La fine del finanziamento pubblico ai partiti
Nel 2014 l’allora governo Renzi decide di abolire il finanziamento pubblico ai partiti: da quel momento in poi tutti devono potersi finanziare in base alle donazioni dei sostenitori, con dei tetti ben definiti per legge.
Ma
questa riforma ha reso i partiti più trasparenti?
Report ha fatto una due diligence ai partiti, alle fondazioni dietro i partiti (compresa la fondazione AN, che coi soldi pubblici ha ristrutturato la cripta del Duce), ma ci sono anche le fondazioni a sinistra che hanno salvato gli allora DS dal fallimento. Il servizio si è interessato anche ad Open al partito di Renzi, Italia Viva - chiedendosi quanto dona al suo partito il senatore?. Ci sono politici titolari di società i cui proventi finanziano anche i propri partiti (è il caso del deputato Zan).
Report ha anche dato un'occhiata ai conti del M5S al Senato e alla Camera, dove si poteva fare qualcosa di più in termini di trasparenza.
Report
ha intervistato il deputato del PD Gianni Cuperlo,
chiedendo cosa sono diventati oggi i partiti che occupano il
Parlamento: “oggi sono partiti costruiti come comitati elettorali
permanenti che transitato da un elezione all’altra e macchine del
consenso che servono anche a garantire un certo ceto politico, di
finanziarsi ma anche di avere un ruolo, un peso politico nella vita
di questi partiti perché nel momento in cui non ci sono più fonti
di finanziamento pubblico sono sono i contributi degli eletti nei
singoli partiti che garantiscono la tenuta in vita di queste forze
anche sotto gli aspetti operativi.”
E’ una corsa al seggio
permanente dove tutto è legato al numero degli eletti ma anche,
soprattutto, al loro patrimonio che gli consente di finanziarsi la
campagna elettorale. Bene, dirà qualcuno, non paghiamo più noi
cittadini. Il risultato è che questa campagna elettorale è pagata
comunque da altri, chi ha più soldi ha magari più probabilità di
vincere.
Tra qualche mese voteremo per il Parlamento Europeo,
quando costa farsi eleggere – si chiede Cuperlo nell’intervista:
“se non ha le risorse necessarie, devi comunque prenderti l’impegno
per garantirle e quindi di rateizzare quel contributo nel corso della
legislatura..”
Nessuna cambiale, il deputato ha scelto di
rateizzare il contributo di 15 mila euro al Partito Democratico
Nazionale e 35 mila euro al PD regionale dove io sono stato indicato
ed eletto.
Chi ha alle spalle un buon reddito, chi garantisce
maggiore visibilità al partito e dunque ha maggiori possibilità di
prendere più voti, viene scelto. Le competenze e anche l’etica, in
generale, passano in secondo piano.
Il
M5S è stato tra i principali
sostenitori dell’abolizione del finanziamento pubblico, sulla
scia dei tanti scandali (ormai rimossi dalla coscienza politica), dal
caso
Belsito della Lega, al
tesoriere della Margherita Belsito: se i
deputati diminuiscono, come si sosterrà il movimento senza fondi
dello Stato?
Di che campa il M5S?
Risponde il presidente del movimento Giuseppe Conte:
“Tutto il grosso, 4,5 milioni di euro, arrivano dagli eletti,
parlamentari e consiglieri regionali che per vincolo statutario e per
codice etico devono versare un contributo.”
Soldi
che, diversamente da altri partiti, vanno ad alimentare sia
l’ordinaria amministrazione che un fondo per progetti di
beneficenza.
Ogni deputato restituisce 2500 euro ogni mese:
come gli altri partiti è il contributo degli eletti a garantire la
sopravvivenza di un partito e il numero di parlamentari sposta
milioni di euro. Il tema dei mancati fondi è tornato in agenda
politica la scorsa estate, a porlo è stato uno dei colonnelli dei 5
stelle, Stefano Patuanelli, in una intervista
al Corriere della Sera.
Con l’abolizione del finanziamento ai
partiti si sono confusi i costi della politica coi costi della
democrazia – questo era il senso della sua uscita, che suscitò una
reazione negativa anche all’interno del movimento, quello di
Patuanelli è solo un parere personale disse Conte.
“Ho
spiegato che, in un mondo ideale, il finanziamento pubblico dovrebbe
sostenere almeno parzialmente, quei costi, senza finanziamento
pubblico c’è il privato e non è detto che sia meglio.”
C’è
stato un chiarimento tra Conte e Patuanelli, quest’ultimo non
intendeva tornare al vecchio sistema.
Col taglio dei
parlamentari - altra riforma voluta dai 5 stelle – mancheranno i
versamenti, ma ora hanno il cuscinetto, spiega il consulente di
Report Gian Gaetano Bellavia, “nel cuscinetto della liquidità
vecchia avranno il 2xmille e forse ce la fanno. È chiaro che devono
ridurre i costi..”
Tra i costi che si dovrà tagliare ci
sono i 300mila euro che ogni anno il movimento da a Beppe Grillo,
sotto forma di consulenza per la comunicazione.
Perché non
dovrei avvalermi di Beppe, prendendo un esperto esterno, prova a
spiegare Conte, ma è come se Forza Italia avesse pagato per anni
Berlusconi, che poi era quello che metteva i soldi nel partito: “io
mi avvalgo di un comunicatore, che non ha un ruolo politico [sebbene
sia il garante], l’essere garante è un vantaggio per me..”
Forse
non si dovrebbe pagare un garante, proprio per garantirne il suo
ruolo: “ma le regole le vuole fare lei?” la risposta di Conte al
giornalista di Report che lo poneva di fronte a queste
incongruenze.
Dai 5 stelle alla fiamma, quella del simbolo di FDI (e del MSI prima): Gaetano Saya, maestro venerabile della loggia divulgazione 1 di rito scozzese Antico ed Accettato, amico di Licio Gelli venne indagato nel 2005 per il reato di aver costruito una struttura segreta e clandestina. Tutto fini in un proscioglimento: racconta di aver fatto parte della Stay Behind italiana, la struttura Gladio. Nel 2005 fonda il Movimento Sociale Destra Nazionale e registra il simbolo con tanto di fiamma, come opera protetta dal diritto d’autore e nel 2011 lo fa anche presso l’ufficio marchi e brevetti. Infine registra anche la fiamma, con e senza la scritta MSI: la stessa fiamma che troviamo nel simbolo di Fratelli d’Italia, cosa che non è stata gradita da Saya.
“La
fiamma è nostra e lo dicono i documenti”: Saya ha registrato come
opera protetta un simbolo riconosciuto da tutti e usato da almeno 70
anni, ma che nessuno prima di lui ha mai pensato di brevettare. Il
simbolo brevettato da FDI è quello col cordino, senza fiamma,
racconta a Luca Chianca.
Nel 2014 la fondazione Alleanza
Nazionale, che usava ancora la fiamma nel simbolo, la concede a FDI,
prima con e poi senza la scritta MSI e quel simbolo è stato
depositato presso la commissione che vigila sui partiti politici e
che certifica che possano accedere ai finanziamenti privati e al
2xmille.
Report ha sentito su questo punto Amedeo Federici,
membro di questa commissione: “se non mi arriva un provvedimento
coercitivo non posso, ma perché me devo impiccià? Sono soggetti
privati [..] Finché non c’è un provvedimento di un giudice
competente, non gli posso dire nulla.”
Veniamo
al partito di Renzi e alla fondazione Open:
l’inchiesta della procura di Firenze su Open ha fatto emergere una
serie di professionisti che il PD aveva ingaggiato per analisi di
marketing, campagne di comunicazione, ricerche sui social e che non
erano stati pagati per prestazioni da centinaia di migliaia di euro
(quelle erano le priorità nel PD renziano).
Uno di questi
racconta, senza mostrare il volto, di aver poi fatto una mediazione
con cui è riuscito a rientrare in parte con quella che gli era
dovuto, da 108 mila euro chiesti alla fine ha incassato solo 65mila
euro: “date le dimensioni nostre rispetto alle persone con cui
avevamo a che fare era anche obiettivamente difficile chiedere ed
ottenere di più”.
Pochi mesi prima delle elezioni del 2018 la
fondazione commissiona ad un’altra società nuove indagini sulla
social intelligence per 47mila euro: “avevamo intercettato la
crescita esponenziale di Salvini e dei suoi amici, una cosa paurosa,
mentre lui stava scendendo quegli altri stavano salendo a picco”.
La società, per questi lavori fatti a fine 2017, scrive alla
fondazione pochi mesi prima delle elezioni del 2018, il presidente
Bianchi propone uno sconto di 10mila euro.
“In quel momento
quando ti trovi di fronte ad un soggetto in crisi e che si avvia
verso il fallimento purtroppo bisogna scendere a questi
patti”.
Nessuna causa, meglio accettare lo sconto, “almeno
ci paghiamo il lavoro fatto” racconta a Report una responsabile di
questa società.
La scheda del servizio: Finanziamento ai partiti di Luca Chianca
Collaborazione di Alessia Marzi
Immagini di Alfredo Farina, Marco Ronca e Carlos Dias
Ricerca immagini di Paola Gottardi, Alessia Pelagaggi e Tiziana Battisti
Montaggio e grafica di Giorgio Vallati
Sono passati 10 anni dall'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
Nel 2013 il governo Letta mette fine ai finanziamenti pubblici ai partiti. Sono passati 10 anni esatti e oggi quei partiti per svolgere la loro attività politica possono raccogliere soldi dalle donazioni dei privati e dal 2x1000 devoluto dai contribuenti. Spesso, la fonte principale di finanziamento dei partiti è data dai contributi dei loro stessi parlamentari. Lo faceva un tempo solo il Partito Comunista. Report ha scandagliato i bilanci di tutti i partiti politici e delle maggiori fondazioni legate agli stessi partiti, dove i simboli politici diventano anche terreno di cause in tribunale. Come quella che riguarda l'antica fiamma del Movimento Sociale Italiano, che oggi troviamo dentro il simbolo di Fratelli d'Italia. Chi controlla? La Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici. È composta da 5 magistrati e solo 4 funzionari che, tra partiti e fondazioni, controllano ogni anno circa 120 bilanci, le donazioni dei privati e la fedina penale di migliaia di candidati per ogni elezione, e con un budget di solo 60mila euro l'anno. Come si convince un potenziale candidato a entrare in campagna elettorale? Report racconterà in esclusiva in che modo la Lega di Salvini corteggerebbe personaggi illustri per potersi giocare al meglio le prossime europee.
Le domande poste dalla redazione e le risposte ricevute:
- Ministero dello Sviluppo Economico
- Fondazione Alleanza Nazionale
- Il partito Fratelli d'Italia
I ventilatori della Philips
Nel giugno 2022 Report aveva denunciato in un servizio dei problemi di sicurezza dei respiratori della Philips, quelli usati dalle persone con problemi di apnee notturne: la schiuma fonoassorbente contenuta nei dispositivi a lungo andare si degrada e finisce nelle vie aeree.
È stato un incidente oppure c’è stata una falla nei controlli?
Come racconta il servizio di Giulio Valesini, Philips conosceva il problema dal 2015, per le segnalazioni che riceveva dai clienti e non ha posto rimedio. È stato dopo il 2020, quando i respiratori sono stati usati anche per il Covid, quando sono arrivate molti più reclami, che si è fatto qualcosa. Si è sacrificata la sicurezza dei pazienti per il profitto?
Quello dei respiratori è stato il più grande richiamo di dispositivi storici della storia, 15 milioni tra CPAP, BiPAP, Ventilatori che si è scoperto che potrebbero essere pericolosi per la salute.
Giulio Valesini ha intervistato diverse persone che hanno usato questi respiratori per anni, lamentando problemi ai polmoni: tosse notturna, la sensazione di avere i polmoni bruciati, poi lo scoprire quella polvere nera in fondo al tubo del dispositivo.
Il medico della società tedesca che ha risposto alle domande di Report spiega che la loro reputazione si basa sulla sicurezza dei pazienti. Ma questi modelli sono stati usati, e alcuni anche approvati in emergenza, proprio durante la pandemia, con pazienti con importanti difficoltà respiratorie. Nonostante il management della Philips sapesse del problema del particolato. Finita l’ondata di malati del covid, c’è stato un recall di questi dispositivi, come il Trilogy 100 e 200.
Ci sono state poi polemiche sulle perizie fatte sulle morti che si
ritengono collegate all’uso di questi respiratori: sono state fatte
dalla stessa azienda, come chiedere all’oste se il vino è buono.
Le perizie e gli studi andrebbero fatti da un ente indipendente:
Philips ha commentato dicendo che stanno facendo le loro valutazioni,
perché al momento non ci sono dati che stabiliscano una correlazione
tra le morti e l’uso dei loro dispositivi.
Report ha allora
contattato il centro Polimeri di Reggio Emilia per testare sei
campioni di schiuma di poliuretano prelevati dai dispositivi
Philips: dopo 3 settimane di analisi i risultati non sono stati
confortanti, le celle che compongono le schiume di poliuretano
perdono pezzi.
“Questa è una cella completamente aperta”
spiega Alex Bonardi direttore del centro “questa è una
parzialmente aperta”, la prova al laboratorio che la schiuma perde
del materiale.
Quali gli effetti se questi materiali sono
inalati? “Inalandole entrano nel sistema respiratorio i singoli
frammenti che a loro volta possono essere fonti di rilascio di
sostanze chimiche.”
Quante sostanze, che possono essere
inalate usando queste macchine, sono state trovate? “25 – 30
sostanze, parliamo di idrocarburi a catena lunga di tipo insaturo,
quindi degli alcheni, parliamo di alcoli, di ammine, di aldeidi, che
sono cancerogeni.”
In che quantità sono presenti? “Un
numero significativo che sostanzialmente non tende a cambiare di
molto nel tempo, anche per lunghi periodo di uso di questi
dispositivi, questo poliuretano progressivamente si fa a degradare è
una fonte importante di rilascio continuativo nel lungo periodo.”
In
più, la schiuma contenuta nei dispositivi Philips non è
biocompatibile.
Come racconterà il servizio di Report, Philips sapeva dei problemi
dei loro dispositivi da prima della pandemia e dal richiamo del 2021:
nel 2018 un ingegnere della Philips invia una mail a Bonnie Peterson,
della Polymer Technologies, l’azienda che rifornisce Philips delle
schiume di puliuretano usate dentro i respiratori, l’ingegnere è
preoccupato “abbiamo ricevuto delle lamentele da parte dei nostri
clienti secondo cui la schiuma si sta disintegrando. Il materiale si
stacca e viene trascinato nel percorso dell’aria del ventilatore,
come si può immaginare questa non è una buona situazione per i
nostri utenti [..] Ho segnalato questo messaggio con importanza
poiché stiamo affrontando un potenziale problema di sicurezza”.
La
risposta da Polymer Techlogies arriva tre giorni dopo perché il
problema era già noto da anni: “siamo stati contattati nel 2016
per questo problema, abbiamo inviato campioni di polietere ma non
abbiamo avuto notizie dei risultati e abbiamo continuato a fornire il
poliestere.”
Il fornitore dunque aveva avvisato Philips, il
polietere è più resistente ma la multinazionale ha continuato ad
ordinare il poliestere per la schiuma dei suoi dispositivi ignorando
la segnalazione e così i rischi per la salute dei pazienti.
Jan
Kimpen, direttore medico della Philips ha spiegato che fino al 2020
avevano solo reclami minori, pochi che arrivavano dai pazienti e un
po’ di più che arrivavano dai distributori. Ma in ogni caso non
possono più dire che conoscevano il problema solo dal 2021
La scheda del servizio: C’è (ANCORA) POLVERE NEL VENTILATORE di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella
Collaborazione Lidia Galeazzo, Alessia Pelagaggi
Report torna a occuparsi dei CPAP, BiPAP e ventilatori distribuiti in tutto il mondo da Philips, che dovevano aiutare i pazienti a respirare meglio. Nel 2021, 15 milioni di dispositivi sono stati dichiarati pericolosi per la salute dei pazienti. Philips ammise che la schiuma usata per insonorizzare il motore rilasciava una polvere potenzialmente cancerogena per gli utilizzatori. In Italia sono 100 mila gli utilizzatori di apparecchi per respirare di Philips non sicuri, il 70% in comodato d'uso attraverso la convenzione con le Asl. L'azienda olandese è chiamata a sostituire tutti i dispositivi ma a distanza di due anni, nel nostro paese ce ne sarebbero ancora circa 15 mila che nessuno sa dove siano finiti e chi li stia utilizzando, anche perché ad oggi non esiste ancora un registro che aiuti la tracciabilità dei respiratori.
Documenti interni a Philips, proverebbero che i dirigenti della multinazionale olandese erano a conoscenza del grave problema da anni ma hanno atteso prima di effettuare il più grande richiamo di sicurezza della storia dei dispositivi medici. A Milano i pazienti hanno portato Philips in tribunale promuovendo la prima class action in ambito sanitario del nostro paese.
Conflitti
a sinistra
Lorenzo
Vendemiale nel suo servizio si occuperà di alcune società legate ad
esponenti del Partito Democratico, in prima fila nelle battaglie sui
diritti civili.
La prima, di cui si parla nell’anticipazione,
è la Be Proud SRL di Padova che organizza il Pride Village: è una
società commerciale che nel 2022 ha incassato 1,3 ml di euro (di cui
450mila euro dagli incassi del bar), l’onorevole Zan è
amministratore unico e socio unico della Be Proud.
Non è un
evento commerciale – spiega l’onorevole a Report – è un evento
in cui tutto quello che viene guadagnato viene riversato
nell’iniziativa, non c’è nessun tipo di guadagno.
Non c’è
il rischio di un conflitto di interessi con una società che ha un
giro d’affari sugli stessi temi su cui l’onorevole è impegnato?
“Ho prestato il mio nome per dare una mano, lo faccio con spirito
di servizio, a titolo gratuito”.
La scheda del servizio: Questione di genere di Lorenzo Vendemiale e Carlo Tecce
Immagini di Chiara D’ambros, Fabio Martinelli e Cristiano Forti
Ricerca immagini di Tiziana Battisti
Montaggio di Marcelo Lippi e Raffaella Paris
Il conflitto di interesse in Parlamento non ha colore politico.
Dopo l’inchiesta esclusiva sugli interessi del senatore Maurizio Gasparri nella cybersicurezza, Report torna con una nuova puntata che riguarda stavolta gli affari della sinistra sui diritti civili. Il servizio svelerà le attività private di due volti di primo piano del Partito Democratico: da sempre in prima fila per la difesa dei diritti civili, fuori dal Parlamento hanno fatto di questa nobile battaglia politica un business.
Le domande della redazione e le risposte fornite da:
- L'Onorevole Michela Di Biase
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
Nessun commento:
Posta un commento
Mi raccomando, siate umani