17 ottobre 2021

La prima inchiesta di Maigret, di Georges Simenon

 


La deposizione del flautista

Una balaustra nera divideva la stanza in due. Dal lato riservato al pubblico, contro la partete imbiancata a calce e coperta di avvisi e ordinanze, c'era solo una panca senza schienale, anch'essa verniciata di nero. Dalla parte opposta, banchi, calamai, scaffali stipati di registri enormi, neri anche quelli: insomma, una scena in bianco e nero. Ritta su una lastra di lamiera, troneggiava una stufa di ghisa come oggi se ne vedono solo nelle stazioncine di provincia ..

Ci troviamo a Parigi, in un aprile ancora fresco nel 1913: nel mentre la capitale è occupata con le celebrazioni per la visita di un regnante straniero, un giovane segretario del commissariato di Saint-Gerges riceve una denuncia di un uomo che si presenta al suo ufficio, si chiama Jules Maigret, Amédée, Francois.

Il denunciante che si è presentato al commissariato davanti Maigret, quella notte è un musicista, un flautista per la precisione, che quella notte, mentre passeggiava lungo rue Chaptal, ha prima visto una donna sporgersi da una finestra di una casa signorile, per poi udire uno sparo.

Precipitandosi al portone di questa casa – racconta il signor Justine Minard – è stato aggredito in malo modo dal maggiordomo, che dovrebbe chiamarsi Louis e messo alla porta.

Parte da questi pochi elementi la prima inchiesta di Maigret, non ancora commissario, non ancora “capo” della squadra omicidi, ma solo giovane poliziotto di belle speranze, a cui il capo della Sureté (amico del padre di Maigret) sta facendo fare esperienza, mettendolo ogni volta in uffici diversi.

La prima inchiesta che rischia subito di finir male, perché in rue Chaptal abita una famiglia importante, i Gedreau-Balthazar, proprietari del caffé Balthazar: alla villa Maigret, seguito dal flautista, viene accolto con asprezza, facendo pesare sul giovane segretario sia il grado sociale, sia la conoscenza personale col suo capo, il commissario Le Bret.

Con una certa perfidia, lo portano a visitare tutte le stanze della casa, o quasi tutte, perfino quelle delle domestiche, tirate giù dal letto senza troppo garbo.

In quella casa, in ogni caso, non c'è stato nessuno sparo, non c'è nessun cadavere, il testimone si sarà sbagliato.

Eppure.

Maigret non è ancora l'esperto poliziotto che poi diventerà, ma in questo suo primo caso dimostra tutte quelle doti che poi faranno la sua fortuna di investigatore: davanti casa Gendreau c'era una macchina, il testimone l'ha vista ferma per poi allontanarsi al momento dello sparo, per terra sono rimasti i segni dell'olio perso dal motore.

C'è poi l'atteggiamento strano delle persone in quella casa: l'altezzosità del giovane Richard Gendreau, quello distaccato del padre, Felicien, che ha assistito alla scena col cilindro in testa, come se fosse un estraneo in quella casa..

Diversamente da quanto si aspetta, il capo, il commissario Le Bret, non gli toglie il caso, non archivia il suo rapporto per non creare danno a quella famiglia influente.

Le Bret consente a Maigret di fare una sua indagine, prendendosi dei giorni di ferie, anche perché il giovane Richard Gendreau ha mentito: quel giorno la sorella, dalla cui stanza il flautista ha visto affacciarsi una donna, non era in vacanza, ma era proprio a Parigi.

«Vuole mettere qualcosa sotto i denti?»

Un omone grasso, tutto rosso, con gli occhi piccoli, guardava tranquillamente Maigret, che trasalì.

«Le va qualche fetta di andouille con un bel bicchiere di sidro? Non c'è niente di meglio quando uno è a stomaco vuoto.»
Così iniziò la giornata: Maigret ne avrebbe vissute molte di simili nel corso della sua carriera, ma quella prima gli fece l'effetto di un sogno.

La prima inchiesta di Maigret può così partire e il lettore seguirà il giovane segretario di Saint-Georges muoversi, con sempre maggiore disinvoltura, prima davanti la casa di rue Chaptal, con un bicchierino di sidro e di Calvados, per non dare nell'occhio con l'oste. Poi per le strade di Parigi alla ricerca del proprietario di quell'auto, andando a sentire una delle cameriere di casa Gendreau..

Quello che viene fuori è l'immagine di una famiglia ricca, avida, che deve la sua fortuna al lavoro del nonno, un venditore ambulante che grazie alle sue doti imprenditoriali aveva acquisito i beni di una famiglia nobile in decadenza. E dove questa fortuna aveva portato ad un odio tra i suoi discendenti, non solo per i soldi della dinastia Balthazar, ma per il potere.

Maigret, grazie a quella indagine, strappata al capo, per poi finire con una soluzione di comodo che non mettesse in imbarazzo nessuno (“lei è giovane, un giorno capirà”) capisce qual è il mestiere che vuole fare: non il medico, come avrebbe voluto il padre. Ma una specie di sacerdote capace di intuire l'animo delle persone da uno sguardo, capirne il destino e aggiustarlo grazie alle sue parole, al suo lavoro:

A dire il vero, il mestiere che aveva sempre sognato non esisteva. Da ragazzo, al paese, aveva come l’impressione che un sacco di gente non fosse al posto suo, o prendesse una strada sbagliata unicamente perché non aveva le idee chiare.
E immaginava un uomo di infinita saggezza, e soprattutto di infinita perspicacia, al tempo stesso medico e sacerdote, un uomo in grado di intuire con un’occhiata il destino delle persone.

Quel che aveva risposto poco prima a sua moglie a proposito di Germaine rientrava in questa linea: se fosse rimasta ad Anseval ... Un uomo da consultare come si consulta un medico. Una specie di accomodatore di destini. E non solo perché intelligente – forse non aveva neanche bisogno di un’intelligenza eccezionale –, ma perché capace di vivere la vita di chiunque, di mettersi nei panni di chiunque.
Maigret non aveva mai parlato di questo con nessuno. Né osava pensarci troppo seriamente per paura di sentirsi ridicolo. Non potendo portare a termine gli studi di medicina, era comunque entrato nella polizia, per caso. Ma era stato poi veramente un caso? E i poliziotti non sono qualche volta proprio degli accomodatori di destini?

Sarà una lezione importante, questa per il Maigret, futuro commissario capo, al Quai des Orfèvres, che l'esito di questa inchiesta porterà ad un passo dal firmare le sue dimissioni: non farsi mai schiacciare dal peso delle persone indagate, non trattare mai i suoi sottoposti, saper aspettare di fronte alla casa di un sospettato anche ore, sorseggiando un bicchierino di calvados o una birra. E diventare quel sacerdote accomodatore di destini che sognava da giovane.

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1 commento:

Mi raccomando, siate umani