11 settembre 2018

Presa diretta: caldo artico

Il riscaldamento climatico non è una bufala, come sostiene Trump: basta andare a vedere come si stanno sciogliendo i ghiacci sull'Artico, il nostro sistema refrigeratore.

L'Artico è al centro dei cambiamenti climatici, si sta riscaldando in fretta e gli effetti si vedranno in tutto il mondo. Anche da noi.



I ghiacci si sciolgono anche sulle Alpi, sul Monte Bianco: perdiamo le nostre riserve idriche e la nostra memoria. Il ghiaccio infatti è un archivio vivente della storia e del clima.

Una carota presa nell'Antartico va indietro di migliaia di anni fa o centinaia di migliaia di anni fa: è un patrimonio dell'umanità, per comprendere la nostra storia climatica.

E per capire quanti CO2 e quanti gas serra erano presenti nell'atmosfera: oggi siamo 400 parti per milione, come concentrazione di anidride carbonica.

Una concentrazione mai così alta, negli ultimi 800 mila anni, quando la Terra era ben diversa da quella che conosciamo.



LA velocità del cambiamento indica che è anche colpa nostra: colpa delle attività umane, dei combustibili che usiamo, dicono i ricercatori del CNR intervistati dai giornalistidi Presa diretta.



La co2 è stata misurata per la prima volta dal prof Keeling nel 1958: da allora è sempre in crescita, perché continuiamo a bruciare materiale fossile e questo porta al caldo di questi ultimi anni, alla deforestazione, alla siccità, alle migrazioni di popolazioni in cerca di migliori condizioni di vita.



A Roma, nei laboratori dell'ESA, misurano gli indicatori del clima usando i dati dei satelliti: per esempio le deforestazioni in Brasile, che contribuiscono a contrastare alla presenza dei gas serra. Ma ogni anno perdiamo pezzi di foresta grandi come la Grecia.

Come perdiamo anche il ghiaccio sull'Artico, che diventa anno dopo anno sempre con meno spessore: rischiamo, se va avanti questo processo di immissione di gas serra nell'atmosfera, di arrivare ad un processo irreversibile. Un Artico senza ghiaccio.



Il viaggio in Artico: Alessandro Macina è andato a vederlo, il ghiaccio eterno, sull'Artico.

Ospite in un villaggio di scienziati, Ny-Alesund, il giornalista ha osservato il lavoro dei ricercatori, tra cui anche quelli italiani del CNR.

L'attività è incentrata nel capire cosa sta succedendo ai Poli: l'aumento di temperatura nel pianeta ha effetti sull'Artico e questo ha dei riflessi sul sistema terra, anche alle nostre latitudini.

Come quest'anno: a Roma nevicava mentre all'estremo nord pioveva, perché la temperatura era sopra lo zero.



Si misurano tutti i dati del clima sulla torre dei “cambiamenti climatici”: il vapore acqueo, le temperature, la presenza di co2. Qui si stima che le temperature sono in crescita di 3 gradi ogni 10 anni: all'Artico il cambiamento è più veloce rispetto al resto del pianeta.

Così in autunno, quando si dovrebbe riformare il ghiaccio, si scopre che il ghiaccio è il grande malato.

Ogni anno si misura sempre meno neve sui ghiacciai: piove sempre di più, in inverno e in autunno, acqua che scioglie i cristalli creando dei crepacci nei ghiacciai, non più eterni.

Il riscaldamento non procede in modo lineare qui, ma c'è un effetto di amplificazione delle temperature, chiamato “amplificazione artica”.

L'assenza del ghiaccio ha effetti sull'amplificazione delle temperature: si scioglie il ghiaccio da sotto (perché il mare è più caldo) e ha degli effetti sull'ecosistema naturale: gli orsi polari devono muoversi non più sul pak, ma nuotare nell'acqua per trovare le prede.

Milioni di metri cubi di ghiaccio si sono trasformate in acqua: acqua dolce che si riversa in acqua salata, cambiando l'ecosistema, il trasporto di calore.

Tutto è collegato: acqua, terra, atmosfera.



Gli effetti dell'Artico stanno già colpendo il pianeta: alluvioni, uragani, isole che scompaiono. sommerse dall'acqua, vittime per questi eventi, danni alle strutture.

L'instabilità dei poli causa eventi climatici sempre più forti, come il fronte freddo “burian” arrivato in Italia l'inverno scorso.

Con questo ritmo di scioglimento dei ghiacci, si stima un innalzamento dei mari da 1 a 2 metri: si pensi che l'aeroporto La Guardia è ad 1 metro sopra il livello del mare...



E' a rischio la costa est degli Stati Uniti, il continente indiano, Shangai. Anche l'Italia come penisola è a rischio: secondo l'ENEA ci sarebbero 7 aree a rischio, tra cui Venezia.

Lo scrittore Amitav Ghosh ha scritto dei cambiamenti climatici in Bangladesh: cambiamenti che causano spostamenti di persone, che devono abbandonare i loro terreni.

Venezia e il Bangladesh vivono la stessa minaccia, la scomparsa al crescere dei mari.

Viviamo in un mondo dove scienza e ingegneria sono importanti: eppure nonostante gli allarmi della scienza siamo ciechi – dice lo scrittore.

Nonostante tutti gli allarmi, continuiamo a costruire vicino al mare: come se il nostro modo di pensare tenda ad escludere l'arrivo di queste catastrofi, neghi questi cambiamenti.

E lo stesso vale per la politica che vive una deriva tragica: nessuno si occupa dei cambiamenti climatici, delle disuguaglianze, della crescita insostenibile, degli eventi estremi.



Il climatologo del CNR Pasini in uno studio ha dimostrato che i tornado che si formano nel Mediterraneo sono legati all'innalzamento della temperatura del nostro mare.

Basterebbe un grado in meno, e il tornado che si è abbattuto su Taranto, causando un morto, non ci sarebbe stato.

Basta un grado in più per incamerare tanta energia che poi si scatena in modo violento sul territorio.



Il punto è che l'Italia è sempre più calda e il nostro territorio sempre più a rischio: ci riscaldiamo di più rispetto alla media globale, un quarto di grado ogni 10 anni, a fine secolo arriveremo a 4 gradi in più.

Siamo vicini, pericolosamente, al limite stabilito dall'accordo di Parigi, di due gradi: colpa della fisionomia del nostro paese.



Come sarà il nostro paese, tra 30 anni: al CIRA (centro euro mediterraneo di ricerca) prevedono maggiori eventi estremi, meno pioggia ma più intensa, siccità e stagioni calde.

Ondate di calore sempre più lunghe ed intense e notti tropicali dove la temperatura rimane alta.



Come mai dopo l'accordo di Parigi del 2015, le emissioni di co2 aumentano?

C'è qualcuno che sta scommettendo sulla catastrofe?

C. Figueres, architetto dell'accordo di Parigi, come segretario dei cambiamenti climatici alle Nazioni unite ammette i limiti dello stesso: non è vincolante e ha troppe deroghe.

Trump per esempio si è ritirato: ma Figueres non ne è preoccupata, perché il mondo interno ormai ha capito che ci si deve muovere sulle energie rinnovabili.

L'accordo di Parigi è in una fase di applicazione: stiamo decarbonizzando l'economia, stiamo puntando sull'energia elettrica, quella che mi preoccupa è la velocità.



Purtroppo è anche vero che Trump sta smantellando le riforme di Obama in ambito energetico: è un negazionista del cambiamento, nonostante le prove.

Il cambiamento climatico coinvolge tutti: anche i paesi ricchi, quelli che oggi stanno puntando sulla corsa all'oro sull'Artico.

Se i ghiacci si sciolgono, questo apre nuove opportunità commerciali per le navi che possono passare a nord ovest evitando viaggi lunghi per Panama.

C'è poi un discorso per gli idrocarburi, per le risorse che si estraggono da questi territori: in Artico si stima siano presenti il 30% degli idrocarburi non estratti.

Trivellazioni più facili sia in Alaska, grazie a Trump, e in Siberia per Putin.

E anche l'Eni italiana trivella nel mare di Norvegia



Marzio Mian è un giornalista italiano: ha raccontato della più grande miniera di uranio in Groenlandia, che ha dietro investimenti cinesi e australiani, per centinaia di miliardi.

È in atto un nuovo colonialismo, un nuovo Congo: uranio, zinco, rubini, diamanti, petrolio, gas.

L'artico è oggi strategico: il valore delle risorse si aggira attorno ai 20 trilioni di dollari, l'equivalente dell'intera economia americana.

L'Artico per la Russia è un'assicurazione sulla vita: per questo sta militarizzando questa zona, un'occupazione militare fatta anche con testate militari.

Tutto in violazione agli accordi di Parigi.

Le generazioni future malediranno per il resto della vita i politici di oggi, i Trump e i Putin.



La scorsa puntata Presa diretta aveva raccontato che solo puntando sulla geotermia, per riscaldare le case, potremmo tagliare le nostre emissioni del 17%.

E' una decisione politica che una base di cittadini informati può spingere.



L'Artico: la pattumiera del nord



Non solo non sono più ghiaccia eterni, non sono nemmeno più ghiacciai e neve immacolata, perché i ricercatori hanno trovato sostanze inquinanti che derivano dalle nostre latitudini.

Le nevi più inquinate sono più scure sono quelle che si sciolgono prima: si sta mettendo in moto un effetto a catena che sta facendo sparire perfino il permafrost.

Uno strato di terreno congelato che contiene grandi quantità di co2 che ora, rischia di essere liberato in atmosfera.



Alessandro Macina è andato ad intervistate il glaciologo britannico Peter Wadhams approfittando di un suo intervento alla fiera del libro di Milano. Il glaciologo, nel 1990, è stato il primo al mondo a dimostrare che l’Artico si stava sciogliendo: oggi è convinto che prima di quanto ci aspettiamoci sarà un Artico completamente libero dai ghiacci.

Il suo ultimo lavoro si chiama proprio “Addio ai ghiacci” e prevede la scomparsa dei ghiacci verso la metà di questo secolo.

Ha iniziato a misurare i ghiacci negli anni '70, viaggiando nei sottomarini britannici per le misurazioni: ripetendo le misurazioni nel 1987, aveva notato una riduzione dello spessore del 15% e oggi quel ghiaccio è più sottile del 50%.

In base a queste rilevazioni, il glaciologo si aspetta un Artico senza ghiaccio in estate già tra cinque anni, e la causa siamo noi.

Lo scienziato sostiene inoltre che abbiamo toccato un punto di non ritorno, non rivedremo più l'Artico che conosciamo, con quell'ispessimento.

Che effetti avremo sul pianeta? Un aumento dell'effetto del riscaldamento globale del +50%, oltre a quelli causati dalla co2 nell'atmosfera.

L'Artico stesso sarebbe dunque un moltiplicatore del riscaldamento del pianeta: “stiamo lasciando alle prossime generazioni un pianeta diverso. Tutto cambierà e anche se riusciremo a gestire il riscaldamento globale sono sicuro che non riusciremo a tornare al mondo che avevamo prima. Quindi dobbiamo dire addio a quei luoghi che oggi ci sembrano familiari.”



Chi sono i ricercatori italiani sull'Artico? Molti sono precari, l'immagine stessa dell'Italia che ha studiato, che fa un lavoro importante, ma che lo Stato italiano fa di tutto per allontanare.

Finiti gli assegni di ricerca, o vinceranno un concorso oppure dovranno trovarsi un altro lavoro.



Le persone che misurano la febbre del pianeta e dell'Italia sono precarie.

Come la salute della nostra ricerca. Come la salute del nostro paese.

Con un futuro precario: infatti spendiamo la metà della media europea in ricerca.

Qui il link per rivedere la puntata.


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