LE SCORIE DEL COVID di Lorenzo Vendemiale
Lo stato italiano sta pagando le mascherine di FCA anche dopo la produzione, paghiamo le macchine di FCA che non stanno più producendo nulla (costo di circa 600mila euro)
Paghiamo anche l’affitto di stabilimenti di SDA contenenti vecchi dispositivi medici (comprati magari a caro prezzo durante l’emergenza) che oggi non servono più.
L’eredità della struttura commissariale è di circa 3 miliardi di dispositivi, il valore complessivo è di circa 600ml, il costo dell’affitto che paghiamo a SDA è di 85ml: molto del materiale (come le mascherine) è in scadenza e il governo sta cercando di regalarlo ad enti di volontariato o scuole, che però ne hanno fin troppe.
Le scuole avevano scritto alla struttura commissariale per interrompere le forniture, che arrivavano anche dopo l’emergenza: purtroppo non possono nemmeno smaltirle, perché sono rifiuti speciali. Altro che nuove mascherine, le scuole vogliono solo che qualcuno se le venga a prendere.
Verranno bruciate le mascherine? Purtroppo rimane l’unica soluzione, perché non si riuscirebbe a riciclare nulla.
LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO di Danilo Procaccianti
Dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, il presidente del Consiglio Conte e altri politici proposero la revoca della concessione ai Benetton, per inadempienza. Passati cinque anni, Report ha raccontato la vicenda del ponte prima e dopo il crollo che causò la morte di 43 persone.
Si parla tanto di garantismo, dei diritti degli imputati, ma spesso ci si dimentica delle vittime e dei loro diritti: ora a stabilire se gli atti dei dirigenti di Atlantia e Aspi spetta ai giudici, dopo le indagini della Procura.
Quel ponte poteva crollare da un momento all’altro – racconta oggi il procuratore Cozzi, una frase che fa riflettere, visto che dopo il crollo Castellucci negò ogni responsabilità.
Non
solo Spea fece azioni di bonifica dei computer, attuò ogni mezzo per
impedire le intercettazioni, altro che collaborazione con la
Procura.
L’ex responsabile della manutenzione di Aspi,
Donferri, aveva contatti con generali in pensione per chiedere
trattamenti di favore per Castellucci, per difenderlo dai
giornalisti.
Infatti Castellucci nel giorno in cui andò in
Procura a riferire fu scortato da alti ufficiali dei carabinieri.
Donferri
chiede ai collaboratori di cancellare documenti in cui emergeva la
cattiva documentazione dell’autostrada, insultando anche le persone
che si sentivano in forte imbarazzo.
Oggi di fronte alle domande
di Report, risponde che non è vero, c’è una indagine in corso ..
come se le intercettazioni non esistessero (e ora si capisce come mai
questo governo come tanti altri vuole bloccare la pubblicazione delle
intercettazioni).
Perché era importante l’archivio
documentale del ponte Morandi?
L’ingegnere Morandi, il
costruttore, era consapevole del rischio dell’usura dei cavi di
acciaio, per colpa dell’umidità: la corrosione dei cavi era noto
da anni, ma Donferri liquidò le proposte di ricostruzione in malo
modo. E alla fine Donferri è arrivato al numero due di Aspi.
Oggi
è consulente di una società che si occupa di appalti e subappalti a
Pomezia, anche in nero – racconta Report.
Il crollo del Ponte Morandi è emblema dell’Italia che si prende cura del bene comune, l’importante è incassare, tanto e subito, anche risparmiando sulla manutenzione, anche a rischio della vita delle persone.
Potrebbe essere l’ultima volta che sentiremo intercettazioni come quelle trasmesse da Report sui Benetton: se passa la riforma Nordio noi cittadini non sapremmo nulla.
Ma ci sono intercettazioni di Donferri che prendeva in giro le proposte di manutenzione: le riunioni non furono registrare dai magistrati ma dall’ex responsabile della sorveglianza di Spea, Vezil, forse per timore di prendersi responsabilità per colpa di altri.
Oggi nessuna delle persone indagate, Castellucci, Donferri, Berti dimostra un qualche rimorso, una forma di rimorso per quanto è successo, anzi, sono proprio i Benetton ad esprimere i giudizi peggiori nei confronti dei manager di Atlantia.
Nessun
rimorso, nessuna voglia di chiarire di fronte ai giornalisti, nessuna
parola anche a loro tutela: Castellucci è stato descritto dal GIP
come una persona senza rispetto per le regole, nonostante prendesse
uno stipendio da 400mila euro. Report ha scoperto che l’anno del
crollo del Ponte ha avuto il picco dello stipendio, mentre ha preso
una buonuscita da 13 ml, nonostante fossero note le sue
responsabilità sulla cattiva manutenzione del ponte.
La
certificazione del ponte arrivava da autocertificazione – racconta
in una intercettazione Mion AD di edizioni Holding (la cassaforte dei
Benetton): ma nonostante tutte le preoccupazione nemmeno Mion fece
nulla, sebbene sia forse uno dei pochi in questa storia ad aver
dimostrato un minimo di ammissioni di colpa.
Mion, Gilberto Benetton, Alessandro Benetton e altri sapevano di questa auto certificazione: potevo fare casino ma non l’ho fatto dice oggi Mion, per conservare il posto, forse.
A
novembre 2020 vanno agli arresti domiciliari Berti e Castellucci per
una inchiesta parallela: a soccorrerli arriva il solito Donferri, che
sapeva che la resina usata per le barriere antirumore era non
omologato.
Tutto pur di risparmiare, a Genova come ad Avellino
nel viadotto dove sono morte 40 persone (per un pullman caduto dal
ponte) nel 2017: bastava spendere 20mila euro per rimettere bulloni
nuovi su quel ponte (che era in concessione ad Aspi) e non ci
sarebbero stati dei morti.
Per quel crollo Berti è stato
condannato in primo grado ma ora pende appello: ci sono delle
intercettazioni su quel processo di Avellino dove si sente parlare di
risparmi sulle opere di manutenzione, tutto per distribuire più
utili ai Benetton.
Aspi era la gallina delle uova d’oro per i Benetton: nel 2016 avevano 3 miliardi liquidi, così ogni anno, potevano costruire un ponte ogni anno, per manutenzioni hanno speso meno del 10% dei soldi incassati dai pedaggi. Dal 2009 al 2019 hanno preso 6 miliardi di dividendi: una valanga di soldi, che ha snaturato la natura imprenditoriale della famiglia Benetton, perdendoci un po’ la faccia e la credibilità.
Il giorno dopo il crollo la famiglia Benetton non rinunciò alla grigliata di ferragosto: anche questo è stato un colpo per i familiari delle vittime, “hanno dato la sensazione di essere senza anima” ammette lo stesso Mion.
Alessandro
Benetton ha scritto a Report una lettera dove parla delle sue
critiche fatte alla gestione dei suoi manager, di aver ammesso le
colpe in diverse occasioni.
Quando non avevamo tanti soldi
avevamo tanta credibilità – ammette: ma chi gli ha consentito di
gestire così l’autostrada? Report racconta delle colpe della
politica, l’estensione della concessione fatta dal governo Prodi,
senza che la politica mettesse dei limiti al concessionario, senza
che si mettessero dei paletti ai Benetton, costringendoli
a fare degli investimenti programmati (a questo servivano i
pedaggi).
Dopo il crollo del ponte il presidente Conte chiese la revoca della concessione, suscitando la reazione sdegnata dei garantisti all’italiana: purtroppo la concessione vigente aveva una postilla, siglata dal governo Berlusconi, che riconosceva un indennizzo ai Benetton anche in causa di inadempienza.
Il
ministro Toninelli cercò di eliminare questa postilla per legge, ma
l’iter fu fermato dal ministro Tria, tirando in ballo l’interesse
dei fondi internazionali: e l’interesse dei familiari delle
vittime?
Anche Salvini si dimostrò tiepido sulla revoca della
concessione.
Alla
fine cambia il governo Conte 1 e, soprattutto, cambia il ministro
Toninelli che oggi racconta che Conte non ebbe abbastanza coraggio né
nel difendere il suo ministro e nemmeno nel portare avanti un
contenzioso coi Benetton.
Con la nuova maggioranza entrano nel governo PD e Italia Viva di Renzi che non vogliono sentir parlare di revoca e così si inizia a parlare di accordo coi Benetton: la famiglia inizia a tessere i rapporti con Renzi, i 5 stelle, col PD. Con chi hanno interloquito i Benetton?
Sappiamo
che alla fine si arrivò all’accordo nel 2020, in cui i Benetton
vendono la società a CDP, senza stabilire il prezzo di vendita. Che
era la soluzione che volevano i Benetton, che in una intercettazione
dicevano che l’unico modo per salvare Atlantia era uscire da Aspi.
Coi soldi dello Stato.
Lo
Stato italiano nella bozza dell’accordo firma una resa: lo Stato
italiano scrive che non revocherà mai la concessione, anche se
Atlantia decidesse di non vendere.
Alla fine i Benetton dal
crollo del Morandi ci hanno pure guadagnato, con
8,18miliardi
di euro –
racconta il giornalista Giorgio Meletti a Report.
Ora la
struttura societaria di Aspi è una struttura complessa: altro che
nelle mani dello stato italiano, ora è nelle mani di società
tedesche, australiane, cinesi e americane. Società straniere che
vogliono solo soldi, altro che manutenzione.
Allora, lo stato
italiano ha fatto gli interesse degli italiani o dei fondi di
speculazione stranieri? Oppure dei Benetton?
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Mi raccomando, siate umani