25 aprile 2020

I nemici del 25 aprile, i nemici della Democrazia



L'ultima sparata è quella dell'ex ministro La Russa (eh già, è stato pure ministro) che chiedeva di trasformare la giornata del 25 aprile in ricordo delle vittime del Covid 19.
Hanno la coscienza sporca, i fascisti dei tempi moderni (e La Russa è pure uno di quelli che nemmeno si vergognava di esserlo), ogni anno devo portare avanti la stessa scenetta per ridicolizzare, sminuirne il senso, infangare la festa della Liberazione.

Perché questa è una festa chiaramente divisiva: da una parte i tanti che riconoscono nel 25 aprile il culmine della guerra di Liberazione avvenuta in Italia, per liberarci dalla dittatura fascista, dall'occupazione nazifascista del nostro paese.
Dall'altra parte i tanti che non si riconoscono in questa democrazia, fondata sull'antifascismo, e che non riconoscono (ma solo per quello che fa loro comodo) nella Costituzione emanata nel 1947.

Ancora oggi da fastidio questo 25 aprile perché è uno dei pochi giorni che ricorda il coraggio dei tanti italiani che fecero la resistenza, a modo loro e nelle tante maniere che ci sono state.
Quelli andati sui monti a combattere fisicamente, a compiere azioni di sabotaggio dietro le linee, costringendo i nazisti a spostare truppe dal fronte contro gli alleati per compiere rastrellamenti, per tenere libera la via di fuga al nord.
Quelli che fecero azioni di supporto in favore dei partigiani; le donne partigiane spesso impiegate come staffette per portare ordini e mezzi da un gruppo all'altro in un compito altrettanto rischioso.

Danno fastidio i loro ricordi, la loro scelta fatta in nome della libertà, la libertà di tutti, non solo di qualcuno.
Perché per contrasto mettono in mostra tutta la vigliaccheria dei fascisti italiani, resi dei lacchè dei tedeschi con la repubblica si Salò, complici delle stragi avvenute nell'estate del 1944 sull'Appennino.
Tutte le libertà di cui oggi godiamo, seppur ridotte da questo maledetto coronavirus, le dobbiamo a quanti hanno combattuto per la nostra Liberazione, il cui peso più importante gravava certo sulle spalle dell'esercito alleato che risaliva la penisola.
Non ce lo dobbiamo dimenticare mai, quando sentiamo un La Russa o un Sallusti sbuffare per l'approssimarsi di questa data.

E' la nostra festa, al pari del 2 giugno che ci ricorda la nascita della Repubblica Italiana, forse non il migliore dei mondi possibili, ma sempre meglio della migliore dittatura.
A cosa serve il 25 aprile oggi?
A ricordare cosa è stato. A ricordare che il fascismo è stato combattuto dagli eserciti ma anche dai tanti coraggiosi che non hanno girato la testa dall'altra parte nei confronti della dittatura, dei soprusi, delle violenze del regime.
A ricordarci che il fascismo può ritornare: è un tema più e più volte sottolineato dalle tante testimonianze raccolte da Gad Lerner nel saggio uscito per Feltrinelli “Noi partigiani: memoriale della Resistenza italiana”.


Brillano ancora gli occhi a Mirella Alloisio, all'epoca Rossella, responsabile della segreteria operativa clandestina del CLN Liguria, quando ricorda l'atto conclusivo dell'autoliberazione di Genova: “Quella sera del 25 aprile 1945 a Villa Migone, residenza del cardinale Boetto, il generale Gunther Meinhold fu costretto a frmare l'atto di resa davanti all'operaio Remo Scappini, nostro presidente, la cui moglie Rina, incinta, era stata seviziata dai nazifascisti fino a farle perdere il bambino. Quel foglio di carta rimane un documento storico. Al punto 2 imponeva che le truppe tedesche consegnassero le armi nelle mani dei partigiani. C'era scritto proprio così: partigiani. Solo l'indomani entrarono nella città gli americani e rimasero stupefatti: 'A wonderful job'. La mattina del 26 aprile Paolo Emilio Taviani, a nome del CLN, poteva annunciarlo via radio:' Per la prima volta nella storia di questa guerra un corpo d'esercito si è arreso a un popolo'”. 
Noi partigiani: memoriale della Resistenza italiana – Feltrinelli Autori vari a cura di Gad Lerner

Il fascismo può ritornare perché non se ne è mai andato: non si intende la camicia nera, il fez, il sabato fascista. Si intende quel virus dentro molti italiani che li fa preferire l'uomo forte al comando a cui delegare tutte le decisioni rispetto ad una democrazia rappresentativa dove il Parlamento decide in nome del popolo italiano.
Si intende l'insofferenza per quella repubblica italiana, fondata sul lavoro di tutti, dove tutti hanno pari diritti e dove non sono tollerati per nessun motivo discriminazioni su base razziale, di genere, di orientamento politico o religioso.
Si intende l'insofferenza nei confronti dei corpi intermedi in cui sono organizzate le nostre istituzioni, il rivolgersi direttamente al popolo perché solo il popolo mi può giudicare.
Il fascismo debole coi potenti e potente coi deboli.

Per chiudere sul perché di questa festa e su cosa significhi oggi la parola Resistenza, prendo a prestito le parole dello storico Gianni Oliva, nel suo articolopubblicato giovedì scorso, partendo dalle parole del pastore tedesco Martin Niemoller:
Hanno portato via gli ebrei e non ho detto nulla perché non ero ebreo;/ poi hanno portato via i comunisti e non ho detto nulla perché non ero comunista;/ poi hanno portato via i sindacalisti e non ho detto nulla perché non ero un sindacalista:/ poi hanno portato via me, e non c’era più nessuno che potesse dire qualcosa”. “Resistenza” significa questo: fare in modo che ci sia qualcuno che può ancora dire qualcosa. È questo il valore profondo del 25 Aprile: chi allora ha scelto la “montagna”, chi ha resistito con le armi o senza le armi, ha testimoniato un modello di valori diverso da quello imposto, ha fatto in modo che ci fosse ancora qualcuno in grado di dire qualcosa. Si possono fare mille distinguo sul ruolo militare della lotta partigiana, relativizzandone importanza strategica e consistenza numerica: ma non se ne può ridimensionare il valore morale. E non si può ignorare l’attualità di quel messaggio. 
Resistere” è un concetto più volte evocato in anni recenti, di fronte a rischi di deriva democratica veri o presunti. Ma per “resistere” non bisogna aspettare la pressione dell’emergenza. “Resistere” significa avere coscienza di sé, capacità di discernere e giudicare senza condizionamenti, libertà di pensiero, coraggio di parola. “Resistere”, in fondo, è un modo di essere: come tale, si addice alle generazioni che hanno ascoltato i racconti partigiani, ma altrettanto a quelle che hanno poca dimestichezza con le memorie passate e piuttosto che il 25 Aprile ricordano l’11 settembre.

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