutto sembrava vero e falso allo stesso tempo. Ma forse è così che si scrivono i libri. Forse è così che accade la realtà.

Forse la soluzione sta nel compare quei buchi della propria vita, quelle cicatrici lasciate, colmandole con la propria esistenza. Partendo dai buchi nei muri:

Ho infilato la spatola nel barattolo, ho raccolto lo stucco e l'ho spalmato nel buco, ho premuto, l'ho livellato passandoci sopra la spatola larga quattro dita. Ho raccolto dal barattolo un altro po' di stucco e l'ho spalmato ancora perché sapevo che il nuovo stucco avrebbe potuto tirare via il precedente. Ho fatto così per ogni buco della stanza. Sapevo che non dovevo rifinire, dovevo solo riempire, anche lasciando che lo stucco avesse uno spessore eccessivo. Poi ho lasciato asciugare. Più il buco era profondo, più ho aspettato.

Questo l'insegnamento che lascia il racconto del superstite: la vita va avanti, deve andare avanti e l'unico modo per riempire i vuoti e i buchi lasciati dalle persone scomparse è questo, riempirlo con nuova vita.

La scheda del libro sul sito di Edizioni e/o
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