La storia del vaccino contro il covid è lunga 40 anni, la storia di una molecola RNA messaggero: una gara vinta dagli Stati Uniti e in Europa solo dalla Germania.
In Italia la nostra industria farmaceutica si limita solo a riempir le fiale, perché?
Intanto solo i paesi ricchi hanno il vaccino.
Nel 2022 a dominare la scena in Europa sui vaccini, dopo l'estromissione di Astra Zeneca, ci sono le multinazionali americane: Pfizer con la fornitura di 1 miliardo di dosi e Moderna per altre 150ml di dosi. Entrambe le compagnie con i contratti stipulati con la commissione europea hanno aumentato il prezzo del loro vaccino, come trapela da una rivelazione del Financial Times.
Una fiala di Pfizer ora ci costa 19,50 euro, contro i 15,50 di prima, mentre una fiala di Moderna 25,50 dollari rispetto ai 22,60 dollari precedenti (19 euro).
Per capire se sono prezzi giusti i giornalisti di Presadiretta sono andati a Ginevra da una esperta di politica sanitaria globale a capo del Global Health Center, Suerie Moon: “non c'è una legge che regola i prezzi a livello internazionale, per questo quando i paesi hanno un disperato biisogno di vaccini, come è successo, il venditore ha un forte potere negoziale e può chiedere un prezzo più alto. Per me però idealmente le aziende dovrebbero vendere ad un prezzo vicino al prezzo di produzione, specie durante una pandemia, questa non è una situazione normale e a maggior ragione pperché molte aziende non si sono assunte grandi rischi e non hanno messo molti investimenti di tasca propria. La maggior parte degli investimenti sono arrivati dal settore pubblico, dai governi. Ma davvero non credo ci sia alcuna giustificazione nel far pagare un prezzo alto.”
Secondo un rapporto pubblicato da Publiccitizen, organizzazione statunitense a tutela dei consumatori, produrre un vaccino mRNA costerebbe meno di tre euro a dose, mentre un vaccino a vettore virale, come quello di Astra Zeneca, poco più di 1 euro.
Tutte le case farmaceutiche dei vaccini vincenti hanno fatto affari d'oro: per il 2021 Pfizer prevede un fatturato di 33 miliardi di dollari solo dalle vendite del suo vaccino. Moderna sfiora i 20 miliardi, e sono solo i profitti durante la pandemia – spiega Nicholas Lusiani di Oxfam America: “tutte le aziende comprese Johnson e Johnson e Astra Zeneca hanno dichiarato che quando la pandemia sarà finita non ci saranno più vincoli sul prezzo. Il direttore finanziario di Pfizer ha dichiarato che potrebbero alzare il prezzo a 150-175 dollari a dose, sarebbe un aumento di quasi il 900% sul costo dei richiami.”
Non c'è niente di sbagliato nel profitto di per sé – continua Lusiani - ma ci sono due condizioni: se questi profitti vanno a discapito dell'accesso ai vaccini, allora è un problema. La maggior parte dei paesi poveri non avrà pieno accesso ai vaccini fino al 2024, e la massimizzazione dei profitti delle case farmaceutiche è uno dei responsabili. Il secondo aspetto riguarda ciò che fanno le aziende coi loro profitti, perché è logico pensare che se ci sono stati investimenti pubblici debba esserci anche un ritorno pubblico, un beneficio pubblico, ma non è stato così.
E' giusto trattare un vaccino come un qualsiasi prodotto commerciale, legato alla legge del mercato? E come faranno i paesi poveri?
In Africa al momento sono arrivate solo 67 ml di dosi, a fronte di 1,4 miliardi di abitanti, ma rimane fuori dalla vaccinazione più della metà della popolazione mondiale, altri 2,5 miliardi di persone.
Medici Senza Frontiere sta chiedendo di porre fine alla pandemia togliendo brevetti, per evitare altre morti: per capire l’impatto del covid in Africa, PresaDiretta, insieme ad @Amref_Worldwide , ha seguito sul campo la vaccinazione di massa in Kenya.
E il vaccino italiano, quello che avrebbe dovuto renderci indipendenti dalle multinazionali estere? E' ancora fermo e chissà se vedrà mai la luce: la Corte dei Conti ha bloccato il progetto a metà strada.
Presadiretta è entrata nei reparti di ricerca di ReiThera dove ha incontrato Stefano Colloca, responsabile della ricerca: qui hanno lavorato sul vaccino a partire dalla ricerca sul gorilla, si basa su un principio simile a quelli di Astra Zeneca, Johnson & Johnson o il vaccino russo Sputnik, si usa cioè un virus inattivo di scimmia che contiene le istruzioni genetiche per produrre la proteina spike del Sars-Cov2 e quindi generare gli anticorpi.
Qui sono pronti, con strutture nuove, a produrre fino a 100ml di dosi l'anno, partendo sin dalla materia prima del vaccino, diventando la prima azienda italiana capace di produrre un vaccino anti-covid.
La sperimentazione del vaccino ReiThera si è fermata alla soglia della fase 3, quella che coinvolge migliaia di persone per verificare sicurezza ed efficacia: “stiamo aspettando di trovare il sostegno finanziario per passare alla fase 3, che è quella che costa di più e che noi non possiamo sostenere con le nostre risorse finanziarie, avremmo bisogno di circa 60ml” racconta Colloca, che aggiunge “non è vero che siamo fuori tempo massimo, ci sono le varianti che impazzano, c'è il mondo che ha bisogno di dosi di vaccino, c'è interesse in paesi esteri che hanno difficoltà ad approvvigionarsi del numero sufficiente di dosi e quindi riteniamo che un vaccino come il nostro che ha un costo decisamente più basso di quello dei vaccini RNA possa essere importante.”
Anche perché si conserva in condizioni più agevoli, a 4 gradi, in un normale frigorifero: anche se il vaccino ReiThera non ci avrebbe reso indipendenti, la nascita di un polo industriale avrebbe rappresentato un volano per la ricerca italiana: perché la ricerca è un'attività costosa e rischiosa – prosegue Stefano Colloca – perché non puoi sapere quando inizia a sviluppare un prodotto se avrà successo o no. Questa attività non può essere, specie nel caso di piccole biotech come ReiThera, finanziata a debito, devono essere finanziamenti a fondo perduto, ci deve essere una condivisione del rischio, in cambio si ha un ambiente favorevole alla ricerca sulle biotecnologie e che sarà utile sfruttare nel futuro.
E in questo senso il confronto con paesi come Stati Uniti è impietoso: Moderna è stata finanziata in una fase molto precoce della pandemia con 1,2 miliardi dal governo americano, il finanziamento ricevuto da ReiThera, solo in parte a fondo perduto è di 60ml.
L'industria farmaceutica italiana nemmeno ha partecipato alla gara per arrivare al vaccino, negli stabilimenti presenti in Italia ci si limita a riempire le fiale, tutta la ricerca e la produzione dei principi attivi sono realizzati all'estero.
Lo spiega Guido Rasi, ex direttore dell'Ema, l'Italia ha capacità produttiva zero, ha sviluppato una capacità solo in una delle fase, quella dell'infialamento, ma non è alta tecnologia e dunque non ha voce sulla parte produttiva, che rimane in capo al produttore.
Per fare i vaccini che sono prodotti biologici servono i bioreattori e l'Italia ne ha pochissimi.
“L'industria farmaceutica italiana risente della situazione italiana” commenta Silvio Garattini, direttore dell'istituto Negri - “un paese che ha la metà dei ricercatori della media europea, un paese che ha un bilancio per la ricerca che è un'inezia, non abbiamo sviluppato prodotti innovativi da parecchi anni.”
Riccardo Iacona ha intervistato Giorgio Parisi, il celebre fisico italiano che è stato recentemente premiato dal nobel: quest'anno ha lanciato una petizione sulla ricerca italiana, a cui hanno aderito 75mila tra ricercatori e scienziati italiani.
Al giornalista, Parisi spiega che il problema è l'avvenire dei giovani italiani: “ogni anno due o tremila ricercatori italiani di ottima qualità vanno all'estero. Per esempio nel campo dove lavoro io che è la meccanica statistica, dentro il CNRS in area francese gli italiani sono diventati maggioranza rispetto ai francesi, il 37% sono italiani rispetto al 35% di francesi e questo non sarebbe un male se fosse compensato da una equivalente entrata in Italia di ricercatori stranieri. Ma i ricercatori stranieri non ci pensano minimamente, perché l'Italia non è un paese accogliente per i ricercatori, sono meno pagati che all'estero, non ci sono i fondi per la ricerca. Stiamo distruggendo la ricerca di base e stiamo perdendo la quantità di giovani che poi vanno all'estero.”
Ma dopo anni, è stato finanziato il nuovo piano per la ricerca con 2 miliardi e mezzo: “le dichiarazioni che poi ha fatto la ministra Gelmini erano di 1,9 miliardi di fondi che esistevano già a cui sono stati aggiunti 500ml. Quindi tutta la grancassa di Renzi era solo un aumento di 500ml su fondi che erano abbastanza bassi, più della metà vanno in ricerca industriale e il resto sono fondi minuscoli che sono assolutamente insufficienti e ad un livello decisamente inferiore a quello degli altri paesi.”
Eppure è grazie alla ricerca se oggi siamo usciti dal lockdown, se la curva dei contagi è in discesa, se il numero dei morti è molto contenuto (ma sempre alto): ricerca che deve dire grazie anche al lavoro di Katalin Karikò, biologa ungherese, una delle prime a fare ricerche sull'RNA messaggero, la molecola che porta le informazioni del DNA alle cellule scoperta nel 1961. Katalin sin dai banchi di scuola voleva fare la scienziata e fu una delle prime donne ad essere ammesse all'università di biologia: “il DNA sta nel nucleo e contiene tutte le informazioni genetiche che definiscono chi siamo, poi ci sono le proteine fuori dal nucleo che svolgono tutte le funzioni della cellula. Chi chiedevamo chi c'è nel mezzo, chi è che porta le informazioni fuori dal nucleo, è poi lo abbiamo scoperto, l'RNA messaggero.”
E' una sorta di stampino che contiene le informazioni del DNA e le consegna alla cellula affinché esegua gli ordini fabbrichi ciò che c'è scritto, per poi dissolversi (nelle cellule dei mammiferi si dissolve in poche ore).
L'idea della biologa era semplice ma rivoluzionaria: si potrebbe fabbricare dell'RNA sintetico affinché dia alle cellule le istruzioni opportune per fabbricare per esempio insulina in un paziente diabetico. E' da questi studi che si è aperta la strada ai vaccini contro il covid.
Sul Fatto Quotidiano potete leggere un'anticipazione del servizio
Dei quattro vaccini contro il Covid finora autorizzati in Europa, nessuno è fabbricato in Italia a partire dal principio attivo. Da noi, si fa l’ultima parte della filiera, quella che in gergo tecnico si chiama “fill and finish”, cioè la fase di infialamento e confezionamento.
“Quella dell’infialamento non è alta tecnologia. Quindi l’Italia non ha voce in capitolo sulla parte produttiva. La parte produttiva rimane in capo al produttore”. Per Guido Rasi – microbiologo, ex direttore dell’EMA intervistato da Daniela Cipolloni – “la capacità produttiva dell’Italia è zero”.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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