30 luglio 2022

Il mostro di Capri, di Diego Lama

 


Prologo Napoli, giugno 1884

Il commissario Veneruso trovò la prima ragazzina in cucina, nascosta dalla tovaglia ancora apparecchiata per la colazione: doveva essersi rifugiata sotto la tavola, facendo cadere le sedie, due piatti, qualche posata, un bicchiere. Ma non era servito.
Era la sorella maggiore: aveva solo quindici anni.
La seconda era sul letto, a pancia in giù, la testa girata di lato: sembrava quasi che stesse dormendo, [..] La terza era nascosta dietro la porta dello sgabuzzino usato come bagno. Aveva cercato di scappare, ma era rimasta imprigionata nella stanzetta [..]

La quarta Veneruso non volle vederla.
«No.»

Una doppia indagine, su due piani temporali diversi, per il commissario del regno Veneruso: un delitto plurimo, terribile, quattro bambine uccise da un mostro nella loro casa in via Chiaia. E poi altri delitti, sull’isola di Capri, dove il commissario è stato mandato per prendere in consegna un vecchio brigante.

Due storie, che si alternano nelle pagine del racconto, fino a congiungersi (per quegli strani meccanismi del caso) in un’unica storia di morte e delitti, con una caccia al mostro che, per entrambi i casi, avrà l’improbabile volto di una persona che ha ucciso per vendetta, un mostro cresciuto in un contesto di passioni malate, in un contesto di mostri.

Partiamo dal primo delitto, di cui abbiamo letto nel prologo: quattro bambine uccise nella loro casa da un assassino che si è mosso con furia, lasciando traccia dello scempio nelle stanze, senza un perché, almeno un perché che una mente come Veneruso possa concepire

Il perché lo sa solo il Padreterno, pensò. Magari era stato proprio lui, come sempre e nell’alto dei cieli a comandarlo. Tutti gli altri erano innocenti, soprattutto i colpevoli. Il Padreterno no, mai.

Chi è il mostro responsabile di quei delitti che tormenteranno, interrompendo il sonno nella notte, Veneruso, anche quando un colpevole, pure reo confesso, verrà individuato?
Leggeremo la storia di questa brutta indagine,
avvenuta la settimana precedente della partenza per Capri, nel vari interludi del racconto principale dove, per la prima volta, vediamo Veneruso muoversi fuori dalla sua Napoli, a Capri a appunto.

«Dobbiamo prelevare una persona» rispose Veneruso. «E chi è?» «Un capobanda, un vecchio brigante. Zapatano Cosimo

Siamo nel 1884, ventitre anni dopo l’Unità d’Italia, quell’unità raccontata in modo trionfale sui libri di storia che aveva unito i regni della penisola ma non gli italiani: a Capri un vecchio brigante, ex ufficiale dell’esercito borbonico si è consegnato nelle mani dei carabinieri reali. Veneruso è incaricato di andarlo a prendere in consegna perché venga giudicato da un Tribunale, accompagnato dall’agente Serra.

Veneruso non riusciva a staccare gli occhi dalla città: era un’immagine magica, incantata, fasulla e bugiarda. E bastarda. Sembrava uscita da una fiaba. Più piccola si faceva e più bella diventava.

Sul piroscafo per l’isola, nonostante il mare mosso e il cattivo umore (per il caldo, per il mal di mare, per quella marea di persone attorno), Veneruso incontra diversi personaggi che poi ritroverà a Capri, cominciando da una famiglia originaria della provincia, i Famigliuolo: il capofamiglia costruttore edile, la moglie e le tre sorelle e infine la madre.

Sono accompagnati dalla cameriera e da un maggiordomo. Di ognuno, il commissario scatta una sua fotografia: il capofamiglia con la folta barba e i denti neri, i cui occhi “avevano la stessa luce disturbata e maniacale che aveva visto in altri individui – sempre colpevoli – nel corso della sua lunga carriera”.

Le belle ragazze, una col pancione, l’altra con le belle gambe. E la cameriera una bella e florida ragazza a cui Serra fa subito la corte
Sul piroscafo si imbatte in una signora bionda e bella, anzi bellissima, che poi scoprirà essere austriaca che gli rivolge uno sorriso gentile.
Poi un cane, che forse qualcuno ha smarrito avendo al collo attaccata una targhetta con un nome Retourner.
Nemmeno sul piroscafo Veneruso riesce a smettere di essere poliziotto
e pure di cattivo umore, complice l’insofferenza del viaggio e il dover scendere a Capri, l’isola che però lo colpisce con la sua forza selvaggia, le onde, i faraglioni. E anche la forza che sembra accompagnare le persone che scendono dalla nave

«Troppo dolce» mormorò di nuovo sospirando: quel posto gli metteva in testa una strana smania, un desiderio, una voglia... qualcosa che era rimasta sopita nei mesi invernali..
Sceso sull’isola Veneruso viene accolto da una nuova cattiva notizia: il cattivo tempo impedisce la partenza delle navi e così il commissario è costretto a rimanere sull’isola per più giorni, ospitato su una villa che, guarda caso confina con quella della famiglia Famigliuolo.

Non c’è fretta nel mettere le catene ai polsi del brigante, che i carabinieri trattano quasi con ossequio, così Veneruso ha modo di girare Capri incontrando diversi personaggi: due russi, venuti qui per fare la rivoluzione “Il più anziano si chiama Gorchi Massimo, giornalista, l’altro è Lenin Vladimiro”, su cui Veneruso lancia il suo sprezzante (e purtroppo errato) giudizio

«Non l’hanno ancora capito che guerre e rivoluzioni in Europa so’ finite, ringraziando Iddio, finite per sempre.»

Poi incontra l’industriale dell’acciaio Krupp, che sull’isola vuole costruire (in uno slancio di romantico pragmatismo) una strada nuova che dal centro del paese porta direttamente al mare.
Non meno singolare è l’incontro col brigante che, più che un criminale, viene considerato quasi come un ospite di riguardo, potendo muoversi libero sull’isola.
Forse perché era un ufficiale borbonico che ha combattuto contro l’esercito sabaudo, l’invasore (come cambia la storia a seconda dei punti di vista, vero?): si porta dentro un rimorso da anni, un grido di dolore legato ad un brutto episodio della sua guerra contro i piemontesi, dove uccise un soldato e il figlio che lo accompagnava

Quegli occhi, pieni di odio e di paura, continuano a fissarmi da vent’anni, di giorno e di notte, e quel grido continua a rotolare lungo il dirupo. Ora è giunto il momento di farlo smettere
Ma il risveglio dopo la prima notte sull’isola porta con sé altre brutte notizie: quello strano silenzio che avvolte la villa di Veneruso e quella adiacente (dove si trovano le quattro sorelle e la madre) è un segnale che fa scattare la mente del commissario un allarme: sceso nella villa dei Famigliuolo si trova davanti un altro delitto, una delle quattro ragazze è stata uccisa nel suo letto, la gola tagliata

Si fece avanti, ma sulla soglia si fermò. E vide. La ragazza era distesa al centro del letto, nuda. Qualcuno aveva tirato giù le coperte: il corpo bianco, ancora bello, sembrava già rigido.
Nonostante le insistenze dei carabinieri, che sull’isola non si sono mai occupati di crimini, Veneruso non vorrebbe seguire questa indagine: in testa ancora pesano gli altri delitti, quelli in via Chiaia, quel sangue sulle pareti e le tante domande rimaste senza risposta. Peso che diventerà quasi insopportabile quando, per la caparbietà del commissario, quelle domande troveranno una risposta (che scopriremo nel corso dei tanti interludi del racconto delle vicende capresi).

L’assassino, o il mostro, è sicuramente una persona dell’isola, magari proprio una delle persone che è sbarcata assieme a lui il giorno precedente. Quella strana moltitudine di imprenditori, intellettuali, benestanti, facce strane, venuti a Capri a cercare la libertà.

Quella libertà dai lacci della vita borghese, delle pubbliche virtù e dei vizi privati che non possono essere confessati. Quei vizi dentro cui crescono quelle malattie dell’anima che, sull’isola, sfoceranno in altri delitti.

In realtà non provava soddisfazione a far parlare gli assassini, sentiva solo un po’ di vergogna: per loro e per sé. Anche perché spesso non si trattava di cattive persone, ma di gente inciampata nell’omicidio, per errore o per rabbia, o per ignoranza, o per destino.

Scorbutico, bruttarello e invidioso delle bellezze altrui, come quelle dell’agente Serra, che tratta male ma a cui vuole a modo suo bene : il commissario Veneruso ha però una sua umanità di fondo che gli consente di provare pietà sia per le vittime che per gli assassini (i mostri non esistono, esistono le persone) e perfino con le persone “invertite”, i diversi, che nella società dei tempi erano considerate dei malati.
Eravamo nella Bella Epoque, gli anni delle scoperte scientifiche che avrebbero portato grandi progressi per le persone. Anni in cui ci si illudeva che la stabilità degli imperi e dei regni avrebbe protetto il mondo da nuove guerre.

Funziona tutto in questo romanzo: funziona l’intrigo del giallo, l’indagine, la scoperta della verità (in stile Agata Christie, con la rivelazione dell’assassino di fronte a tutti i protagonisti), funziona il racconto della società di quegli anni, così aperta verso il futuro eppure così chiusa, per esempio nei confronti degli omosessuali, considerati “pervertiti” da curare, dei paria. Come Oscar Wilde, pure lui ospite a Capri che, a modo suo, indirizzerà Veneruso verso la scoperta del mostro:

«La società perdona spesso il delinquente, non perdona mai il sognatore...».

La scheda del libro sul sito di Mondadori
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