24 febbraio 2022

Ma cos’è questo nulla? Di Hans Tuzzi


 

Roma, Ippodromo delle Capannelle domenica 15 maggio 1994

Il Soratte senza neve, a settentrione. Nel giorno che per i cristiani celebra l’ultimo episodio della vita terrena dell’Unigenito, nell’ippodromo della Città Eterna, sul prato morbido e caldo, il maggio romano faceva le fusa strusciandosi alle gambe di seta delle belle eleganti.

Tutte le belle cose hanno un inizio e una fine, compresi i personaggi seriali come il commissario, poi vicequestore Melis inventato dallo scrittore milanese Hans Tuzzi. Coi suoi romanzi, che definire solo gialli è riduttivo, ha coperto più di un decennio della storia italiana, dalla fine degli anni settanta, fino al 1994, quando è ambientato quest’ultimo. Dal crepuscolo delle larghe intese, sogno politico del presidente Moro distrutto in via Fani, al crepuscolo della prima Repubblica, distrutta da sé stessa, dalle inchieste dei giudici di Milano che finalmente potevano aprire delle indagini sulla corruzione dei partiti. Distrutta dalle bombe della mafia, con le complicità di parti dello Stato, del biennio 1992-1993.

.. in quel 1994, la tracotante protervia di un governo di satrapi nei confronti degli apparati di Stato, aveva accelerato i tempi della decisione.

Questo nulla, come dice il titolo, è il nulla dentro cui si ritrova Melis, arrivato alla fine della sua carriera in polizia, stanco per tutto quanto ha dovuto vedere come poliziotto e come osservatore della realtà di un paese destinato a cambiare pelle mille volte pur di non cambiare mai.

Non ultimo, tra questi, l’arrivo al potere del nuovo governo nella primavera del 1994, il nuovo sogno italiano che soggiogò molti italiani. Ma c’è stata anche la perdita di Fiorenza, la sua compagna, morta pochi anni prima per un tumore che se l’era portata via in pochi mesi e, qualche anno prima, se ne era andato via Kim, il loro cane.

Milano, lunedì 7 novembre 1994
La pioggia, appena un sospetto, batteva ai finestrini dell’auto, anonima ma con due carabinieri in borghese seduti davanti. La pioggia. Del resto, Milano è Milano si disse sua Eccellenza, pensando a quella carrozzella, a Roma, soltanto poche ore prima..

Un giorno di novembre bussa alla sua porta un suo ex superiore, “sua Eccellenza”, uno di quegli uomini di stato capaci di sopravvivere alle varie ere politiche, per la capacità di servire senza apparire mai oltre il necessario, assecondare i potenti senza mai legarsi troppo a questo o a quello.

Il governo del cavalier Papunà iniziano ad andare in crisi, la difficile alleanza tra il partito nordista e gli ex fascisti, oltre a quel partitino centrista, è sempre più in bilico.

Un nuovo governo si prepara all’orizzonte e sua eccellenza sta lavorando, da servitore dello stato appunto, a questo: ma bisogna preparare il terreno

«Ha mai sentito parlare di Filippo Artuso?»

«Sì, un giovane economista noto a livello internazionale, vicino al principale partito d’opposizione».
«Appunto: il candidato ideale al ruolo di ministro. Ma...»

Filippo Artuso, astro nascente della sinistra nonché uno dei papabili per un posto da ministro nel futuro governo, era stato invischiato in una indagine di omicidio avvenuta 8 anni prima, nella sua città, Brassanigo, capoluogo Veneto, ieri terra di democristiani bigotti, oggi feudo del separatismo padano al grido di Roma ladrona.
Era stato indagato come uno dei responsabili della morte di una ragazza, Mariastella Biason, trovata morta nella casa dei signori presso cui lavorava come baby sitter.

Artuso era stato indagato, una ex insegnante aveva visto uscire dal caseggiato dei signori Dorigo un giovane con una giacca, proprio una di quelle da poco uscite dal mercato e che in tanti gli avevano visto addosso. Ma alla fine ne era uscito fuori, per una questione di incastri di orari, era impossibile che fosse stato lui l’assassino. Ma l’ombra era rimasta e “i giornali del cavalier Papunà stan già iniziando a montare la sordida, prevedibile campagna diffamatoria”.

Sua eccellenza gli chiede di tornare a fare il suo lavoro, un’indagine, non come poliziotto e nemmeno per assicurare alla giustizia il vero assassino, non necessariamente almeno.

Sotto la finta identità di Nereo Mani, dovrà cercar di capire entrando dentro quel mondo chiuso, se Artuso effettivamente non c’entra nulla col delitto.

Ma non sarà un’indagine né piacevole (quale lo è, in effetti) e nemmeno facile. Brassanigo è una cittadina con un’antica anima medioevale, dove tutti si conoscono, specie nel mondo delle famiglie che contano. Questa città era diventata famosa

.. per quello che la cronaca nera aveva chiamato Delitto degli Ortiliani. Come aveva scritto all’epoca un giornalista, «la tranquilla città di provincia si trovava sospesa fra luce e tenebra, delitto e giustizia, scienza e culti esoterici».

Come scritto nel rapporto che Melis deve leggere nel viaggio verso questa città, molte delle persone legate al delitto, compresa la ragazza strangolata, il suo fidanzato e tante altre persone altolocate, facevano parte di una specie di setta, gli Ortiliani, che aveva come capo una figura carismatica, Beniamino Bratti.

Ovviamente era stato il primo ad essere torchiato, ma anche lui era uscito indenne dall’indagine, a parte le zone d’ombra come l’Artuso, su cui i giornali all’epoca si erano accaniti, in quanto di provenienza politica avversa a quella conservatrice, da sempre dominante in città e in regione.
Così, presentandosi come giornalista, con le false credenziali fornite da sua eccellenza, Melis deve ora tornare a fare domande, ai signori Dorigo, al cronista che all’epoca aveva seguito le indagini, giornale di proprietà di uno degli industriali del luogo.

Alle stesse persone interrogate dalla polizia e dai magistrati anni prima, come l’ex moglie di un architetto, anche lei ortiliana dove aveva preso il nome di “Gradiva” (un nome che evoca la Gradisca felliniana).

Melis si scontra con l’ostilità di molti di questi personaggi che, passati gli anni, non hanno più voglia che un “foresto” ritiri fuori questa brutta storia e faccia domande in giro. Ma ci sono anche persone che, forse perché lasciate ai margini del bel mondo cittadino, con Melis parlano. E parlano delle corna, delle relazioni adulterine, delle relazioni inconfessabili, dei vizi privati di alcuni dei protagonisti della vecchia indagine. Ne esce fuori un quadro che ricorda quello ritratto da Pietro Germi nel suo film, “Signore e signori”, ambientato proprio in queste stesse zone, negli anni sessanta.

Una società perbenista, volgare, carnale, dove contano gli sghei: un mondo di professionisti, politicanti, industriali, intellettuali e sportivi e anche dei seguaci di questa setta, gli ortiliani, frequentata da persone che avevamo bisogno di un qualcosa per colmare il loro nulla esistenziale. In mezzo a loro, un assassino che era rimasto in città, in incognito.

Un’indagine dentro un nulla: il nulla che cercavano di colmare i membri di questa setta, il nulla di una società senza etica, dove il senso di vergogna è stato bandito, il nulla dell’ostilità delle tante personalità di questa città infastiditi (o peggio, allarmati) dalle sue domande, dalla tenacia con cui Melis, o Nereo Mani, cerca di far luce su questo delitto

E cos’è, questo nulla? Denaro, e successo, e potere. Nulla, a ben vedere, nulla. Eppure, non era lì, lui, per un gioco di potere?

Come in tutti i romanzi di Hans Tuzzi, al centro del racconto c’è la descrizione dei luoghi e dei personaggi, perfettamente ritratti col suo linguaggio colto, pieno di citazioni, anche amare per Melis perché legate ai ricordi dei giorni passati assieme a Fiorenza. Un linguaggio elegante e ironico alto che ancor di più stride con la natura del “contesto” dentro cui deve muoversi, per un gioco di potere, certo, ma in fondo anche per dare giustizia, non per i morti, ma per i vivi, perché “noi dobbiamo punire la colpa per vivere nella certezza del diritto” come si ritrova a pensare alla fine di tutta questa storia. Una storia che è la fine di un’epoca e il passaggio ad una nuova era politica (quella del berlusconismo), la fine di un personaggio (al suo ultimo racconto). Una storia che è anche un ritratto di un mondo:

«Posso dirle una sola cosa: la realtà di un fatto è come un ritratto, svela la natura profonda di un uomo o di un paese. E quale fatto lo è più di un omicidio?»

La scheda sul sito di Bollati Boringhieri

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