Le bombe a Roma, a Firenze e Milano. Un viaggio alla scoperta dei misteri che hanno cambiato l’Italia.
Potete leggere
questo romanzo, scritto dal giornalista Andrea Cottone, come un
romanzo appunto: un ragazzo che decide di chiudere un lungo e
travagliato corso universitario con una tesi, affidata ad un
professore importante. Una tesi sull’Italia del 1993, uno degli
anni cruciali della nostra storia recente, l’anno delle bombe di
Firenze, Roma e Milano. L’anno che comincia con la cattura di Totò
Riina, come aveva annunciata il ministro Mancino che, sebbene non sia
un oracolo, aveva annunciato un bel regalo allo stato italiano, messo
in ginocchio dai due attentati alle figure simbolo della lotta alla
mafia, i giudici Falcone e Borsellino, uccisi nel 1992 a soli 57
giorni di distanza.
Ma il 1993 è anche l’anno in cui accadono
altri eventi: si scioglie la Democrazia Cristiana, il partito che
ininterrottamente dal 1948 aveva guidato il paese. Scoppia lo
scandalo dei fondi neri del Sisde, il vecchio partito comunista,
sciolto alla Bolognina, si prepara forse a vincere per la prima volta
le elezioni. È un anno di cerniera, questo 1993, tra la prima e la
seconda Repubblica: compito di Ottavio, questo il nome dello
studente, è compiere un’indagine storica
.. sono scoppiate delle bombe. Deve risalire alla causa e anche all’effetto prodotto da questi avvenimenti. Ci sono sentenze, testimoni che può ascoltare e tenga d’occhio anche le cronache più recenti.
Anche il tempo
presente in cui avviene questa storia è un anno molto particolare:
il terzo o quarto governo Berlusconi è messo in ginocchio dagli
scandali, dalla crescita dello spread, dai mercati che non si fidano
più del nostro paese e nemmeno del suo presidente del consiglio.
Il
romanzo comincia proprio coi festeggiamenti la sera delle dimissioni,
a cui seguì il governo tecnico di Mario Monti, passato alla storia
come salvatore della patria, a capo di un governo fintamente tecnico
che però, riuscì almeno a dare un po’ di credibilità. E anche
qualche taglio alla spesa e alle pensioni.
Il nostro
studente si getta con molto entusiasmo in questa ricerca: attraverso
i vari capitoli del libro ci vengono raccontati i preparativi delle
stragi di Firenze, di Roma e Milano. La mafia, dopo il maxiprocesso,
anzi, anche prima della sentenza della Cassazione del 1992 aveva
messo nel mirino Falcone, Costanzo e Martelli. Un commando mandato da
Riina a Roma si era messo sulle tracce di Falcone, ma fu poi
richiamato. C’era da preparare un botto più grande in Sicilia,
c’era da fare scruscio. Era l’attentatuni di Capaci contro
Falcone e poi, quello strano, anomalo, di via D’Amelio contro
Borsellino.
Le bombe del 1993 furono preparate da un nucleo ristretto di persone dentro cosa nostra, anche dopo la cattura di Riina: da Messina Denaro (che non era il vecchietto che si faceva i selfie, come abbiamo visto nelle cronache dopo il suo arresto), a Giuseppe Graviano, madre natura, il boss trapanese Mariano Agate, Leoluca Bagarella. I camion con l’esplosivo fatti arrivare dalla Sicilia, i viaggi di Spatuzza per cercare gli obiettivi. E i morti: quelli mancati, come nell’attentato a Costanzo, fallito per un errore del mafioso che non riconobbe la macchina del giornalista. E quelli veri, come le vittime di Firenze e Milano. Anche qui però, attentati con diversi errori da parte del commando: una macchina piazzata male, una bomba esplosa troppo presto, come in via Palestro.
Ma che c’entravano quegli obiettivi con mafiosi semi analfabeti come Bagarella o Riina? E che c’entravano quelle vittime innocenti, come la bambina della famiglia Nencioni, con la vendetta della mafia? “Quelle morti non ci appartenevano” è il pensiero di uno dei mafiosi del commando, Spatuzza, uno che pure aveva sulla coscienza decine di omicidi.
Ma sarebbe potuto
accadere anche di peggio: a Roma, lo raccontarono anni dopo i
pentiti, allo stadio Olimpico, questa cupola ristretta che aveva
dichiarato guerra allo stato aveva preparato un attentato con ancora
più morti allo stadio Olimpico. Attentato che per un caso, fallì.
Ma quelle bombe, quelle morti, avevano portato ad una reazione:
se dopo la morte di Borsellino lo Stato aveva deciso una reazione
forte contro la mafia, con l’approvazione del 41 bis (il carcere
duro voluto da Falcone), con lo spostamento nelle supercarceri dei
mafiosi, quelle bombe creano una prima crepa nelle istituzioni.
Ci sono i contatti
tra il Ros del colonnello Mori con Ciancimino, per capire se si
poteva fare qualcosa, per fermare questa guerra – è quanto hanno
ammesso gli stessi ufficiali.
Ci sono le lettere dei familiari
dei detenuti al 41 bis, indirizzate al papa, al presidente della
Repubblica, al vescovo di Firenze.
A seguire il filo della
storia c’è il rischio di non capirci molto: come potevano questi
mafiosi conoscere questi obiettivi dal valore artistico? Si parlava
addirittura di colpire la Torre di Pisa.
Mafiosi che avevano
commesso degli errori nella preparazione degli attentati.
A questo punto nel
romanzo, e nella vita di Ottavio, si inserisce una voce da fuori: è
qualcuno che conosce molto bene la storia di quei giorni, cosa è
avvenuto in Italia tra il 1992 il 1993, qualcuno che si inserisce nel
suo computer, come un hacker, invitandolo ad andare in Sicilia per
incontrare il magistrato che sta indagando, nel 2011, sulla
trattativa stato mafia, ovvero sul possibile reato di violenza contro
un corpo dello stato.
Quelle bombe erano un messaggio, da parte
di un’entità criminale come la mafia, per costringere lo Stato a
smetterla con la linea dura?
Qui Ottavio conosce la storia del boss Luigi Ilardo, grazie al suo coraggio il Ros avrebbe potuto arrestare Provenzano nel 1995. Ma forse Provenzano doveva rimanere libero, come conseguenza di un patto scellerato tra un pezzo delle istituzioni la nuova cosa nostra. Un patto per far terminare le stragi, per far tornare la pace in questo paese.
Questo spiegherebbe come mai certi avvicendamenti politici e nelle istituzioni: Mancino al posto di Scotti, Conso al posto di Martelli, lo stesso guardasigilli che avrebbe, da solo, non prorogato il 41 bis a più di 300 mafiosi come segnale di distensione.
Dopo lo scoppio delle bombe di luglio, i primi di agosto la DIA scrive di 41 bis, di come i boss fossero “delegittimati” e stessero perdendo potere all’interno dell’organizzazione e perciò avevano bisogno di riaffermarsi «anche attraverso la progettazione e l’esecuzione di attentati in grado di indurre le istituzioni a una tacita trattativa». Quindi, il 10 agosto 1993, si parlava di trattativa praticamente in tempo reale, in documenti riservati, conoscibili a pochi. Se segnala il crescente malcontento nelle carceri da parte della classe media della mafia nei confronti dei capi, a cui vengono sollecitate «azioni di ritorsione contro lo Stato». Con tutte queste premesse , ed è forse questo il passaggio più importante della relazione, scrive la DIA: «E’ chiaro che l’eventuale revoca anche solo parziale dei decreti che dispongono l’applicazione dell’art. 41 bis, potrebbero rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato. Intimidito dalla “stagione delle bome”». Boom. Più chiaro di così era difficile essere per chi firma quel documento. Gianni De Gennaro..
Scalfaro, allora presidente della Repubblica, in questa storia che forse non è solo un romanzo, avrebbe avuto un ruolo importante, in particolare nell’avvicendamento al DAP, la polizia penitenziaria, da Amato a Capriotti e al suo vice, Di Maggio.
La mafia cambiava
pelle, come spesso le era successo nel passato: era entrata in borsa,
come aveva intuito Falcone, entrando nel capitale dei gruppi
industriali, stringendo accordi con l’alta finanza. E poi, col
passaggio da Riina a Provenzano, aveva nuovamente cambiato pelle.
Basta bombe, basta scruscio, si torna in immersione, nascondendosi
agli occhi dei benpensanti.
Ottavio sarebbe pronto a
chiuderla così, questa storia, questo romanzo che purtroppo si basa
sulle pagine delle sentenze, sulle carte processuali, su
testimonianze di pentiti.
Ma ancora una volta, questo strano
personaggio che lo ha avvicinato una prima volta, lo ricontatta. Se
già così questa storia di bombe e di ricatti allo stato fa paura,
c’è un ulteriore livello di verità che fa ancora più terrore.
Perché porta dentro i segreti dello stato.
C’è ancora tempo
per chiudere la tesi: Kar93, così si fa chiamare questa persona,
porta Ottavio a vedere questa storia partendo da prima del 1993,
dalla caduta del muro, dalla fine della guerra fredda, dalla fine
della necessità di uno scontro tra est e ovest. Dall’Italia che
con l’inizio dell’inchiesta di Tangentopoli ha vissuto una breve
parentesi di speranza di togliersi di dosso tutte le scorie del
passato..
Sono gli anni in cui, era il 1990, il governo Andreotti decide di rivelare al paese l’esistenza di Gladio: si tratta di un nucleo di militari che avrebbero dovuto opera di sabotaggio in caso di invasione delle truppe del patto di Varsavia (quando si pensava che i russi avrebbero potuto invaderci).
Ma dietro Gladio c’è
qualcosa di molto peggio: lo scoprirà, passaggio dopo passaggio,
Ottavio, che come Dante col suo Virgilio, viene accompagnato dentro
l’inferno che è stata la nostra storia recente. Da Portella della
Ginestra fino a Piazza Fontana, alla bomba di Brescia per arrivare
alla bomba alla stazione di Bologna. Dietro quelle bombe, si
intravede sempre lo stesso grumo nero: pezzi di servizi, uomini delle
istituzioni e manovalanza nera con uomini della mafia.
Cosa è
successo in Italia in quegli anni successivi alla caduta del muro di
Berlino? Succede che si saldano diverse anime criminali del nostro
paese, la mafia che aveva bisogno di cercarsi nuovi referenti
politici, i superstiti delle strutture deviate dei servizi (che non
intendono affatto finire processati dopo aver servito la causa
anticomunista), la Gladio nascosta, pezzi della massoneria che
volevano tornare a servire il mazzo delle carte, finanzieri d’assalto
che decidono di spolparsi l’industria italiana, tutti uniti in
patto scellerato.
Essendo venute meno le coperture politico-istituzionali, bisognava attaccare frontalmente lo Stato per generare la destabilizzazione della compagine governativa e l’apertura di una trattativa con nuovi referenti politici.
Destabilizzare il
paese per spaventare le persone, per riportare a più miti consigli
chi dentro le istituzioni avrebbe potuto dare aria agli armadi e ai
cassetti che dovevano rimanere chiusi.
Come ai tempi di Milano
nel 1969.
Come con le bombe
sui treni.
O nelle stazioni. O nelle piazze durante una
manifestazione dei sindacati.
Il “sistema criminale” era in connessione con altri personaggi legati al mondo “affaristico-economico” per perseguire degli scopi politici. Negli anni infatti, le organizzazioni mafiose, Cosa Nostra in testa, si sono adoperate per ripulire i denari proventi da affari illeciti, immettendoli nell’economia legale. «Il sistema finanziario, attraverso i suoi meccanismi, ha creato negli ultimi anni strumenti giuridici ed economici che lo hanno portato ad assumere un ruolo preminente rispetto a quello industriale. Tanto è vero che la proprietà industriale si è andata ad inserire nel sistema finanziario.», spiega la DIA nel 1994. Il mercato finanziario è quello in cui «è più agevole nascondere i capitali di illecita provenienza, in quanto lì è difficile individuarne le fonti».
Così, attraverso il mercato finanziario, con un meccanismo simile al contagio, la mafia è riuscita a raggiungere il sistema industriale. «In poche parole, attraverso il mascheramento dei capitali, gruppi di mafia possono essere entrati preponderantemente in gruppi finanziari, anche di livello nazionale, e attraverso questi, nel mondo industriale». Del resto, Giovanni Falcone l’aveva detto in tempi non sospetti: «La mafia è entrata in borsa».
Ancora una volta, anche in questo secondo livello di verità, viene da chiedersi, ma è tutto vero oppure è solo un romanzo?
Sarebbe bello se lo fosse. Se fosse vero, come raccontano tutti, che la mafia è stata sconfitta, è finita con la cattura di Riina, di Provenzano e di Messina Denaro (l’imprendibile primula che si faceva i selfie coi compagni di terapia).
Il concetto era fin troppo semplice, se le azioni erano rivendicate con delle telefonate bastava intercettarle. Così un gruppo di carabinieri per mesi è stato chiuso in uno stanzino di un’agenzia di stampa, in attesa che arrivasse la chiamata. (…) Ma quello non è stato l’unico tentativo, ci aveva provato anche l’ambasciatore Paolo Fulci, ai tempi capo del Cesis, la struttura che coordinava i due servizi segreti italiani: il Sismi e il Sisde. L’ambasciatore aveva già dovuto affrontare la discovery di “Gladio” nell’agosto 1990 mentre era ambasciatore alla Nato. Un vero guaio. Gladio era la struttura supersegreta che rientrava nel filone americano di “Stay behind” (letteralmente “stare dietro”), creata nel dopoguerra per opporsi al Patto di Varsavia e che agiva nella guerra non convenzionale, quella psicologica, e si esercitava per prevenire invasioni sovietiche. Fulci era il primo non militare a ricoprire quel ruolo. Ed è stato un incubo, anche perché non appena arrivato scoperchia uno scandalo legato a fondi neri, viene spiato nella sua residenza, incontra numerosissime resistenze. Due giorni prima che assumesse quel ruolo, quando ancora la notizia era segreta, la Falange armata già lo minaccia, preventivamente. Come potevano mai saperlo? L’unica possibilità era che fosse una voce interna agli stessi servizi.
Ma non è finzione
la storia della Falange Armata, la sigla che ha annunciato
(oltre alle operazioni criminali della banda della uno bianca) anche
diversi omicidi politici di quegli anni, come quello di Salvo Lima.
Non è finzione la sovrapposizione tra i luoghi delle
telefonate e le sedi coperte del Sismi (di cui parla
il libro in questo passaggio), come scoprì l’allora
ambasciatore Paolo Fulci, messo dal governo Andreotti a capo del
Cesis
K93: Ecco.
8: Cosa? Che vuol dire?
K93: È molto semplice: i punti indicati nella mappa che hai messo sotto sono le sedi coperte dei servizi e il secondo foglio…
8: Perché ti sei fermato?
K93: Beh, il secondo foglio sono i punti da cui sono partite le telefonate della Falange armata.
8: Praticamente…
K93: Praticamente coincidono.
8: Cristo santo, ma tu lo sapevi?
K93: Sì ma finora non avevo prove(…).
Non è finzione
l’esplosione delle leghe meridionali, fondate da mafiosi con dentro
massoni e vecchi personaggi dell’eversione nera, che avrebbero
dovuto prendere il controllo del sud (e nemmeno è finzione il
modello dell’Italia divisa in tre come immaginato dall’ideologo
della Lega Miglio).
Come non è finzione che le bombe, le
stragi, finiscono nel 1994 con la discesa in campo di Silvio
Berlusconi a capo di un partito fondato da Marcello Dell’Utri.
Come non è finzione quello che la lasciato scritto l’ex presidente Ciampi dopo le bombe del 1993 a Roma: avevo la sensazione di essere nell’imminenza di un colpo di Stato.
Ma forse questa è solo finzione, la mafia non esiste, è stata sconfitta, lo Stato ha vinto, la politica e le istituzioni hanno resistito e non ci sono segreti da nascondere.
Possiamo accontentarci di questa versione di comodo, come Neo, il protagonista di Matrix di fronte alla scelta, pillola blu o pillola rossa?
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Mi raccomando, siate umani