01 settembre 2018

L'ombra del campione di Luca Crovi




«Se sa che a parlaa de Milan se fa minga fadiga con tanti argoment per i mann el discors el scarliga…» Giovanni D’Anzi e Alfredo Bracchi

Incipit

La leggenda di san Vittore 
A l’è possibil finì a San Vittur domaa per on barilott de pés? Com’era possibile finire dietro le sbarre per un furto da nulla come quello? Eppure lo avevano beccato in flagrante al Verzee mentre cercava di scappare con una botte di acciughe sotto sale.

Ci sono storie che bisogna tramandare di generazione in generazione, perché fanno parte del nostro patrimonio culturale. Come i racconti che la bisnonna di Luca Crovi, Maria Ballerini faceva in portineria e che qui trovano posto, in un romanzo che non è un giallo vero e proprio come spiega anche l'autore all'inizio. Una non fiction novel che mescola ricordi, fatti reali della storia milanese a invenzioni letterarie.
Come il commissario Carlo De Vincenzi, il poeta di San Fedele, il personaggio partorito dalla fantasia di Augosto De Angelis e che Luca Crovi fa incontrare col celebre Bepin Meazza, il campione di calcio dell'Internazionale, poi Ambrosiana.

Siamo a Milano nel 1928: il romanzo comincia (e finirà anche) con il Balilla, così veniva chiamato Meazza. Lo vediamo emergere tra le maglie della nebbia milanese, la scighéra, mentre calcia le sue bordate contro il muro di San Vittore, il carcere milanese, soprannominato “Il due”.
Bordate così forti che fanno pensare ad un tentativo di fuga alla giovane guardia Antonio Cerruti.
La guardia che sta consolando il Pierino Grassi, finito proprio al Due per un furto molto maldestro di una botte di alici.
Botte così pesante che non è riuscito nemmeno a fare molti metri prima che un ghisa, attirato dalle grida del Verziere al mercato di Lambrate
Un luogo denso di orti selvaggi accanto al fiume Lambro dove nel tempo era cresciuta una mala erba: quella della ligéra. A Milano tutti sapevano bene che certi ceffi si potevano incrociare solo all’Ortica ..”

Tempi duri per i ladruncoli come il Pierino: il regime nerovestito aveva deciso di imporre la linea dura contro i piccoli reati (ma i grandi ladri a Roma potevano stare tranquilli) e contro la ligéra, per dare un segnale alla popolazione.
Da Roma sono arrivate normative precise del capo della polizia per il rispetto dell’ordine pubblico. Prima è toccato a quelli del Bottonuto subire una prima rigirata e adesso pure al Verziere hanno deciso di intervenire per allontanare i malnatt.

Il nuovo regime non ammetteva che chi infrangeva la legge la passasse liscia.
Ma per Pierino c'è un santo in Paradiso, anzi un poeta a San Fedele (vecchia sede della Regia Questura): è il commissario De Vincenzi che gli concede una seconda possibilità.
Un lavoro assieme al cugino Armando, che di mestiere faceva il becchino.

Mentre lasciamo il Balilla a prendere a calci il pallone e il Pierino a impratichirsi col mestiere, Crovi ci racconta la storia della Gioconda. Non il quadro, il servizio funebre che, tra il 1885 e il 1925 a Milano era
fatto utilizzando dei tram speciali della Edison

«La gioconda è il nome che i milanesi hanno dato per un po' di tempo al servizio funebre allestito con l'uso dei tram. A Milano, per non piangere, si ride su tutto.» 
«Cosa?» 
«Una volta non sembrava bello che la città venisse attraversata dai cortei funebri e dall'altra parte se si doveva fare lunghi trasporti tra l'Ospedale Maggiore e Musocco o tra il centro e il cimitero Maggior, il rischio era di bloccare il traffico. Allora si pensò bene di ovviare al problema trasferendo i defunti e i loro parenti via tram. Un trasporto veloce, rispettoso e quasi invisibile. Nel tempo prese il nome beffardo di Gioconda. Perché la Gioconda non ha un sorriso e c'era poco da ridere a veder passare quei cortei su rotaia.»

Ma torniamo al commissario De Vincenzi: originario della Val D'Ossola ma trapiantato a Milano, dove aveva incontrato fin da subito la scighera
Il commissario Carlo De Vincenzi aveva scoperto cos'era la scighera la prima sera che era arrivato a Milano in treno. Uscito dalla Stazione Centrale si era trovato avvolto in un nebbione folto e impenetrabile, estremamente denso. A malapena i lampioni di piazza Duca D'Aosta fendevano quella sorta di enorme bambagia fluorescente che i milanesi chiamavano scighera.

Amante della busecca e della buona cucina, delle buone letture (da cui il soprannome di “poeta”), De Vincenzi è un investigatore con una grande umanità: per sbrogliare il bandolo della matassa dietro un crimine, ha bisogno di ricostruire l'intero contesto, l'umore, l'ambiente in cui era avvenuto

Il suo assioma era: "Il delitto è una derivazione della personalità".E si affidava anzitutto all'onda psichica. Poi entrava in gioco l'ambiente e l'influenza che esso esercitava sull'assassino e sulle sue azioni. Così per prima cosa, De Vincenzi cercava di assorbire l'ambiente.
E la scighera era l'ambiente di Milano. Il sapore,il pensiero, l'umore della città.

Un investigatore bravo a “reimpastare” gli indizi e a renderli risolutivi: come in cucina, anche in polizia bisogna saper far buon uso degli avanzi, ovvero i casi dimenticati che a lui venivano affidati.
E risolti grazie al lavoro dei suoi uomini e al suo intuito.

Il primo caso che deve affrontare è il furto di un gioiello (“il briciul”) da casa della marchesa Ottoni: la soffiata giusta da parte del materassaio lo porta al quartiere dei formaggiai, “El borgh di formagiatt”, in corso San Gottardo vicino Porta Ticinese
Quel quartiere aveva una strana origine. Per molto tempo durante la dominazione austriaca era vietato ammassare e conservare formaggi all'interno delle mura. Ogni merce che entrava a Milano era soggetta a dazio e non poteva varcare le mura spagnole se non si era pagata una tassa speciale. Così i produttori di latticini delle cascine del lodigiano, del piacentino e del parmense avevano cercato di ovviare alla situazione creando delle vere e proprie casere nella zona di Corsico e Buccinasco. In questi speciali magazzini gli alimenti venivano custoditi, portati a stagionatura e trasportati nei mercati rionali meneghini. Quando si era compiuta l'unità d'Italia i dazi erano stati aboliti e i latticini (che per un certo periodo erano stati persino contrabbandati grazie alla complicità dei barcaioli dei Navigli) avevano ricominciato a circolare liberamente.

Ci sarà poi il caso del Capitano nero, un ladro acrobata ispirato a Fantomas, che coi suoi furti aveva lanciato una sfida alla polizia. La scoperta della scuola per ladri e l'incontro, bellissimo nella sua invenzione, tra il poliziotto e il chitarrista Andrés Segovia, con la musica della fontana delle Quattro Stagioni, in piazza Giulio Cesare, a fare da accompagnamento.

E proprio quella fontana sarà luogo di un triste evento di cui De Vincenzi è testimone: la bomba alla Fiera Campionaria del 12 aprile 1928. Una bomba che doveva, forse, colpire il re, venuto ad inaugurare la Fiera e che causò 16 morti: qui storia e fiction si intrecciano in un racconto che riporta in vita una delle pagine dimenticate della storia meneghina.
Esautorato dalle indagini, che il regime affidò all'ispettorato generale di Polizia, De Vincenzi compie una sua indagine di nascosto e assieme alle persone più fidate. Il Pierino e l'Armando, i fidati colleghi Bruni e Crumi, tutti riuniti attorno al tavolo della “sciura Maria”, la portinaia di via Massena.
Ovviamente di fronte ad un piatto fumante e profumato di Busecca, perché “in trippa veritas”.

La strage alla Fiera di Milano ancora oggi è un mistero irrisolto: la sua storia ricorda molto l'inchiesta dell'altra strage milanese, Piazza Fontana. Con la pista rossa seguita inizialmente e coi sospetti venuti poi che i responsabili andassero cercati non troppo lontani dal regime.
In una delle frange del fascismo ostili a Mussolini.
La grande anima di Milano che per due giorni si era inginocchiata dinanzi allo strazio delle vittime innocenti schiantate dalla raffica d'odio, è sorta ieri in piedi per uno di quegli impulsi collettivi in cui hanno rigrandeggiato ancora una volta tutta la sua volontà virile e tutta la sua forza generosa”.

Così scriveva Il Corriere della sera, parlando dei funerali che avevano commosso tutta la città.

Così come è cominciato col Balilla, questo racconto lungo le memorie di Milano termina ancora con lui: è un omaggio al campione milanese di cui andremo a scoprire alcuni aspetti poco noti della sua storia.
E andremo anche a scoprire il suo segreto, la sua ombra: chi è la persona che da anni lo segue e lo sta aiutando di nascosto.
Con le prime scarpe da calcio coi tacchetti.
Coi pali per la porta, per la sua squadra, la Costanza A.S.
Coi biglietti per la Scala.

E che ora Meazza andrà a ringraziare di persona con una partita speciale proprio a San Vittore, il carcere costruito, dice la leggenda, proprio sopra la tomba del legionario Vittore, convertito al cristianesimo.

Buona lettura!

Altri post sul libro

La scheda del libro sul sito di Rizzoli
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Questi sono invece due siti che potete visitare per saperne di più sulla Gioconda e sui funerali su rotaia (e altre curiosità)



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