25 marzo 2019

Le inchieste di Report – di pellicce, protesi, speaker e indumenti femminili


Anche stasera sono diversi gli argomenti trattati dalle inchieste dei giornalisti di Report: l'allarme per le protesi al seno che Francia e Stati Uniti stanno ritirando mentre in Italia ancora si deve capire che fare; l'ipocrisia delle grandi case del lusso che utilizzano le pellicce; quello che non sappiamo degli smart speaker e infine, nell'anteprima, la tassa rossa

Perché i prodotti per le donne costano di più?
 

Perché gli stessi sandali, se sono da donna, costano di più rispetto a quelli per maschi (stessi materiali, stesso prodotto)?
Lo stesso vale per i profumi (14% in più), coi deodoranti (+50%), coi prodotti per il corpo (quasi il doppio): la scarpa da ginnastica in versione femminile costa in media quasi il 10% in più.
Solo per il fatto che siano rosa, costano più della scarpa per uomo.
Si chiama tassa rosa, la maggiorazione dei prezzi per prodotti di consumo femminili: l'hanno studiata quelli del portale web Idealo, analizzando i prodotti in vendita su 30000 negozi online.
“LE donne spesso devono pagare di più per uno stesso prodotto” racconta il country manager del portale: l'Italia, assieme alla Spagna, è il paese europeo con la tassa rosa più alta.
Sono scelte commerciali – cerca di spiegare una commessa che vende questi profumi: “le aziende sfruttano la forte domanda di questi prodotti, che significa una forte disponibilità a spendere” racconta l'economista Francesca Bettio alla giornalista (qui una anticipazione).

La scheda del servizio: LA TASSA ROSA di Giulia Presutti (qui l'anticipazione)
Secondo uno studio dello stato della California le donne spendono ogni anno 1400 dollari in più degli uomini per gli stessi beni di consumo.  In Italia, i dati del portale web di comparazione prezzi Idealo dimostrano che spesso la versione "per lei" di un prodotto costa di più dell'equivalente "per lui". C'è una tassa, poi, che pagano solo le donne: è l'Iva al 22% su assorbenti e igiene femminile di base.  In tutta Europa i governi l'hanno abbassata, mentre in Italia sono beni di lusso. Ma la politica se ne preoccupa?

L'allarme sulle protesi al seno

Assieme ai giornalisti del network ICIJ (tra cui l'Espresso), Report si era occupato delle protesi impiantate nel nostro corpo, dispositivi medici che salvano la vita alle persone, consentono di continuare ad avere una vita normale normale pur in seguito di malattie: ma chi controlla che questi dispositivi non abbiano difetti, che non ci siano conflitti di interesse tra le aziende che li producono e i chirurghi che li impiantano nel nostro corpo? Stiamo parlando di un business che vale 350 miliardi l'anno e che, secondo l'inchiesta, avrebbe causato 82mila vittime.
L'ultimo allarme riguarda le protesi al seno della ditta Allargan: queste sarebbero vendute senza gli adeguati test di sicurezza e ci sarebbe dunque il rischio di un tumore alla mammella e altri effetti collaterali.

In Francia le autorità pensano di ritirarle dal mercato, in Italia, nello scorso dicembre, il ministero della salute ha pubblicato un comunicato in cui si minimizzano i rischi.
L'azienda non ha avuto il rinnovo del certificato CEE per carenza di documentazione, non perché siano acclarati i rischi.

Questo il report che potete trovare sul sito del consorzio ICIJ e qui un articolo su Fanpage che ne riporta il contenuto

Le accuse alla FDA. Secondo l'inchiesta dell'ICIJ, per anni la FDA ha permesso alle aziende produttrici di protesi di nascondere le prove di rotture e lesioni delle stesse segnalandole come ‘eventi di routine' che quindi non richiedevano la divulgazione pubblica. Dal 2017 però le regole sono cambiate e in soli due anni si è registrato un enorme boom di segnalazioni: se nel 2016 il numero di sospette lesioni a causa delle protesi al seno era di 200, nel 2017 è salito a 4.567 e, solo nella prima metà del 2018, a 8.242. Le protesi sono diventate improvvisamente pericolose? Viene difficile crederlo. 
Protesi e cancro. Molti sono gli studi che in questi anni hanno dimostrato un legame pericoloso tra le protesi al seno e l'incremento del rischio di andare incontro ad un Linfoma a grandi cellule anaplastico. Come spiega il nostro stesso Ministro della Salute, il rischio era già stato evidenziato dalla stessa FDA nel 2011 quando era stato “rilevato un numero anomalo di casi di ALCL in pazienti portatrici di protesi mammarie per fini ricostruttivi o estetici, anomalia derivata dal fatto che l’ALCL, benché possa svilupparsi in qualsiasi parte del corpo, per la prima volta si manifestava in corrispondenza del tessuto mammario periprotesico”. Ma cos'è il Linfoma Anaplastico a Grandi Cellule (ALCL dall'inglese Anaplastic Large Cell Lymphoma)? Si tratta di una rara forma di Linfoma non-Hodgkin (NHL) che si sviluppa a carico dei linfociti T del sistema immunitario. La cura è possibile quando la malattia è localizzata al tessuto pericapsulare e, nei casi più gravi, può richiedere chemio e radioterapia.

La scheda del servizio L’ALLEGRO CHIRURGO di Giulio Valesini, Simona Peluso e Cataldo Ciccolella
Dopo l’inchiesta di novembre in collaborazione con il Consorzio Internazionale dei giornalisti investigativi ICIJ, Report torna a occuparsi dei dispositivi medici. Le protesi al seno: le portano 30 milioni di donne nel mondo. Le autorità sanitarie stanno indagando per capire la relazione tra alcuni modelli molto diffusi e una rara forma di linfoma. Le viti e le barre inserite per gli interventi contro il mal di schiena: vi racconteremo quello che in questi anni è successo nelle sale operatorie di molti ospedali.

In Italia ogni anno sono circa 49mila le donne che si fanno impiantare una protesi al seno, penso che ci siano tutti i presupposti per fare chiarezza su questo prodotto.

L'ipocrisia sulle pellicce

Come sono allevate volpi e visoni, come vengono uccisi gli animali, prima di essere trasformati nei colli che ornano le pellicce dei capi di lusso (Woolrich, Max Mara, Loro Piana, Moncler)? I giornalisti di Report sono andati in Finlandia per documentare tutto questo: sulle etichette dei capi, che paghiamo anche qualche migliaio di euro, è tutto tracciato, tutto a norma, tutto “etico”.
Tutti gli animali, per la maggior parte allevati in Finlandia, sarebbero allevati e trattati con rispetto (il 99% degli allevamenti di volpe ha il marchio etico): ma se è tutto a norma perché gli allevatori non consentono le riprese ai giornalisti che, per filmare questi allevamenti, sono dovuti entrare di notte, di nascosto?


La scheda del servizio L’ETICHÈTTA di Emanuele Bellano in collaborazione di Alessia Cerantola e Greta Orsi
La Finlandia è il principale produttore di pellicce allevate, in prevalenza volpi e visoni. Vendute in aste che si tengono ciclicamente a Helsinki vengono acquistate dai pellicciai che le conciano, trattano e colorano per poi rivenderle alle grandi firme della moda. Oggi molti grandi marchi le usano come bordature di cappucci o polsi di cappotto in pelo nei capi invernali. Al cliente etichette e addetti alle vendite nei negozi spiegano che le pellicce sono certificate come etiche. Secondo i dati dell'ente certificatore finlandese, sono certificati il 99 per cento degli allevamenti di volpi e il 93 per cento di allevamenti di visoni. Gli allevatori però non consentono alle telecamere di filmare quello che accade dentro, bisogna entrare di notte quando gli allevamenti sono chiusi. E quello che si scopre è molto diverso da quanto raccontato nelle boutique di Roma o Milano: cannibalismo dovuto al sovraffollamento delle gabbie e volpi mostruose ingozzate di cibo per far aumentare in maniera innaturale il loro peso e quindi la loro pelliccia. E chi alla fine incassa il maggior guadagno sono le firme della moda.

Che fine fanno le nostre parole?

Alexa, metti pop music ..
E d'incanto, a casa tua, parte la musica. Sono i dispositivi a comando vocale che ascoltano la tua voce e comandano i dispositivi in rete che ci sono in casa.
Nel 2018 il loro mercato è cresciuto del 187% ed entro quest'anno si stima che potrebbero essere 260 ml questi altoparlanti intelligenti: il loro prezzo varia da 50 euro a qualche centinaio, sono prodotti dalle multinazionali del web come Amazon e Google, per un mercato che nel mondo vale 7 miliardi di dollari.
Sono i maggiordomi moderni: ma possiamo fidarci di loro? Che fine fanno i nostri messaggi?
L'utente può entrare nel cloud e cancellare quello che non vuole condividere, rassicurano da Google.
In realtà è il GDPR, il regolamento europeo per la privacy che costringe queste aziende a dare la possibilità all'utente di scegliere cosa condividere e come.
Certo, il segretario per l'autority Busia ci dice che ci sono sanzioni, ma è meglio se andiamo anche noi a controllare.
La giornalista di Report, Cecilia Bacci, ha intervistato il prof Ziccardi della Statale di Milano: “sono sistemi che stanno vivendo un boom commerciale e per cui mantenere segreti gli algoritmi segreti, le tecnologie, è il cuore del successo, il problema è che nel mondo della sicurezza informatica non funziona in questo modo, la sicurezza dice che un prodotto è sicuro quando si può vedere la ricetta del suo funzionamento”.
La CNIL è l'ente francese che si occupa della sicurezza dei dati personali: hanno analizzato anche questi device e hanno spiegato come questi potenzialmente siano in grado di registrare tutte le conversazioni che facciamo in casa.
Dietro questi strumenti c'è la tecnologia del machine learning: gli algoritmi hanno bisogno di queste conversazioni per migliorare la loro capacità di comprendere cosa stiamo dicendo.
Siamo noi che aiutiamo Google e Amazon a fare strumenti più efficienti e nemmeno sappiamo per quanti mesi, anni, i nostri dati vengono conservati, specie per Amazon.
Possono poi capitare cose spiacevoli: in Germania un utente ha chiesto a Amazon di conoscere cosa lo strumento avesse registrato e ha ricevuto delle conversazioni di un'altra persona, con dentro nomi e numeri di telefono. L'azienda si è giustificata tirando in ballo un errore umano e, nel frattempo, questi dispositivi si stanno espandendo anche fuori dalle case... (qui l'anticipazione di Raiplay)



La scheda del servizio: SENTI CHI PARLA Di Cecilia Andrea Bacci
Entro la fine dell'anno potrebbero essere 260 milioni in tutto il mondo: sono gli smart speaker, agglomerati di microfoni e altoparlanti animati da intelligenza artificiale. Smuovono un mercato da sette miliardi di dollari l'anno e sono in continua crescita. Fanno capolino nell'intimità delle nostre case, nelle nostre auto. Ma rispettano la nostra privacy? Per interagire con loro basta pronunciare la parola chiave e formulare una richiesta. Ma che fine fa la nostra voce? Come e per quali fini vengono conservati i dati che le aziende raccolgono sul nostro conto?


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