Incipit
Il bambino, nudo, piangeva. Non doveva piangere, non lo aveva previsto. Ma ora piangeva. E chiamava la mamma. La sua mamma. Eppure prima aveva sorriso, aveva allungato con fiducia la mano. E quanto era felice quando l’aveva stretta forte.“È proprio un bel bambino” pensava fra sé mentre lo guardava, quasi con stupore, come fosse stato un tramonto estivo sul mare che tanto aveva amato e non vedeva più.
Ma il sole, quel sole, era ormai sceso. Era sceso ovunque. Fuori, oltre le finestre della stanza, e dentro. Dentro di sé. E lui continuava a piangere.Eppure si era fatto guidare facilmente. Ai giardini aveva lasciato la piccola bicicletta grigia appoggiata all’albero.
“Ma che cos’era? Una quercia? Un faggio? Questi alberi, tutti uguali.”
Si distrasse con una rabbia improvvisa e inattesa.Poi il bambino aveva accettato l’offerta di una bella cioccolata calda con i biscotti.
I crimini e i delitti sono il pane
quotidiano dei cronisti di giudiziaria, oltre agli “scandali”
legati ai casi corruzione, quando si riescono a portare in aula.
Ma c'è un delitto che ogni cronista,
specie quelli con qualche anno di lavoro alle spalle, proprio non
possono accettare: sono i casi in cui a morire è un bambino.
Specie se viene ucciso in un modo
brutto (ma esiste un modo non brutto per una morte di un “angelo”?)
da qualcuno con le sembianze di un mostro.
No, un mostro, no. Non a
Firenze.
Non dopo gli anni degli omicidi del
Mostro di Firenze, l'assassino che uccideva le coppiette nelle
campagne attorno a Firenze, suscitando nelle persone una reazione
quasi viscerale.
La scomparsa di un bambino, è uno di
quei casi che fanno cadere il silenzio nelle redazioni dei giornali.
«Ragazzi, è sparito un bambino.».. E fu così che alle otto meno un quarto di quel giovedì di ottobre, Alessandro Della Robbia, prima firma della cronaca nera del Nuovo di Firenze, divenne una fialetta puzzolente. Nessuno rispose.
E invece no: succede a Firenze, in un
giorno di settembre, quando i genitori del piccolo Stefano Ristori
denunciano la sua scomparsa, mentre stava giocando nel giardino di
casa.
Avendo letto le prime righe del romanzo
di Gigi Paoli, si intuisce che quel bambino è finito nelle mani di
una persona disturbata. Che non ha resistito alle lacrime e agli
strilli. E che alla fine lo ha scaricato come un rifiuto qualsiasi..
Poi rimase immobile a osservare il buio. Dal fiume non arrivava il minimo rumore.
Si sentiva in una bolla di oscurità. Il suo cuore, da tempo, era in una bolla di oscurità.Non voleva che finisse così. Non voleva che iniziasse così. Ma così era andata. E sapeva bene che non era stata colpa sua.
Di questo bambino scomparso se ne
occupa la squadra Mobile della Questura di Firenze, col dirigente
Luca Settesanti e la procuratrice Simonetta Vignali, che lavora nella
Procura, Gotham City: questo è il
nome che Carlo Marchi, cronista de Il Nuovo ha dato al nuovo palazzo
di Giustizia del capoluogo toscano per il suo stile gotico.
Assieme al collega che lavora alla
“nera”, Alessandro Della Robbia detto “l'Artista”, è
lui a seguire il caso dividendosi le parti: all'artista tocca sentire
la Questura e la polizia a Marchi tocca andare in Procura per capire
quali piste sono seguite nell'indagine.
A nessuno piace lavorare su bambini
scomparsi, ma anche questo è il lavoro di un giornalista: prendere
informazioni sulla famiglia, sentire le sue fonti tra i magistrati,
cercare le foto del bambino chiedendole alla famiglia (questo è il
compito di Lido il fotografo).
Sperare in una confidenza di qualcuno
nella Mobile o di un pm e cercare di non prendere buchi dai colleghi.
Con gli occhi di Carlo Marchi,
raccontata in prima persona, seguiremo questa brutta storia: le prime
frenetiche ore di indagine (quando le probabilità di ritrovarlo vivo
sono alte..), il ritrovamento della sua bici poco lontano da casa.
Nessuno ha visto niente, nessuna
telecamera ha inquadrato qualcosa, nessuna impronta sul corpo, che è
stato trovato senza vestiti (che fine hanno fatto? Se li è tenuti
l'assassino?).
Solo un pensionato, che ha visto quella
sera una punto blu che forse stava svoltando su quella stradina
vicino il fiume.
Troppo poco.
Una persona si autodenuncia per
quell'omicidio e, per qualche ora, tutti tirano un sospiro di
sollievo.
Ma non è lui, anche se si fa in testo
a sbattere questa persona in prima pagina come il mostro:
Noi, alle nove, avevamo finito. Il
mostro era sbattuto in prima pagina. C’era rimasto un piccolo
problema. Il corpo di Stefano Ristori, in Arno, non si trovava.
Ma non è lui l'assassino, per diversi
motivi: primo, non sa dire dove ha scaricato il cadavere.
Poi, dentro la cripta di San Miniato
(una delle tante bellezze artistiche di Firenze) viene trovato un
messaggio, scritto col normografo.
«AIUTO! NON VOLEVO FARGLI MALE. È STATA COLPA SUA. HA PIANTO. LUI È STATO CATTIVO CON ME. CATTIVO! VORRÀ DIRE CHE NE CERCHERÒ UN ALTRO....»
E' un messaggio del mostro? Una sfida
alla polizia con l'annuncio di altre vittime? Il desiderio di essere
catturato?
E' il messaggio dell'assassino, perché
contiene delle indicazioni su Stefano che la polizia non aveva
divulgato alla stampa e perché indica dove ritrovare il suo corpo:
sulla riva dell'Arno dentro un sacco di plastica nera. Come un
rifiuto indesiderato.
Il mostro sbattuto in prima pagina.
Quel messaggio (senza impronte, senza
alcuna indicazione utile) che fa presagire il peggio.
Un mostro in libertà e un innocente
scambiato per il mostro.
Assieme a Carlo Marchi, entriamo nel
mondo dell'informazione e della notizia: come si muove il giornalista con le sue
fonti, come la Vignali e Settesanti, fonti da usare con cautela, per
non bruciarle.
Come funzionano le cose nelle
aule di giustizia: i processi che vengono tirati per le lunghe per
poter arrivare a prescrizione (se si dispone di un avvocato con quel
pelo sullo stomaco).
I processi che diventano mediatici,
perché toccano degli argomenti che suscitano l'attenzione delle
persone, delle chiacchiere da talk, dove chiunque può ergersi a
maestro del diritto.
C'è il lavoro, faticoso e senza orari,
del giornalista vero (non è un caso che l'autore sia un giornalista): quello che può essere chiamato a qualunque ora
per correre in procura o per la strada, per inseguire una pista o per
non prendersi un “buco” da un collega di un altro giornale.
Il rischio delle cause per diffamazione ma anche la voglia di poter scrivere quello che si vuole, fino a che è ancora permesso.
Essere un giornalista è una fatica: per Carlo Marchi significa dover rinunciare a stare assieme alla sua figlia, Donata, ormai
adolescente che vede crescergli sotto gli occhi troppo in fretta per
un padre apprensivo come lui.
Una fatica maggiore per un padre
separato e con poca voglia nel lanciarsi in una nuova relazione, come
quella con l'avvocatessa Olga. Che forse meriterebbe qualcosa in più
da lui.
Insomma, un uomo “molto incasinato
e molto imperfetto.”
E anche l'indagine si muove in modo
imperfetto, nonostante un secondo bambino sparito e ritrovato morto e
una seconda lettera. Che si chiude con quelle strane parole:
NON SONO LORO.
Cosa significa?
Perché quei bambini sono stati rapiti?
Che filo li unisce? Come ha fatto l'assassino a muoversi come un
fantasma senza lasciare traccia?
Carlo Marchi avrà un ruolo importante
nell'arrivare alla soluzione di questo caso, che riserverà tanti
colpi di scena, fino alla fine.
Un caso di quelli che lasciano l'amaro
in bocca perché riguarda dei bambini indifesi, la “fragilità
degli angeli” come il titolo della storia.
Avrei avuto ancora tante domande. Sulla furia degli assassini e sulla fragilità degli angeli. Ma ora basta, basta domande.
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