21 gennaio 2020

Presadiretta – Vite a domicilio (il costo dei negozi online)

Presadiretta non dimentica Giulio Regeni: e se i servizi egiziani avessero usato uno spyware realizzato in Italia per spiare Giulio?
Basta un messaggio, una mail e il tuo cellulare diventa il tuo spione, controlla quello che guardi, i siti, dove vai.

Gli spyware sono armi di repressione politica, sono usati contro giornalisti come Assiri, sgraditi ai sauditi, o sgraditi come Khassogi.
Si ipotizza che gli arabi conoscessero i movimenti del giornalista grazie ad uno spyware prodotto da un'azienda italiana, Hacking Team.

Abbiamo venduto questo prodotto a paesi che non rispettano i diritti umani, col beneplacito di diversi governi, con la scusa della lotta al terrorismo.
Hacking Team, dopo un'attacco informatico, è stato salvata da un investitore saudita: ma la stessa tecnologia è stata venduta anche all'Egitto, secondo una europarlamentare di Alde è molto probabile che Giulio Regeni sia stato spiato da un sw italiano.

La licenza ad Area Spa è stata revocata nel 2017, ma il TAR ha dato loro ragione e dunque potrebbe aver continuato a vendere all'Egitto: le licenze sono concesse dal Mise, Presadiretta ha contattato un dirigente del Mise che ha preferito non commentare.
Ai giornalisti è stato negato l'accesso ai documenti che mostravano quali aziende italiane lavorano in questo settore esportando i loro sw in paesi come Egitto e Arabia: non basta dire che si rispetta la legge, bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, stiamo aiutando dei paesi che non rispettano i diritti civili.
Gli spyware sono armi che prima o poi si ritorcono contro di noi.


Presadiretta parla del commercio online, una vera rivoluzione che sta già cambiando la nostra vita. Ma a che prezzo?
Il mondo è piccolo, con un click le merci arrivano dappertutto, ci sono 20mila rider che portano il cibo a casa, è un mondo che non conosce sabati o feste, è una macchina sempre accesa.
Le persone che lavorano in questo settore hanno una vita gestita dall'algoritmo che dice cosa fare e in che tempo: la tecnologia è usata non per migliorare la nostra vita, non solo comunque, ma per distruggere i diritti umano – racconta Ken Loach.

C'è poi l'aspetto delle emissioni di co2, aumentate con le spedizioni a breve tempo, delle merci invendute che alla fine sono distrutte.

Questa rivoluzione cambia la nostra vita, la faccia delle città, il lavoro di alcune persone: ma tutto questo ha un costo.
A cominciare dall'imballaggio dei pacchi, per tutti i prodotti che si comprano in questo mercato globale.

L'e-commerce in Italia è cresciuto del 15% e crescerà ancora: tra i costi però bisognerebbe metterci i costi ambientali, perché per garantire le consegne rapide, anche per pochi prodotti, si costringono i corrieri a girare per le strade italiane con carichi non efficienti.

Amazon ha una impronta ambientale paragonabile a quella della Svezia: tutto colpa di Prime, per quei 5 miliardi di pacchi spediti tutti i giorni e che sono consegnati in giornata.
Tutto questo è garantito da una tecnologia all'avanguardia nei capannoni di Amazon, dove tutto è guidato da un algoritmo, dall'operatore al camion fino al centro di smistamento.
Dal centro di smistamento, partono i driver che coprono l'ultimo miglio, fino a casa.

Massimo Marciani, esperto di logistica, parla di vasi comunicanti per spiegare come funziona la piattaforma, dalla fabbrica cinese ai magazzini, fino al driver: un sistema che ha un forte impatto ambientale per il modo in cui si scambiano le merci.
Anziché le navi, si usano gli aerei, anziché furgoni pieni, viaggiano furgoni semivuoti che raggiungono le nostre case: è un sistema di logistica non sostenibile, raccontano al MIT Initiative.

Perché non aspettare qualche giorno la consegna, se si possono emettere meno inquinanti, per evitare di peggiorare le condizioni del pianeta? Perché Amazon non è trasparente?
Il responsabile Amazon in Europa per la sostenibilità parla di investimenti in energia rinnovabile, vorrebbero arrivare alle zero emissioni al più presto.

Col sistema del Prime, Amazon fa fuori la concorrenza, ma se le persone conoscessero gli impatti, sceglierebbero ancora l'invio in giornata?
Un forte impatto lo hanno anche i resi che sono molto alti specie nel vestiario: molti resi significa molte merci che viaggiano sulle strade e, di conseguenza, troppi imballaggi che alla fine finiscono nei rifiuti.

Rossano Ercolini, autore di Rifiuti Zero, ha analizzato i diversi packaging dei negozi online: cartoni col lo scotch, pacchi in plastica che non sempre è riciclabile .. tutti gli imballaggi presentano qualche problema, merce per inceneritori, con tutto ciò che ne consegue.

Bisogna ridurre la plastica e gli imballaggi: Amazon ci sta provando, con un progetto chiamato shopping on container, dove si vuole ridurre l'imballaggio mantenendo integro il prodotto.
Stanno ordinando centomila veicoli elettrici, sempre in quest'ottica.

Presadiretta ha raccontato col servizio di Teresa Paolo, lo scandalo dei prodotti invenduti, da fornitori terzi: alcuni sono ritornati al fornitore, altri sono destinati alla distruzione, sono etichettati come “destroy”.
Sono oggetti a volte nuovi, ma invenduti – racconta un ex dipendente di Amazon a Vercelli: il costo dello stoccaggio è un costo per i fornitori, così viene offerto loro l'opportunità di distruggerli, come da testimonianze raccolte da giornalisti di Mani tese.

Teresa Paoli ha incontrato anche un giornalista di Capital, in Francia: in Francia in un anno si distruggono circa 3ml di oggetti secondo la sua stima, oggetti nuovi a volte, di venditori cinesi che non hanno interesse a ritirare la loro merce.

Perché gettarli e non donarli?
Parliamo di pannolini, giocattoli, libri, televisori: succede in Francia, in Germania e anche in Italia. Prodotti nuovi, con etichetta: ogni giorno sono distrutti da 3000 a 15mila oggetti, di cui il 30% nuovi.

A Vercelli sono riusciti a far donare il cibo per cane, non scaduto, ad un canile: il resto ha avuto destinazione destroy.
Perché di questo non se ne parla? Perché farebbe fare una brutta figura ad Amazon, che ha solo l'interesse di liberare lo spazio nel magazzino.
Tutto legale, certo: è una scelta indotta da un regime contrattuale del tipo prendere o lasciare, dove i fornitori hanno margini molto bassi.
Un sistema che alla lunga presenterà un costo alla collettività: il professor Fabio Iraldo ha stimato il costo di questa logica del destroy.
Per cento forni a microonde è come se sprecassimo la quantità di acqua per produrre 29 tonnellate di pomodori.
Amazon offre diverse possibilità ai fornitori – spiega il responsabile Amazon sulla sostenibilità: vorrebbero portare questa percentuale a zero, in Inghilterra sono riusciti a far donare questi beni, mentre in Italia c'è un problema di tasse.
In Italia si pagano tasse se si donano beni mentre non se ne pagano se si distrugge: perché non cambiano la legge allora?

Il ministero dell'Ambiente sarebbe anche d'accordo, racconta un dirigente: aspettiamo che dalle parole si passi ai fatti.

Il commercio online traina il settore del commercio: chi ci sta perdendo in questa crescita è il commercio al dettaglio. Nel 2019 sono 5000 i negozi che hanno chiuso, specie nei piccoli centri, come a Bedonia sull'Appennino.

In poco tempo hanno chiuso negozi di alimentari, di prodotti al dettaglio: l'amministrazione ha fatto di tutto per non far chiudere i negozi, ma non c'è stato nulla da fare.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l'iniziativa “un click per la scuola”: una campagna di marketing, che ha danneggiato di fatto la vita nella comunità.

Compri su Amazon e do qualche soldo alla scuola di Bedonia: ma alla fine togli vendite ai commercianti del comune, che avrà meno tasse incassate, che avrà meno persone nel territorio perché se i negozi chiudono la gente va via.
LA battaglia contro Amazon non è ad armi pari: Amazon non paga le stesse tasse dei commercianti, è una sfida di topolino contro l'elefante racconta una di questi.
I commercianti comprano i prodotti ad un prezzo maggiore rispetto a quello della multinazionale, le persone sono attirate dall'online, col risultato da far spegnere le luci nelle piccole città.

Ad armi pari è la battaglia dei commercianti: si parla di web tax, introdotta di recente, si tassano i servizi al 3% ma non le merci vendute.
È una battaglia che va portata avanti come Europa: si rischia di arrivare ad una situazione di potenziale monopolio, da parte di un gigante che un giorno potrebbe decidere da solo i prezzi.

E la questione dei posti di lavoro? Il commercio online non dà lavoro come il commercio manuale – ha spiegato il responsabile per Reggio Emilia di confcommercio Massarini.

L'ultimo miglio.

Teresa Paoli ha visitato il centro di smistamento di Amazon di Settecamini: la responsabile del centro spiega alla giornalista quanto l'azienda tenga alla sicurezza nel lavoro.
E le accuse di pretendere la velocità? Lo dice chi non ha mai lavorato in Amazon.
In effetti di come si lavori dentro Amazon si sa poco: la pressione sulla velocità ha portato a diversi scioperi, dei dipendenti e dei corrieri.
Quelli che lavorano per “l'ultimo miglio”, come Patrizio, driver di Amazon: driver che devono soddisfare la logistica del capriccio dei consumatori, come la definisce Massimo Marciani presidente di Freight Leaders Council: il consumatore ha l'esigenza di soddisfare una sua esigenza senza avere la preoccupazione di come queste esigenza verrà soddisfatta, senza chiedermi come questo capriccio possa compromettere il futuro delle prossime generazioni.

Tutta la pressione del consumatore, per avere la merce in fretta, ricade sui driver e sui fattorini, l'unico contatto umano della piattaforma.
I driver lavorano per società esterne alla compagnia ma devono soddisfare alla lettera i dettami di Amazon: quante consegne, in quanto tempo, soste in doppia fila … si dovrebbe educare l'algoritmo ad avere tempi più “umani”.

Alessio – uno dei driver, guadagna 1400 euro al mese: non si lamenta dello stipendio, ma dei ritmi, del rapporto umano che manca, il sentirsi una macchina.
Non ci si può fermare mai.

Donato e Valerio sono due rappresentanti sindacali dei driver Amazon: questo lavoro è fattibile, ma non tutti i giorni, ci sono problemi per la sicurezza, perché pur di consegnare si parcheggia ovunque, si prende una multa e la paghi perché le città non sono predisposte per i driver.
Il mondo delle consegne è cambiato, c'è questa ossessione del tempo: non tutti reggono i ritmi.

I driver hanno vinto una prima battaglia avendo ricevuto uno stesso contratto, la seconda sarà quella di far conciliare il lavoro con la vita delle persone, che non possono essere spremute come limoni.

Non ci sono solo i driver di Amazon per la strada: in Italia sono 23mila i corrieri, alcuni di loro pur avendo un contratto di logistica oltre una certa soglia di consegne lavorano a cottimo, come fossero dei padroncini.
Ci sono consegne non effettuate che non sono pagate, c'è il rischio di essere derubati: vorrebbero essere trattati come lavoratori, con un cartellino timbrato all'inizio e alla fine della giornata.

Ken Loach ha raccontato la vita di questi lavoratori: Teresa Paoli l'ha intervistato, dopo il suo ultimo film che racconta i lavoratori della gig economy, lavoratori alla spina.
Lavoratori che non sono lavoratori, se vanno in vacanza non sono pagati, se si ammalano non sono pagati: le nuove occupazioni create dalla gig economy sono queste, lavori pagati poco e questo sta causando un aumento della povertà infantile in Inghilterra.
Ken Loach ha firmato un appello contro Amazon, ma punta il dito anche contro i consumatori: è nel nostro interesse che la gente abbia un lavoro adeguato e ben retribuito.
Ma Amazon non cambierà mai da sola: i politici hanno una totale responsabilità in questo cambiamento, il problema non è la tecnologia, ma chi la controlla, dovrebbe essere usata per migliorare la vita degli altri e invece viene usata per distruggere i diritti nel mondo del lavoro.

I rider della gig economy

Lisa Iotti aveva raccontato questi rider due anni fa nella puntata “Lavoratori alla spina”: lavoratori a cottimo governati da un algoritmo.
Per avere uno stipendio pari ad un operaio si deve correre, per la città col sole e con la pioggia.
Per prendere 7 euro a consegna: lavorando 50 ore a settimana, sette giorni su sette si arriva a 1400 euro.
Ma e sei straniero, guadagni anche meno, perché non hanno documenti o anche perché semplicemente, si trattengono i soldi.
Se sei nero, sei invisibile: la procura di Milano ha aperto un'inchiesta sul caporalato nel mondo del food delivery.

Finché non ci sarà un contratto che normi questo lavoro, tutte le storture di questo mondo saranno scaricate sui rider.
Dal 2 novembre esiste il decreto sui rider: ci sono tutele, l'abolizione del cottimo, esiste una paga minima, ma entrerà in vigore tra un anno e le aziende potranno contrattare la sua applicazione.
Le aziende di Assodelivery hanno reagito minacciando di abbandonare il paese: pare che in Italia non si possa fare impresa rispettando diritti e tutele delle persone.

Nemmeno per le persone che consegnano la spesa a domicilio, come i non dipendenti di Supermercato24: 500 shopper, 500 persone che lavorano senza formazione né tutela.
E' questo il mondo e il lavoro del futuro?
Un mondo dove le persone sono parti governate da un algoritmo?
 

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