25 maggio 2021

Report – il vertice delle stragi

La vicenda Copasir

Gli incontri tra Renzi e il dirigente del DIS Mancini hanno portato all'audizione del direttore Vecchione, poi sostituito dal governo Draghi.

Anche Salvini ha incontrato Mancini, non in un autogrill, ma in prossimità di Cervia.

Renzi giustifica l'incontro parlando di scambi di regali e però ha fatto un esposto alla procura per capire meglio se il video è stato fatto veramente dall'insegnante.

Nel frattempo Volpi, ex presidente, si è dimesso e così le audizioni si sono fermate: il nuovo Copasir avrà voglia di fare chiarezza su questi incontri?

L'eventuale inchiesta si è impantanata, secondo l'onorevole Meloni c'è forse un legame tra le dimissioni di Volpi (leghista) e la voglia di bloccare l'inchiesta su Mancini: sulla successione di Volpi c'è uno scontro tra Lega e FDI, che si sono scambiate accuse sull'essere amici di paesi stranieri. Adolfo Urso che sarebbe amico dell'Iran, mentre Salvini sarebbe amico sia della Russia che del Qatar.

Il vertice delle stragi in Italia e le menti raffinatissime

La strage di Bologna, la strage di Capaci, la strage di via D'Amelio e poi le successive stragi in continente del 1993.

Chi c'è dietro le stragi? Chi ha indicato gli obiettivi a Riina?

Si riparte da qui, dai soggetti dietro le stragi di cosa nostra, Berlusconi e Dell'Utri, già indagati e archiviati anni fa dalla procura di Firenze.

Si parte dalla casa della morte in vicolo Pipitone a Palermo, dove il gotha mafioso decideva chi uccidere come fosse un tribunale senza appello.

Qui è il regno del clan Galatolo dove i mafiosi incontravano soggetti appartenenti ai servizi e alle forze dell'ordine: dal maresciallo Salvano a Faccia da mostro, il dottor Contrada a La Barbera.

In questa casa servizi deviati e mafia si incontravano per scambiarsi favori: Faccia da mostro sarebbe il killer di stato, autore di una serie di omicidi avvenuti negli anni 90, accompagnato ad una donna misteriosa e pericolosa.

Faccia da mostro avrebbe avuto un ruolo nelle stragi di Capaci e via D'Amelio, nel fallito attentato all'Addaura, per spaventare Falcone.

Sui luoghi delle stragi sono quattro le donne viste e di cui esiste un identikit ma non se ne conosce l'identità. Ma non è il solo mistero, ancora oggi non si conosce chi ha premuto il tasto per far esplodere quelle bombe, un segreto inconfessabile perfino per la mafia, perché sarebbe la fine dell'immagine della mafia ..

A quasi 30 anni di distanza ancora non sappiamo i mandanti di queste stragi, per conoscerli Paolo Mondani mette assieme le prove già raccolte e altre, verbali e informazioni, rimaste nei cassetti.

Totò Cancemi nel 1993 si consegna ai carabinieri: Cancemi a Riina aveva confidato le sue preoccupazioni dopo Capaci (“se quelli sanno la verità è finita la cosa ..”). Cosa non dovevano sapere i soldati di mafia?

E chi erano i personaggi non mafiosi presenti durante la preparazione della strage di via D'Amelio?

Ne parlano la moglie del pentito Di Matteo col marito, dopo che era stato rapito il primo figlio, “ne abbiamo ancora un altro”.

E chi erano i personaggi che si muovono attorno alla macchina di Borsellino per rubare l'agenda rossa di Borsellino? Alla mafia cosa interessava di quell'agenda?

Salvatore Baiardo, l'uomo che ha curato i beni dei Graviano e di Messina Denaro, l'agenda ce l'ha proprio quest'ultimo. Parla anche degli incontri tra i Graviano con Berlusconi, tre volte, anche in Sardegna dove il boss avrebbe portato “una barca” di soldi all'ex presidente del consiglio.

“[Il partito di Berlusconi] è stato finanziato dalla mafia e non solo”, conclude Baiardo.

Queste informazioni erano presenti in una informativa della Dia, di cui aveva preso visione il magistrato Chelazzi: poco dopo Chelazzi fu trasferito alla procura antimafia e quella direttiva è stata dimenticata, fino ad oggi, fino al processo sulla ndrangheta stragista.

Oggi i Graviano parlano anche di Berlusconi e dei soldi, come nel 2013 in carcere Riina parlava dei finanziamenti ricevuti dal cavaliere.

Su questo stanno indagando i magistrati Turco e Tescaroli: i soldi a Berlusconi per il suo progetto politico, l'agenda rossa presa da uomini esterni alla mafia e portata ai boss, i luoghi per le stragi indicati dal bibliofilo Dell'Utri.

Tra i verbali dimenticati in un cassetto ci sono quelli raccolti da Chelazzi nel 1998, mentre interrogava Siino, dove si parlava di un collaboratore di Berlusconi, l'ex finanziere Francesco Maria Berruti, contatto tra la mafia e la politica secondo una confidenza ricevuta da Nino Gioè.

E c'è poi la storia della morte di Nino Gioè, uno degli autori della strage di Capaci, morto suicida in carcere, in uno strano suicidio: ma secondo il cugino Di Carlo è stato suicidato, Gioè stava per pentirsi, per confidare qualcosa ai magistrati.

Gioè, prima della bomba telefona a tre numeri negli Stati Uniti, racconta Gioacchino Genchi: a chi stava telefonando?

Gioè era in contatto con Bellini, estremista di destra, oggi indagato anche per la strage di Bologna, fatto infiltrare in cosa nostra dal Ros di Mori – dice lui a processo.

Gioè avrebbe dato un biglietto a Bellini, dove chiedeva favori a cinque mafiosi in carcere, Mori rifiutò di trattare, anzi non sapeva nemmeno di Bellini.

Matteo Messina Denaro era considerato da Riina come un figlio, forse perché era a conoscenza di tutti i suoi segreti: sapeva dell'intenzione di buttarsi un politica, con le leghe meridionali.

Una proposta fatta da Riina a Saro Maino, il suo alter ego in America, in contatto coi servizi americani. Come americani erano i telefoni con cui Gioè si mette in contatto, e anche altre telefonate degli stessi numeri di telefono dei mafiosi si mettono in contatto con l'America.

Bellini fu un infiltrato vero, in Cosa nostra, oppure il suo ruolo era inoculare in Riina l'idea che per far cedere lo stato era meglio colpire le opere d'arte, come sostiene Brusca?

Berlusconi, la banca Rasini, le accuse di riciclaggio di una banca dove avevano i conti Pippo Calò, le indagini di Berruti poi archiviate, le confessioni di Siino su Berruti ..

Il finanziere Pulici aveva seguito le indagini su Matteo Messina Denaro: dal suo ufficio un giorno sparisce una pen drive e un computer con dentro i documenti delle indagini, non è stata fatta alcuna indagine da parte di un giudice.

Chi è stato, chi è entrato nell'ufficio della magistrata Teresa Principato?

Da qui si parte per scoprire chi sta proteggendo la latitanza di Messina Denaro: una fonte racconta a Paolo Mondani di un esponente dei servizi civili che aveva i contatti con la mafia, era stato infiltrato nella mafia di San Lorenzo.

Questa persona (Alessio) si era occupato delle lettere che Messina Denaro scambiava col sindaco di Castelvetrano, raccolte in un libro “Lettere a Svetonio”: sindaco morto in questi giorni, un uomo dei servizi, l'ex sindaco Vaccarino.

Alessio, l'autore delle lettere per conto di Messina Denaro, infiltrato nella mafia, pure lui sarebbe un uomo dei servizi.

Qui siamo oltre l'immaginazione: questo libro serve per mandare messaggi, da una parte dello stato, a Messina Denaro, a creargli un'immagine di nuovo capo della mafia, dopo la cattura di Provenzano. Capo della mafia la cui latitanza è garantita molto in alto, dalla massoneria (Messina Denaro sarebbe pure affiliato ad una loggia figliata dalla P2) e da pezzi dello stato.

La mancata perquisizione del covo di Riina

Dopo l'arresto di Riina, il ROS e Mori decidono di non perquisire subito il covo, per monitorare chi sarebbe entrato in quella casa. Per un disguido, dicono i Ros, nessuna telecamera fu attivata in quei 18 giorni: secondo i pentiti di mafia, i segreti di Riina custoditi dentro la sua cassaforte, sarebbero passati a Messina Denaro e questi avrebbero ingrandito la sua forza.

Anni dopo a Nino di Matteo arriva un documento firmato “Protocolo fantasma” dove si racconta che nei documenti di Riina erano indicati i nomi delle persone a libro paga dentro lo stato, il Vaticano, “si poteva rovinare uno stato intero” racconta la pentita Rosi Vitale.

Nemmeno Riina si spiega come mai quella mancata perquisizione: chi ha venduto Riina, ha venduto solo il capomafia, ma non i suoi segreti.

Chi lo avrebbe venduto è Bernardo Provenzano, anche lui latitante per anni, grazie a tante protezioni.

Provenzano poteva essere arrestato nel 1996, grazie al contributo di Luigi Ilardo, mafioso che stava collaborando col colonnello della Dia Michele Riccio.

Ma il Ros decide di non catturare Provenzano, perché doveva ricompattare l'organizzazione – sostiene Riccio oggi.

Ilardo fu ucciso poco dopo aver incontrato a Roma Mario Mori e il giudice Tinebra: in quell'ultimo incontro Ilardo rinfaccia al carabiniere quei delitti fatti da pezzi dello stato e affibbiati alla mafia.

Come l'omicidio Mattarella, Pio La Torre e Insalaco, che sarebbero omicidi fatti dallo stato e dalla mafia. Mentre un omicidio fatto solo dallo stato sarebbe quello di Domino, un bambino di 11 anni, ucciso durante il maxi processo.

Esistono zone d'ombra negli apparati investigativi del Ros, racconta oggi il procuratore Patronaggio: analizzando gli atti, si denotava una scarsa voglia di collaborazione con la magistratura.

Mori è stato sempre assolto, va ripetuto. Ma quelle zone d'ombra rimangono.

Le strane presenze durante le stragi, il killer di stato faccia da mostro, il ruolo della massoneria e della destra eversiva, i servizi deviati.

Al processo d'appello sulla trattativa sono emersi dei documenti rimasti nei cassetti per anni: erano documenti sequestrati ad un mafioso che descrivevano l'impero economico di Provenzano: Gioacchino Genchi ha tirato fuori da quel pc e da quei floppy migliaia di pagine rimaste nel cassetto fino a pochi mesi fa.

Seconda stranezza, emersa di recente, è scoprire che Mori aveva indagato in Veneto nel 1975 sulla Rosa dei Venti, mentre era al SID.

Maletti allontanò Mori dal Sid: perchè era sospettato di contatti con l'estrema destra eversiva, racconta oggi Maletti. Nel 1978, Mori fu trasferito a Roma, il giorno successivo al rapimento di Aldo Moro: qui, racconta un altro ufficiale dei carabinieri Giraudo, avrebbe fatto proselitismo per conto della Loggia P2.

Mori è stato condannato in primo grado nel processo sulla Trattativa: di fronte ai giudic ha raccontato dei suoi incontri con Ciancimimo, “si può far qualcosa per fermare questo muro contro muro?”

La trattativa che per molti è ancora “presunta”.

La procura di Reggio Calabria ha aperto un fascicolo chiamato mafia parallela: l'indagine parte dalle dichiarazioni del pentito Barreca, che racconta degli anni in cui in Calabria erano arrivati Franco Freda, in contatto con la ndrangheta per mettere in piedi uno stato parallelo, con dentro mafiosi e uomini dello stato e massoni.

Licio Gelli sarebbe il prezzemolo di ogni minestra, conclude Barreca.

Ma Licio Gelli non poteva essere toccato: chi osava mettersi sulle sue tracce, come il funzionario del Sisde Scorza, veniva bloccato dal capo della polizia Parisi.

Qual era l'obiettivo delle bombe, a Firenze, a Milano e a Roma?

Chelazzi era intenzionato a mettere ad iscrivere nel registro degli indagati Mario Mori (l'ultima persona che ha interrogato prima di morire), era convinto dell'esistenza di una trattativa tra stato e mafia, per venire incontro ai problemi della mafia in quegli anni. L'ergastolo col 41 bis e i pentiti.

Oggi si parla proprio di questo, togliere l'ergastolo ostativo (dopo aver riformato il meccanismo dei pentiti per come era negli anni novanta), perché lo chiede l'Europa, dove però non arriva l'odore del tritolo, è la battuta del magistrato Patronaggio.

Un rischio che non possiamo permetterci, depotenziare gli strumenti per contrastare la mafia, come i collaboratori di giustizia e il carcere duro. Specie ora che stanno arrivando i soldi dall'Europa e le mafie hanno così tanti soldi da comprarsi dei pezzi dello stato.

Che riforma della giustizia partorirà questo governo dei competenti?

Che idea ha della lotta alla mafia?

Vogliono far uscire dal carcere quei mafiosi che non hanno intenzione di collaborare, come i Graviano?

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