Il mondo di sotto
Nel cortile di Gratosoglio non c'è mondo e non c'è via di mezzo. C'è l'alto e c'è il basso, il sopra e sotto, le verità apparenti e i segreti. Un ragazzino solitario prende a pallonate il muro scrostato, l’afa di inizio agosto non gli fa fare una piega. Un tiro disegna una traiettoria sbagliata, il pallone colpisce con un rumore sordo un auto parcheggiata.
La mamma, che per una volta dimenticata gli hijab, si affaccia sul balcone o richiama a casa: «Mimmo.. Mimmo! Vieni su», e poi gli riversa addosso addosso una raffica di imprecazioni in arabo, mentre il figlio continua a tirare calci.
«Mimmo...», come hanno italianizzato gli altri bambini, che poi sono nati a Gratosoglio, e chi c’è più italiano di loro?
Un omaggio al film
degli anni sessanta con Sidney Poiter e soprattutto un omaggio ai
sogli dei tanti migranti, persone come noi che hanno avuto solo la
sfortuna di nascere nella parte ingiusta del mondo, i cui sogni si
sono infranti nella traversata del Mediterraneo o nei centri di
accoglienza della civile Europa.
Questo romanzo del giornalista
Paolo Maggioni nasce dalla sua esperienza personale come cronista a
Como nei mesi del 2016 in cui la stazione comasca era diventata una
accampamento dei tanti migranti sbarcati in Italia e in viaggio verso
il nord dell’Europa. Da un paesino dell’area subsahariana, magari
il Mali, attraversando il deserto per arrivare alla Libia. Il grande
lager a cielo aperto finanziato dai civili paesi europei che fingono
di non vedere quello che succede la, lontano dai nostri occhi.
«Prima di arrivare in Europa tutti i viaggi passano dalla Libia...» Fece un cenno con le mani, Kofi, come se stesse maneggiando una bottiglia. «La Libia è un tappo. Lì ti fermi, da lì devi ripartire. Quando arrivi al campo sai che la tua vita un prezzo. È il biglietto da pagare per attraversare il Mediterraneo. 7000 dollari gli uomini. 5000 le donne e bambini che vanno insieme a loro. Al campo i soldi te li guadagni lavorando ma non bastano mai.»
Torture, violenze psicologiche, botte: tutto per prendere altri soldi dalle famiglie di queste persone, prima di farli partire verso l’Italia o le coste di altri paesi del sud Europa.
Persone come Issa, il personaggio inventato di questo romanzo, che incontriamo all’inizio della storia mentre, con un portamento fiero, si muove nel centro di accoglienza di Milano, quello gestito dall’angelo dei migranti, Raffaele Losito, in attesa della sua rivoluzione.
Cosa ha in testa
Issa, che pensieri ha in testa, cosa vuol fare con tutti quei soldi
che si porta dietro?
Il suo sogno si infrangerà nel muro
immaginario che la Svizzera ha eretto (come anche la Francia) lungo
la frontiera respingendo tutte le persone senza documenti in
regola.
Del suo caso se ne occupa la polizia del capoluogo
lariano ma anche un funzionario della Questura milanese che, caduto
un disgrazia, è stato promosso all’ufficio passaporto. Il
commissario Casablanca. Che poliziotto è, questo Giuliano
Casablanca? Passato dalla Mobile al cimitero della burocrazia dei
passaporti (che di estate, quando centinaia di persone tutte assieme
si accorgono di avere il passaporto scaduto, può essere un incubo),
si arrabatta come può in quel loculo che nemmeno è un ufficio. La
sua squadra nemmeno si può definire di poliziotti: uno ha un lieve
problema di sovrappeso ma sempre col sorriso sulla faccia, un altro è
un agente romano con origini cinesi che Casablanca multa ogni volta
che usa un’espressione non conforme con la parlata milanese
«Zhong, ascoltami bene. A Milano si dice in via Imbonati. Seguimi: abito in via Imbonati, c'è anche la mamma, facciamo l'aperitivo in un posto figo. È semplice, no? E poi ripeti con me, forza. A Milano si dice cafferino non caffettino. Figo non fico. La mamma, non mamma... In piazza Duomo, non a Piazza Duomo. Eddai, è semplice, no?»
Infine “minimo sindacale”, il poliziotto sempre attaccato al regolamento pur di lavorare il minimo possibile.
Ma questo morto, questa persona che aveva un nome e anche delle aspirazioni, la sua rivoluzione che aveva in testa e che non vedrà mai la luce, ha una storia. Una storia che incuriosisce Casablanca, per i punti poco chiari, perché nel centro di accoglienza da cui è partito a Milano è scoppiata una rissa tra migranti e hanno chiamato ancora lui. E uno dei migranti feriti negli scontri è scappato dall’ospedale in cui era piantonato. Chi era questa persona?
I giornali, le tv, le radio la chiamavano “emergenze umanitaria”. Alcuni politici si affannavano ai bordi dell'accampamento, slalomando tra i gruppi di migranti. Qualcuno attaccava la Svizzera, colpevole di aver sigillato il confine a chiasso e di respingere tutti. Altri accusavano il governo, colpevole di non aver sigillato il confine a Lampedusa .
Conservatori e progressisti si riconoscevano più dai sottopancia con l'indicazione del partito che non dalle parole.
Vi ricorda qualcosa? I tanti politici dell’aiutiamoli a casa loro? Non possiamo accoglierli tutti?
La storia di Issa
colpisce anche altri personaggi che incontriamo nel corso del
racconto: l’amico di una vita di Casablanca, il fotografo freelance
Luca Baselli in arte “Stucas” (il perché scopritelo voi) che
inquadra proprio in uno scatto quel ragazzo dalla pelle nera che, nel
mezzo del caos del centro di accoglienza, stipato dei tanti disperati
in arrivo dal sud del mondo, si muove con una sua dignità,
distinguendosi dagli altri.
E poi la giornalista Cecilia
Parenti, una di quelle capace di fare il suo mestiere, muovendosi
dove ci sono le notizie e andandosele a cercare.
O come Massimo Torre, un altro amico di Casablanca, che alla storia di Issa, che aveva studiato il pianoforte al conservatorio di Bamako, dedicherà diversi articoli.
Storia di Issa, dove naufraga l’Europa
.. la sua è una storia come tante, confusa nell’oceano dell’emergenza che l’Europa affronta senza apparenti strategie né soluzioni. Sappiano tutto e sappiamo pochissimo della morte di Issa Diakitè. Possiamo scrivere con certezza che aveva 27 anni, era nato in Mali ed è morto folgorato sul tetto dell’ultimo treno che lasciava la Lombardia per la Svizzera..
Ma questa storia non è solo quella di un ragazzo di 27 anni morto sul tetto di un treno: la sua stora si intreccia con la scomparsa di un ragazzi nel quartiere di Gratosoglio, quello delle Torri dove vivono italiani e italiani venuti da lontano, come quel bambino che giocava a pallone nel mondo di sopra, mentre nel mondo di sotto, nei sotterranei dei palazzi, c’è un mondo di sotto che fa paura.
Un mondo dove si
muovono piccoli spacciatori, spesso solo dei disgraziati a cui si da
come unica possibilità per sopravvivere quella dei piccoli reati.
E, sopra di loro, dei capi spietati, spesso immigrati come loro
pronti a sfruttare la loro situazione di disperazione per comandarli
con la violenza e col terrore.
Cosa c’entra la
sparizione di Kevin con la morte di Issa? Come mai la casa di Kevin
dove vive con la mamma è stata aperta e qualcuno ha frugato dentro
gettando tutto all’aria? Altra storia interessante quella di Anna,
la mamma, una dei tanti italiani che un lavoro lo hanno anche, ma che
le consente a malapena di sopravvivere.
E chi è questo strano
personaggio, uno dei tanti capetti nel centro di accoglienza, che è
scappato dall’ospedale?
Toccherà scoprirlo a Casablanca, che
tornerà ad essere un poliziotto operativo come ai tempi della Mobile
tanto da organizzare perfino un blitz, con tanto di variante
improvvisata, un’operazione Minaudo, in onore del calciatore
dell’Inter che aveva siglato un gol in un derby, appena entrato in
campo:
Ecco, pensò Casablanca, allora chiamiamola così come diceva mio padre, variante Minaudo... Questo servirebbe, l'imprevisto che cambia la partita in positivo
Ma Casablanca ha un
altro problema, molto più personale, in questa calda estate
milanese: a breve si sposeranno due amici che, per l’occasione,
hanno organizzato un matrimonio a tema, dove è previsto per gli
invitati l’abito in “orange”. Chissà, forse il regolamento
della polizia prevede che i funzionari non debbano vestire in modo
troppo stravagante, chissà..
Ma nella testa del commissario c’è
ancora Camilla, l’ex fidanzata anche lei invitata verso cui prova
ancora del sentimento.
Come finirà l’indagine sulla
morte di Issa e sul suo passato? Riuscirà Casablanca a sopravvivere
al matrimonio in total orange?
Se sulla copertina del libro
compare il Duomo di Milano, questo romanzo spazia anche sui quartieri
fuori dalla cerchia del centro, dal quartiere Gratosoglio fino alla
Chinatown milanese dove abita Casablanca: nel primo capitolo del
libro l’autore fa dire ad uno dei personaggi una metafora su Milano
che mi è molto piaciuta
Pensavo che Milano è una fisarmonica. Tutto è vicino. Prendi questa linea: centro-periferia-ricchi-poveri-grattacieli-casermoni-vincenti-sconfitti... C’è tutto in un’ora di viaggio, tutto attaccato, tutto con un solo biglietto di andata e ritorno.
Milano, la città dove si corre, dove si investe, dove non si sta con le mani in mano, la città che sta sempre in copertina e dove si suda, anche, in questa calda estate.
La scheda del libro sul sito dell'editore SEM
Il blog dell'autore
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