Ecco la valle della sciagura: fango, silenzio, solitudine e capire subito che tutto ciò è definitivo; più niente da fare o da dire. Cinque paesi, migliaia di persone, ieri c'erano, oggi sono terra e nessuno ha colpa; nessuno poteva prevedere. In tempi atomici si potrebbe dire che questa è una sciagura pulita, gli uomini non ci hanno messo le mani: tutto è stato fatto dalla natura che non è buona e non è cattiva, ma indifferente. E ci vogliono queste sciagure per capirlo!... Non uno di noi moscerini vivo, se davvero la natura si decidesse a muovere guerra...Giorgio Bocca Il Giorno", l'11 ottobre 1963 (link)
Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua – scriveva Dino Buzzati sul “Corriere della sera”, l’11 ottobre 1963 – e l’acqua è caduta sulla tovaglia. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri – continuava lo scrittore e giornalista – il sasso era grande come una montagna e sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi.Dino Buzzati - Il Corriere 11 ottobre 1963 (link)
Sciacalli!
Indro Montanelli sul Corriere della Sera (rivolto ai giornalisti e a quanti parlavano di tragedia annunciata e delle colpe della Sade)
Chissà se a Giorgio Bocca sarà mai
ricapitato di ripensare a quanto aveva scritto all'indomani della
tragedia del Vajont.
Bocca e anche Dino Buzzati,
contribuirono alla narrazione della "povera Longarone, povera
Longarone" (prendo in prestito la formula usata dal suo teatro
della memoria): nessuno poteva prevedere, l'opera era ed è
espressione dell'ingegno umano, fatta a regola d'arte, tutta colpa
della natura cieca e indifferente.
Peccato non fosse vero, come stabilì
anche il processo anni dopo e come aveva invano cercato di raccontare
la giornalista de l'Unità Tina Merlin: nei suoi articoli (che
le costarono anche una querela, poi archiviata) e nel suo libro
"Sulla pelle viva", ha raccontato la guerra contro la diga
del Vajont, la grande opera dell'Italia del boom economico, opera di
grande ingegneria, vero, ma anche opera costruita su una frana
antica, dove non si doveva costruire, opera realizzata andando sopra
ai controlli, alle verifiche.
Perché bisognava costruire, non si
poteva fermare il progresso (e i profitti) solo per i scrupoli di
qualche geologo.
Tina Merlin aveva raccontato, facendo
vero lavoro di giornalismo (che non è solo l'alta prosa di Buzzati),
la guerra tra la Sade, la società privata che realizzò la diga, e i
montanari dei due paesini abbarbicati sulla montagna che si
affacciava al fiume Vajont, Erto e Casso.
Una guerra cominciata alla fine della
seconda guerra mondiale, con gli espropri per il progetto
grande Vajont, con un paese finito nelle mani di questa Sade, uno
stato nello stato (sono parole di Da Borso, presidente DC della provincia
di Belluno) e terminato con l'apocalisse del 8 ottobre 1963.
« Duecentosessanta milioni di metri cubi di roccia cascano nel lago dietro alla diga e sollevano un’onda di cinquanta milioni di metri cubi. [...] Solo la metà scavalca di là della diga, solo venticinque milioni di metri cubi d’acqua... Ma è più che sufficiente a spazzare via dalla faccia della terra cinque paesi: Longarone, Pirago, Rivalta, Villanova, Faè. Duemila i morti. »
Ogni anno, grazie al teatro civile di
Marco Paolini, ci tocca ricordare la storia di una delle più gravi
tragedie civili del nostro paese: duemila morti, di cui mille senza
nemmeno un corpo su cui piangere.
Duemila persona morte per quella tragedia che poteva e doveva essere prevista: una frana era già
avvenuta pochi anni prima dal TOC; la Sade era consapevole dei rischi
che i paesi attorno alle sponde del lago correvano (sia per la
perizia del geologo Edoardo Semenza, figlio del progettista Carlo
Semenza, sia per le simulazioni della frana fatte dal professor
Ghetti (che la Sade tenne ben chiuse nel cassetto, finché non furono
rubate da un suo assistente che le rese pubbliche).
Da quell'ottobre del 1997, quando in
Rai in prima serata andò in onda il teatro civile di Paolini, ci
siamo fatto quel nodo al fazzoletto che ci impegna a non dimenticare:
dimenticare la superbia e il cinismo di questa società privata che
si riteneva superiore alle leggi e ai “contadin 'gnoranti” che
chiedevano solo il rispetto della valle, l'essere trattati con
dignità.
Oggi il Vajont per molti è solo la
tragedia della povera Longarone, buona per un servizio da pochi
minuti con quelle immagini della valle devastata dall'acqua e dal
fango, di gente disperata alla ricerca di qualcosa da portarsi via,
di qualcosa dei morti. Come se fosse scoppiata una bomba atomica
(l'effetto fu quello, sulle case, sulle persone, un fall out pari a
due Hiroshima).
Eppure la storia del Vajont, di quella
diga e della guerra combattuta nella valle che si affaccia sul Piave
tra il 1956 (quando apre il cantiere) e il 1963 (quando crolla la
frana) è una storia italiana.
Una storia di conflitti di interesse,
quelle del conte Volpi, ministro e proprietario della Sade. Una
storia di regole non rispettate, per pericoli e rischi tenuti
nascosti, di soldi pubblici spesi male (la diga pagata due volte, la
prima dallo Stato come finanziamento a fondo perduto al privato in
concessione, la seconda per la statalizzazione degli impianti voluta
dal centro sinistra).
Una storia di collaudi fatti di fretta,
per poter vendere (dal privato Sade al pubblico Enel) un impianto
come se fosse a norma.
Una storia del più forte contro il più
debole, perché il più forte rappresentava il progresso, il profitto
e il debole erano quei contadini di cui quell'Italia sembrava non
aver più bisogno.
Una storia comune con molti tratti dell'Italia di oggi: la fame di cemento e di grandi opere, il finto ambientalismo, il giornalismo che fa da portavoce agli interessi dei privati, il saper solo piangere dopo le tragedie e la mancanza di una politica di prevenzione.
Cronistoria della guerra del Vajont:
1929 prime analisi di Dalpiaz e Semenza
in valle e prima relazione di Dalpiaz (1937)
1944 ottobre, progetto Grande Vajont
approvato al ministero a Roma
1956 arriva la Sade in valle: primi
espropri
1957 variante in corso d'opera
1958 commissione di collaudo
1959 prove
d'invaso alla diga di Pontesei, frana e morte di Arcangelo
Tiziani/guerra di perizie (relazione del geologo Muller vs relazione
del geofisico Caloi)/prima commissione di collaudo sulla diga (primo
assegno a fondo perduto per la diga). Fine lavori alla diga
1960 Prima prova
di invaso e prima frana del Vajont
1961 Galleria di
sorpasso
1962 Seconda prova
di invaso/modello idraulico del professor Ghetti/nascita dell'Enel,
nazionalizzazione dell'impianto
1963 Terza prova
di invaso, arrivo dell'Enel in valle
La costruzione
della diga, 261 metri di altezza, la prima diga a doppio arco di quelle dimensioni in Italia e nel mondo, costò 10 morti, che non vengono mai inseriti nel computo delle vittime.
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