Incipit (preso da qui)
C'era odore di pane nell'aria, caldo e croccante, così intenso che copriva ilo sapore salato della brezza fresca che soffiava dal mare. Lo stomaco di Piscitello gorgogliò così forte che uno dei due cani che teneva al guinzaglio voltò la testa, guardandolo con quegli occhi rotondi e lucidi da bambola, e un angolo di lingua rosa tra i denti appuntiti. Che bestie stupide, pensò Piscitello, e che abitudine idiota quella di portare fuori il cane all'alba, tutti i giorni, "a fare i bisognini", come diceva la moglie del comandante, donna stupida anche lei come i suoi cani, con gli stessi occhi lucidi e rotondi. Ma almeno lei restava a letto, la mattina.
Si fermò al limitare della spiaggia perché, anche se aveva le fasce che dalle scarpe gli salivano quasi al ginocchio, la sabbia finiva sempre per entrargli dentro. Sganciò il guinzaglio dei cani, che scattarono come due molle verso il mare. Si slacciò il colletto della camicia e poi si tolse il fez, passandosi una mano tra i capelli ricci, già umidi di sudore. Non erano ancora le sei, ma il sole basso di agosto cominciava a farsi sentire sulla divisa della Milizia, nera e pesante. Durante la notte c'era stato un violento temporale, ma l'umidità della pioggia sembrava già interamente evaporata. Socchiuse gli occhi, facendosi schermo con una mano, per seguire con lo sguardo i due cani che correvano sulla sabbia, Hailè e Selassiè, come li aveva chiamati il comandante, che era un eroe della campagna d'Etiopia e si vantava di aver messo il guinzaglio al negus.
Rimini agosto
1936: il cadavere di una donna viene ritrovato sulla spiaggia in
una afosa mattina. Si tratta, lo scoprirà uno degli ispettori che
accorrono sul posto, di una prostituta abbastanza famosa della zona,
Palmira Tabarelli, che si faceva chiamare Miranda o anche “la bella
culona”.
Un delitto che
rischia di mandare in agitazione gli agenti della Mobile che
accorrono sul posto poiché a poche decine di metri c'è il Duce in
persona che sta passando qui le vacanze.
Ma, anche grazie ad
una intuizione dell'ispettore Marino, si arriva subito ad un
possibile indiziato, il suo pappone, Oscar Tabanelli, che viene
acciuffato dagli stessi agenti mentre sta scappando da Rimini sul
treno.
Quasi un'ammissione
di colpa, la fuga, specie se si aggiunge quel colpo di pistola
sparato proprio contro l'ispettore Marino: sembrerebbe il finale di
una brillante indagine, specie se si aggiunge il telegramma spedito
da Mussolini in persona con cui si congratula con le guardie et
dirigenti e funzionari del commissariato, “Dimostrata perfetta
efficienza stile fascista”.
Certo, ci sono
tutti quei dubbi che rimangono addosso a Marino, uno dei tre
ispettori: ci sarebbe da confrontare il bossolo del colpo sparato
alla stazione con quello rinvenuto sulla spiaggia. Ci sarebbe da
spiegare come mai Oscar ammazza la sua donna (e perché?) la notte e
poi decide di scappare la mattina successiva. Ci sarebbe perfino un
mezzo alibi, fornito da due personaggi di quelli tenuti d'occhio dal
regime, dunque non proprio a prova di bomba.
Perché, raccontano
questi due, il Biondo e l'altro che si fa chiamare Amedeo Nazzari,
l'Oscar negli ultimi tempi aveva iniziato a frequentare gente
importante, era stato visto quella sera salire a bordo di un'Alfa
gialla ..
Ma sono dubbi che
Marino deve tenersi per sé, l'indagine è chiusa, vorrà mica
mettersi contro le evidenze, vorrà mica sconfessare le
congratulazioni di Mussolini?
Il suo capo, il
commendator Arenzano, glielo dice chiaramente: “Un buon
poliziotto, ispettore Marino, è un gregario zelante che rispetta la
gerarchia e non prende iniziative, mai!”
Caso finito? Un
cavolo – è quello che però pensa Marino, che vive un momento
particolare, per l'abbandono della moglie, a cui forse quella vita da
borghese, moglie di un funzionario di polizia andava stretta.
Quel caso è
proprio l'occasione buona per dimostrare a tutti le sue capacità,
una rivincita nei confronti della moglie e coi colleghi capaci di far
carriera grazie allo zelo nei confronti dei superiori, stando attenti
a quali casi seguire e quali lasciar perdere ..
Perché Marino è
uno di quei poliziotti che non è capace di lasciar perdere le cose:
Quella di far quadrare tutto, anche le indagini già chiuse, anche i bossoli di Tabanelli e della Miranda, era una fissazione che aveva sempre avuto. Quando era bambino, subito dopo la guerra, suo padre gli aveva regalato uno di quei giochi inglesi, un puzzle..
Questa indagine non
autorizzata, diventa il puzzle di Marino a cui qualcuno si diverte a
gettare dei pezzi sul tavolo: come la telefonata per uno strano furto
in casa del conte Utimberger; furto mai avvenuto, gli spiega la
contessa, Laura, visto che il marito non è in caso.
Chi ha fatto quella
telefonata per il furto allora? E il furto c'è mai stato?
Ci sono poi altri
pezzetti del puzzle che devono trovare il loro posto: la Miranda, la
donna uccisa, era stata vista proprio assieme a quel conte,
Utimperger, un funzionario dell'Ambasciata italiana, un uomo molto
vicino al ministro degli Esteri Ciano.
Il Biondo, uno dei
due amici di Oscar, il presunto colpevole (ormai colpevole e basta,
dopo il telegramma del Duce), che viene trovato morto affogato sul
molo del porto.
Strana morte.
Strane coincidenze
che non quadrano “e che gli davano fastidio, come le scarpe sotto
il letto”, una mania che faceva così infuriare la moglie.
Non è solo un
puzzle, un gioco, o una indagine come le altre: l'ispettore viene
avvicinato da uno strano giornalista, che si chiama Dannunzio quasi
come il poeta, uno che sembra sapere tante cose, che gli spiega che
volendo, potrebbe portare le carte a quel giudice qui in vacanza, che
si chiama Tarantini. Uno che non si è fatto piegare dai desiderata
del regime per il caso Matteotti a Roma.
Ma portare avanti
le indagini Marini significa infilarsi dentro un mondo pericoloso,
dove sembra che in tanti vogliano usarlo per fini personali.
Come la sorella del
conte, che gli invia una ricevuta del monte dei pegni, rubata a
Laura, che odia perché avrebbe ammaliato il fratello, una strega la
chiama.
Come il console
generale Silvestro, altro pezzo grosso del regime, di un'altra
corrente politica rispetto a Utimperger, più vicino all'ala filo
tedesca di Farinacci. Un tipo violento, uno dei fascisti della prima
ora, di quelli col manganello in mano, implicati nei delitti politici
degli anni venti, come il delitto Matteotti...
Forse anche la
stessa Laura lo sta usando, dopo averlo sedotto una sera, scappando
da un ricevimento al Grand Hotel.
Chi ha ucciso
Miranda? Perché il console Silvestro sta cercando una pistola e
perché la chiede proprio a Marino?
Alla fine della
storia, quando Marino, pesto e malconcio, riuscirà a metterli
assieme, i pezzi del puzzle, saranno solo domande che non
interesseranno a nessuno.
“Non è giusto”
- mormorerà tra i denti, l'ispettore in un finale in cui i cattivi
la faranno franca, come in tante altre storie italiane.
Questo ispettore
Marino è un poliziotto che ricorda molto da vicino il collega De
Luca, protagonista di altri polizieschi di Carlo Lucarelli, anche
loro ambientati nel corso del ventennio.
La stessa
determinazione a voler risolvere i casi, a mettere tutti i tasselli a
posto, e anche la stessa ingenuità nel pensare di poter risolvere
intrighi politici, come questo, solo perché si è un poliziotto,
solo perché c'è la legge da far rispettare.
C'è un delitto,
anzi, ce ne saranno anche più di uno, c'è un mistero, un colpo di
scena finale, ma c'è anche l'affresco del ventennio, gli anni
ruggenti del regime che godeva di ampia popolarità, almeno dal ceto
medio. Il regime dove nessuno ruba, dove tutto è ordine, dove i casi
sono risolti in fretta dimostrando la “perfetta efficienza stile
fascista”come nel telegramma del duce.
Ma dietro quella
cortina, quel fumo di scena, tutta l'ipocrisia di un regime corrotto
e malsano, violento coi deboli e con quel poco di opposizione
rimasta, dove la cronaca nera era bandita perché tanto, la
corruzione, il ladrocinio di stato, l'italico familismo amorale, la
facevano da padrone.
La scheda del libro sul sito di
Mondadori
e il blog dell'autore
(non ho trovato il link al sito di Hobby & Work)
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