Il grande squalo scivolava silenzioso nelle acque notturne, spinto da brevi colpi della coda a mezzaluna. La bocca era aperta solo quel tanto che bastava per far giungere un flusso d'acqua alle branchie. Quasi non c'era altro movimento: un’occasionale correzione della rotta, apparentemente senza meta, con il lieve sollevarsi e abbassarsi di una pinna pettorale, così come un uccello muta direzione inclinando un’ala e alzando un’altra.
Dubito
che ci siano persone che non hanno mai visto, o almeno sentito
parlare del film di Steven Spielberg del 1975, “Lo squalo”:
pochi, immagino, sanno però che il regista si è ispirato in parte a
questo libro uscito nel 1974 dello scrittore Peter Benchley.
Rispetto
alla storia originale, il film ha preso una ben diversa direzione: lo
si comprende bene leggendo questo romanzo dove, al centro del
racconto c’è ancora questo enorme squalo che irrompe nella vita
della cittadina turistica di Amity nel Long Island.
Ma se nel
film quello che rimane è la coraggiosa lotta del bene contro il
male, rappresentato dal capo della polizia locale Brody, nel libro
tutto questo è molto più sfumato.
Lo squalo irrompe nella vita delle persone di questa cittadina che campa sul turismo facendo esplodere una serie di problematiche che covavano da tempo: c’è la crisi familiare del protagonista, Martin Brody e di sua moglie Ellen, che stanno vivendo un momento di crisi del loro matrimonio.
Ellen si sentì afferrare da una malinconia terribile, dolorosa. Più che mai sentiva che la sua vita o almeno la fase più bella, la più fresca e spensierata le stava ormai alle spalle.
Ci
sono i tanti interessi dei commercianti e perfino del sindaco, per
tenere le spiagge aperte, nonostante la scoperta del primo cadavere.
Il personaggi di Matt Hooper è completamente diverso rispetto al film: l’esperto di pesci viene chiamato per aiutare la polizia di Amity nel catturare questo enorme squalo, e Brody percepisce questo suo arrivo come un altra intrusione, qualcuno che da fuori viene a mostrare la sua superiorità. Tra l’altro Hooper appartiene a quello strato sociale da cui proviene anche la moglie Ellen, la ricca borghesia di città che viene ad Amity per divertirsi.
In camera da letto, mentre si spogliava, gli venne in mente che la causa di quell'attrito, la fonte di tutta quella tensione era un pesce: un animale ottuso che lui non aveva mai visto. Sorrise di quell'assurdità.
A parte i primi capitoli, dove compare questo squalo che uccide le persone dettato dal suo istinto, la parte centrale del romanzo racconta di Amity, di come all’improvviso tutti i delicati equilibri delle vite dei personaggi si sgretolino e costringano loro a fare i conti con la propria vita.
Nell’ultima
parte del romanzo c’è la vera caccia al “leviatano”, questo
essere spaventoso venuto non si sa come per distruggere la vita di
Amity (come un castigo di Dio): è il racconto dell’uomo solo in
mezzo all’oceano, un enorme territorio sconosciuto di cui vediamo
solo la superficie e dal cui fondo spunta enorme creatura che fa
paura. Perché è oscura, come le acque da cui proviene, oscura come
i suoi occhi neri. Oscura perché imprevedibile.
La caccia allo
squalo diventa la caccia al terrore primordiale dell’uomo, la paura
di venire ucciso da un pericolo che non vedi arrivare e che può
sbranarti.
Negli ultimi anni della sua vita, l’autore
(morto nel 2006) è diventato un difensore della causa degli squali,
la cui sopravvivenza oggi è messa a rischio dall’uomo.
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