20 maggio 2024

Report - le olimpiadi (in)sostenibili e il tesoro della lega

SFORO OLIMPICO Di Claudia Di Pasquale

Le Olimpiadi di Milano Cortina sono state vinte con delle premesse chiare: essere sostenibili in termini ambientali ed economici, invece il primo atto dell’operazione è stato l’abbattimento di migliaia di alberi per far spazio alla nuova pista da bob.

In faccia al progetto dove si parlava di mantenere i larici in due punti specifici della pista: Claudia Di Pasquale ne ha chiesto conto al presidente Zaia, che ha cercato di evitare di rispondere alle domande. La pista è più corta, mi hanno detto che pianteranno più alberi, abbiamo riqualificato una pista da bob abbandonata… Ma se non riuscissimo a costruire per tempo la pista dovremmo andare a gareggiare all’estero.

La pista da bob nel dossier iniziale doveva essere risistemata: era stata costruita per le Olimpiadi del 1956, la ristrutturazione era stimata in 47ml, ma alla fine la nuova pista costerà 118ml di euro, tutti a carico dello Stato.
LA pista deve essere a Cortina – spiegava Salvini in conferenza stampa – senza spendere soldi in più: alla fine il progetto per la gara diventa light, per spendere di meno, togliendo le opere di mitigazione.
Ma alla fine il progetto light sarà solo una pista di cemento, senza servizi per disabili, senza coperture a verde e costerà pure di più.
L’autorizzazione paesaggistica è arrivata dalla regione Veneto solo dopo 4 giorni l’approvazione del progetto: questa pista sarà usata solo da pochi alla fine delle olimpiadi, sarà solo un peso per le future generazioni.
Il Cio aveva scritto a Zaia che una nuova pista da bob sarebbe stato un azzardo, come la pista realizzata a Torino per le olimpiadi del 2006 e oggi abbandonata.
Ma alla fine la pista di bob si farà, sarà una cattedrale nel deserto? “Questo lo dice lei” è la risposta di Zaia alla giornalista, tutto dipende dal piano economico.
Secondo il dossier di candidatura con cui l’Italia ha vinto avremmo dovuto spendere il meno possibile, ma oggi sembra tutto carta straccia: Malagò, di fronte alle carte del dossier (dove si parla di ristrutturazione della pista da bob), tira fuori motivi ideologici, per poi chiuderla dicendo che la politica ha voluto fare così, costruendo una nuova pista.

Nel frattempo gli austriaci stanno sistemando la loro pista per 28ml di euro, se Pizzarotti non dovesse consegnare l’impianto entro marzo 2025, le gare si faranno in Austria (ma noi avremmo comunque speso 118 ml di euro per una cattedrale nel deserto).
Ma in questo progetto ci sono altre opere di mezzo: ci sono i lavori di ristrutturazione del palazzo di ghiaccio, il trampolino Italia che non è usato dagli anni 90, ci sono i lavori per il villaggio olimpico (39ml di euro) realizzato con case usa e getta. Tutte opere ancora da fare.
C’è poi la tangenziale per Cortina per evitare che i mezzi pesanti per le opere debbano passare per la città: la variante dovrebbe attraversare la valle, in una zona dove è presenta una frana, con tanto di movimenti franosi verso valle.
Lo scorso dicembre il ministero dell’Ambiente ha bloccato questo progetto, chiedendo una variazione che prevede un impatto su diversi condomini della zona.
Altri costi deriveranno dai lavori sul ponte, poi una galleria sotto le montagne (costo 483ml di euro): quest’ultima opera è escluso che verrà realizzata per le olimpiadi.
Ci sono poi le varianti per diminuire i tempi di percorrenza per arrivare a Cortina: costo per 250ml di euro, per un risparmio di 2 minuti di tempo per chi arriva qui.
C’è poi la bretella ferroviaria di pochi km, di cui una buona parte sotto terra (con una galleria a cappio), in una zona ad alto rischio idrogeologico.
Altra opera essenziale per le olimpiadi, ma in realtà è una bufala perché questa bretella collega Mestre a Venezia, poi non ci sono treni per Cortina.

Alla fine queste opere collegate per le olimpiadi a chi convengono? Non sono olimpiadi low cost dunque, si parla 1,5 miliardi di opere che dovrebbero migliorare la condizione del Veneto (pagati dai cittadini delle altre regioni).
La fondazione Milano Cortina metterà 1,6 miliardi di euro per la gestione dell’evento, i soldi arriveranno dagli sponsor, dal Cio e dalla vendita dei biglietti.
Il costo totale per le olimpiadi è salito da 2,4 a 3,6 miliardi di euro col governo Meloni: si spenderanno soldi anche in Trentino dove gli impianti erano già funzionanti.
Nel dossier si parlava di una spesa di 8ml di euro, oggi siamo saliti a 18ml di euro, per investimenti su impianti esistenti, si prevede di prendere acqua da un torrente in una zona protetta, sono in attesa delle autorizzazioni del comune, ma tanto sanno che andranno in deroga.
I trampolini di Predazzo sono stati smontati e verranno costruiti: i costi sono quadruplicati rispetto al dossier iniziale, anche qui si è scelti di non ristrutturare, approfittando delle olimpiadi per costruire opere nuove.
Sempre a Predazzo si costruirà il villaggio olimpico, dentro la zona militare, nella scuola alpina della Guardia di Finanza. Anche qui, in una zona verde, si andranno a ristrutturare dei palazzi, da 11 ml di euro si parla 41 ml di euro.
Altri soldi saranno spesi per costruire parcheggi, cementificando delle zone verdi, per comprare dei bus.

A Bolzano, ad Anterselva c’è l’impianto di Biathlon: si dovevano spendere 4 ml di euro e si spenderanno invece 51 ml per nuovi lavori, alcuni inutili.
A Dobbiaco dovrebbe realizzarsi un’opera stradale di cui però manca il progetto.
A San Candido grazie alle olimpiadi costruiranno un cavalcavia per eliminare un passaggio a livello, che rovinerà la visuale del paese. Da 7 ml il costo è aumentato a 15 ml: l’opera è stata decisa alle spalle del comune, nemmeno il sindaco ne era a conoscenza.

LA pista di pattinaggio di Baselga doveva essere solo coperta: rispetto alla cifra iniziale, i costi dei lavori sono raddoppiati, ma alla fine la sede di Baselga è stata tolta dalle olimpiadi, poco dopo che il comune aveva approvato il progetto.
Alla fine la sede di Baselga era stata inserita nel piano iniziale solo perché c’era un impianto esistente: è stata sacrificata per lasciar spazio alla pista di Cortina?
Colpa della politica – la risposta di Malagò: il Cio aveva chiesto in nome della sostenibilità a rinunciare all’ammodernamento alla pista di pattinaggio di Baselga e alla pista di bob a Cortina.
Ma alla fine i soldi arriveranno anche a Baselga, dalla provincia autonoma di Trento.

A che punto sono i lavori in Lombardia? La sede designata per lo sci alpinismo è Bormio, nel dossier la pista Stelvio è già considerata omologata, si spenderanno però altri soldi per dei lavori di ammodernamento (per 78ml di euro).
Che senso ha investire tanti soldi per una pista dove, tra qualche anno, non ci sarà più la neve?
Ci sarà una nuova cabinovia che passa a pochi metri dalle case, per un costo da 28ml di euro.
La neve in primavera si trova a Livigno, anche qui si ospiteranno le gare (su piste in gestione a privati): per i lavori delle due piste si passa da 17 ml di euro a 150 ml di euro.

L’importante è che siano opere utili – racconta l’assessore alla montagna: sono nuovi parcheggi, uno interrato sotto la montagna, una nuova cabinovia in project financing (ma parte dei soldi sono coperti dallo Stato).

La Lombardia spenderà fondi pubblici per migliorare la viabilità da Milano verso Sondrio, per un totale di 74ml di euro.
Altra opera è quella chiamata tangenziale sud di Sondrio: si tratta in realtà di un viadotto che non toglierà traffico dal paese: il cavalcavia forse non sarà pronto per le olimpiadi e se non sarà pronto “ce ne faremo una ragione” spiega il sindaco di Bormio.

In generale le opere in Lombardia a che punto sono? Secondo l’assessore Sertori sono a buon punto, Fontana ha deciso di non rispondere a Report e, anzi, alla fine ha allontanato la giornalista accusandola di avere risposte preconfezionate.
Trasparenza cercasi, in questo paese.

Secondo l’audizione dell’ex commissario Santandrea nel 2023, le opere sono in ritardo (e per la maggior parte nemmeno sono utili per le olimpiadi).
Report non è riuscita ad avere informazioni sul cronoprogramma ad Anas, al ministero delle Infrastrutture, senza riuscirci: spenderemo 3,6 miliardi euro in opere che violano anche vincoli ambientali e nemmeno sappiamo come li spenderanno.

A Milano si costruiranno impianti per le gare: dovrebbero realizzarle i privati, andando a ritrutturare opere esistenti, come il palazzetto del Palasharp. Ma alla fine le spese sono salite e i privati, come Ticket One, hanno chiesto aiuto al comune.
Ticket One non ha realizzato lavori dal 2019, il comune ha revocato la concessione pochi mesi fa: ci sono voluti tanti anni per rendersi conto della situazione?
Il Palasharp andrebbe demolito in quanto abusivo, il comune ha usato le olimpiadi per accelerare la riqualificazione: ora il Palasharp è cancellato dalle gare, che si sposteranno in altre zone.

Le gare di Hockey saranno eseguite in zona Santa Giulia da una società privata: anche qui i costi sono destinati a crescere, così Sala ha chiesto al governo di contribuire alle spese del privato.
Nell’ex scalo di Porta Romana si costruirà il villaggio olimpico, dopo le gare diventeranno alloggi per studenti: dentro ci sono investimenti di CDP, soldi pubblici dunque.

Sala (che non ha accettato l’intervista mandando il suo assessore), Fontana, Zaia, sono sempre presenti in televisione a parlare delle olimpiadi: poi però quando gli chiedi di essere trasparente sui costi, spariscono, non vogliono rispondere, mostrano tutta la loro insofferenza al lavoro del giornalista.
Sembra che in questo paese abbiano tutti paura della trasparenza.

TERA NOSTRA Di Luca Chianca

Lo scandalo dei fondi della Lega scoppiò dopo un articolo del giornalista Giovanni Mari, nel 2012: è la storia dei fondi in Tanzania, i magistrati dopo lo scoop cercarono traccia dei soldi della Lega, che stavano andando in Tanzania e Cipro.

L’ex tesoriere Belsito viene indagato dalle procure di Milano e Genova, per truffa (reato prescritto) e per riciclaggio, che costò al partito una confisca di beni per 49ml.

Alla fine ad essere condannato è stato Belsito perché Bossi fece un accordo col nuovo segretario Salvini, la sua Lega non si costituì parte civile nei processi.

Report racconta che grazie al finanziere Colucci che Bossi e Belsito continuarono a fare affari assieme: Colucci fa aprire a Renzo Bossi una società a Londra con un capitale da 1,5ml di euro.

Luca Chianca per incontrare Renzo Bossi è andato fino a Bucarest: la società non ha fatto nulla, spiega il figlio del senatur, l’aveva aperta Londra per non aver rotture .. Ma a cosa serviva?

Secondo Belsito i soldi c’erano in cassa, ma alla fine la magistratura ha stretto un accordo col vecchio partito per pagare quei 49 ml in lunghe rate, ricorrendo al 2 per mille.
Siamo certi che non ci siano parti di quel tesoretto della Lega da recuperare?
Belsito era a disposizione della famiglia Bossi per ogni loro esigenza: nella cassaforte del suo ufficio fu sequestrata la cartella con su scritto “the family”.
C’era anche il documento di laurea di Renzo Bossi, la laurea albanese: un documento precostituito che sarebbe poi servito per la sua carriera politica – spiega l’ex magistrato milanese Robledo.

Falsa la laurea albanese e anche la delega ad un avvocato albanese che doveva poi gestire il documento col titolo da laureato (pagato con denaro pubblico).

A pochi passi da Gemonio Renzo e Riccardo Bossi hanno creato una fattoria, Tera nostra, dove si sarebbe prodotto formaggio di capra.
Renzo Bossi ha poi aperto una società di consulenza, Resil, che ha diversi clienti a Milano e nel varesotto: dopo il 2019 non ha più presentato bilanci.
Nel 2022 avrebbe aperto una società a Londra, chiamata Tera nostra anche lei, con un capitale da 1,5 ml di Sterline: la fonte di Report mette la pulce nell’orecchio al giornalista, da dove vengono i soldi nel capitale iniziale di Tera nostra?
Chianca ha intervistato il commercialista che ha aiutato la fondazione della società, che non ha potuto rispondere alle domande senza il consenso di Renzo Bossi.
Le domande rimangono, da dove vengono i soldi?
A dare una mano a Bossi è Francesco Colucci che ha aperto Tera nostra a Londra: a Milano si occupa della promozione di diverse opere.
A Report spiega che non è stato lui a fondare la società, ma la società inglese Best Choice, a sua volta fondata da un italiano: Best Choice ha creato tante società, spesso scatole vuote, alcune che movimentavano milioni di sterline.

Colucci racconta però che Renzo Bossi gli è stato presentato da un altro italiano, Nicolò Pesce, finito nell’inchiesta sulle truffe degli investimenti in diamanti.
Renzo Bossi nell’intervista con Report racconta della volontà di creare un agriturismo, per cercare investitori ha contattato Colucci. Secondo Bossi il valore del capitale sociale iniziale è sbagliato, aveva solo 10mila euro, avrebbe anche segnalato questo errore formale.

L’inchiesta di Report fa emergere una rete di personaggi, oltre a Colucci e Belsito: anche un imprenditore italiano, Loforese, executive vicepresidente di Rockfeller standard carbon.
Cosa fa questo personaggio? Stringe rapporti con le persone, questa la sua qualità, da ex vicepresidenti americani, sceicchi arabi, agenti della Cia.

È uno che sa muoversi bene in medio oriente: Loforese ha aperto una filiale italiana della Rockfeller, contatta Colucci che era interessato all’idea.
Ma a Loforese consigliano di bloccare l’ingresso di Colucci, perché era finito in una inchiesta su investimenti in criptovalute e opere d’arte.
Il servizio passa poi da Colucci a Calebasso ad un certo Molendini, cavaliere di un ordine non esistente, per tornare a Belsito: tutti legati in operazioni finanziarie, si parla di una operazione per spostare soldi in Moldavia, dove esiste ancora il segreto bancario.
Belsito avrebbe chiesto a Colucci di aprire un conto corrente in Moldavia, nel 2019 ben dopo la fine della vicenda giudiziaria a Genova sui rimborsi. Colucci avrebbe messo a disposizione il marchese Molendini, con forti agganci in Moldavia, che a sua volta individua un tecnico.

C’è una chat che racconta i dettagli di questa operazione: Belsito avrebbe cercato di far partire un carico di statuette di legno dalla Costa d’Avorio verso la Moldavia.
I giornalisti del Fatto Quotidiano hanno cercato di capire cosa ci fosse dentro le casse: erano oggetti di antiquariato, come sostiene Belsito?
Secondo i giornalisti del Fatto si tratterebbe di esportazione di denaro (nelle casse c’erano soldi) che doveva finire in Russia: Belsito sarebbe entrato in contatto coi russi grazie a Renzo Bossi.
Il tentativo di esportazione fallisce e gli imprenditori russi chiedono conto a Bossi: di diverso avviso Renzo Bossi che parla solo di aver fatto un preventivo per Belsito per una spedizione in Russia..
Se questa operazione è saltata, da una seconda chat nel 2019 Calebasso e Colucci si scrivono per far mettere 20ml di euro su un conto corrente in Moldavia: ancora una volta, Belsito non ne saprebbe nulla.

Si pensava di aver chiuso la vicenda dei 49ml di euro, invece ogni tanto questi soldi tornano fuori, come fantasmi.

19 maggio 2024

Anteprima inchieste di Report - le famose olimpiadi sostenibili e il tesoro della lega

Le olimpiadi che dovevano essere sostenibili

Le Olimpiadi di Milano e Cortina dovevano essere quelle nel segno della sostenibilità, economica ed ambientale. Almeno queste erano le promesse. E invece..


Lo scorso febbraio il taglio di decine di larici a Cortina d’Ampezzo ha dato il via ai lavori per la nuova pista da bob, prevista per le Olimpiadi invernali del 2026. Gli alberi tagliati avevano dimensioni considerevoli, avevano più di cento quarant’anni anni, sono nati alla fine dell’ottocento spiega Silverio Lacedelli a Report: per completare la nuova pista si stima che verranno tagliati 400-500 alberi “distruggiamo un ecosistema composto da alberi, arbusti, licheni e costruiamo una cementificazione sul territorio con strade, piste ed edifici.”
Gli ambientalisti e tutti gli abitanti di Cortina ci tengono a questo bosco, che la politica ha scelto di sacrificare, perché è un pezzo di Cortina, “la pista poteva essere realizzata senza dover fare questo grande ambaradan, questo distruzione” conclude l’intervista Lacedelli.

L’ultimo progetto esecutivo della pista da bob ha previsto il taglio di 19980 metri quadrati di bosco ma allo stesso tempo ha prescritto il mantenimento delle alberature esistenti nelle due aree, dietro l’anfiteatro e all’interno della curva cristallo.
Nonostante ciò, gli alberi sono stati tagliati – racconta la consigliera regionale Cristina Guarda che ha mostrato a Report le immagini del bosco prima e dopo l’abbattimento. Per questo motivo hanno fatto un esposto ai carabinieri della forestale.
Dicevano tutti che dovevano essere olimpiadi sostenibili e rispettose dell’ambiente ma non sarà così: il presidente della regione Veneto ha tenuto un atteggiamento quasi sprezzante dei rilievi portati da Report, “avete contato tutti gli alberi”, “voi volete dimostrare che le olimpiadi non servono”, come se fosse questo il punto.
Il punto è che ci sono delle incongruenze tra il progetto presentato al Cio e quello che verrà realizzato: ha spiegato che è vero, sono stati tagliati 500 alberi, ma verranno piantati 10 mila alberi, e che la pista sarà più corta..
Ha poi aggiunto che esisteva una pista che era la più vecchia del mondo e che loro hanno bonificato un bob abbandonato.

Ma, numeri alla mano, alla fine saranno ripiantati alberi solo per 4200 metri quadrati: “lei è più brava di me” è stato il commento di Zaia.

Secondo il dossier del 2019 con cui l’Italia si è aggiudicata le Olimpiadi la vecchia pista da bob di Cortina andava solo ristrutturata, invece nel 2023 è stata demolita per costruirne una nuova di zecca. La giornalista di Report ne ha chiesto conto al presidente del comitato olimpico Giovanni Malagò che ha risposto così “se lei va a guardare nell’ambito del dossier l’impianto di Cortina era previsto”.
In realtà nel dossier si parlava di ristrutturazione, mentre la pista è stata demolita “ma non si è mai parlato di ristrutturazione..”. Ma nelle carte del dossier, che Claudia di Pasquale ha mostrato al presidente c’era proprio scritto così: “lei non voleva che questa pista si facesse” ha ribattuto Malagò, tirando in ballo anche posizioni ideologiche della giornalista, ma allora è ideologico anche il CIO che era contrario alla nuova pista, per motivi di legacy, però – aggiunge Malagò “la politica, il governo hanno ritenuto che fosse giusto rifarlo, più chiaro di così cosa vi devo dire?”.

E cosa deve dire il ministro Salvini? “Io ci tengo che ci facciano le Olimpiadi e che l’Italia abbia l’immagine che merita di avere in tutto il mondo”.
Anche se con questo progetto light per la pista sono state tolte le coperture a verde che mimetizzavano la pista, sono stati tolti dei servizi per i disabili: “parlatene con le aziende” la risposta del ministro, che preferisce fare la figura di quello che non sapeva niente.


Intanto lo scorso 21 novembre sono partiti i lavori per la nuova arena Santa Giulia dove si svolgeranno le gare di Hockey maschile, la struttura sarà costruita e finanziata da capitali privati, cioè dalla società tedesca Eventim, per un costo da 180 ml di euro. Il colosso tedesco si occupa di gestione eventi, è proprietario di Ticket one: si faranno carico dei costi per l’opera che però, per i ritardi e per l’inflazione sono cresciuti, si stima che alla fine si passerà da 180 a 270ml di euro.
Eventim ha fatto presente al comune che ci sarà questo incremento – racconta a Report l’assessore alla rigenerazione urbana del comune di Milano Tancredi – “ci stiamo attivando per evidenziare il problema” che tradotto dal politichese significa che dovrà intervenire il governo con soldi pubblici “penso che sia anche ragionevole chiedere questo..”.
Alla faccia delle promesse.

Anche Livigno ospiterà alcuni eventi per le Olimpiadi: qui sono già presenti 115 km di piste ma da piano sono previste nuove opere i cui costi delle opere aumentati di quasi dieci volte.
Claudia Di Pasquale ha chiesto al presidente Fontana se è preoccupato di questo. Viste le non risposte ottenute, viene da pensare che, no, la regione, come il comune di Milano, come il ministro non siano preoccupati di questo. “Lei sa tutto, è inutile che viene a chiederle a me le cose” – questa la battutina con cui Fontana ha cercato di uscire dall’impasse, per poi passare ad una accusa felpata “voi le avete già preconfezionate le risposte”.

Peccato che Report parli coi dati forniti dagli stessi enti pubblici, coi dati presenti nel dossier di candidatura. Alla fine, quando le battute non sono bastate ha sbottato “posso chiederle di lasciarmi stare?”.

Chiedere un po’ di trasparenza a questi amministratori è quasi un atto di lesa maestà.

La scheda del servizio: SFORO OLIMPICO Di Claudia Di Pasquale

Collaborazione Giulia Sabella

Nel 2019 l'Italia con il tandem Milano-Cortina si è aggiudicata le Olimpiadi invernali del 2026, c'è riuscita presentando un dossier di candidatura che aveva alcuni punti saldi: Olimpiadi sostenibili sia da un punto di vista ambientale che economico, utilizzo di impianti sportivi già esistenti così da non costruire nuove cattedrali nel deserto, solo due nuove strutture permanenti ma finanziate da investitori privati. Lo Stato in pratica non doveva spendere un soldo. Olimpiadi a costo zero s'era detto. A distanza di quasi cinque anni le cose sono un po' cambiate. L'ultimo piano delle opere olimpiche, che risale al settembre 2023, prevede 3,6 miliardi di costi, finanziati per la maggior parte dallo Stato, e dentro non ci sono solo gli impianti sportivi, ma anche opere infrastrutturali, soprattutto strade. Saranno veramente sostenibili le Olimpiadi del 2026, per l’ambiente e per le nostre tasche?

Il tesoro della Lega

Report torna ad occuparsi della Lega a 12 anni dall’inchiesta sui fondi del partito che venivano usati dal tesoriere Belsito per occuparsi della famiglia, quella del segretario Bossi.
Gli investigatori hanno sequestrato nella cassaforte dell’ex tesoriere una cartellina con su scritto “the family” e altri documenti riservati della famiglia.
Belsito aveva sostituito nel ruolo di tesoriere l’ex senatore Balocchi nel 2010 mettendosi a disposizione della famiglia Bossi per tutti i loro desideri, “come faceva Balocchi prima di me” racconta al giornalista Luca Chianca “per risolvere i problemi di qualsiasi natura”, il fax, la stampante, il telefonino, tutto pagato coi soldi del partito.
Di questo caso, i fondi della Lega spesi per la famiglia del segretario, si era occupato per primo l’ex magistrato Alfredo Robledo nel 2012: “venne fuori una questione abbastanza strana, Renzo Bossi si sarebbe diplomato nel luglio 2009, e nel settembre del 2010 si sarebbe laureato a Tirana ..”

E’ la storia della famosa laurea albanese del “trota” che a Report però racconta un’altra storia: su quel documento la data di nascita era sbagliata, prima di tutto: “quella mattina qualcuno autorizzò ad entrare in tutti gli uffici, la cosa che non si è mai spiegata bene è che di questo pezzo di carta non si contesta neanche il titolo, la magistratura non contesta il titolo, perché io non ho mai dichiarato di essere laureato..”
Come spiega anche Robledo, qualcuno ha preparato quel pezzo di carta per lui: “si cercava di precostituirgli un titolo che avrebbe potuto servirgli per la sua carriera personale e politica.”
Quel documento, la laurea di Tirana, è un documento falso.
Ad essere informato di tutto era l’ex tesoriere Belsito che pagava i servizi resi per la famiglia: a chi è venuto in mente di far laureare Renzo Bossi a Tirana? “Sarà stato qualche collaboratore, immagino, che avrà avuto qualche aderenza con quell’università lì, Riccardo andava alla Cepu.. noi pagavamo le rette, punto.”

Dalle carte dell’inchiesta è spuntata fuori anche un’azienda agricola aperta dai Bossi chiamata “Tera nostra”, alla romana, a pochi km da Gemonio, la residenza della famiglia. “Tera nostra e non si sa nemmeno che cos’è” – il divertito commento del consulente di Report Gaetano Bellavia: dalle foto sui social si scopre che fa formaggi, ci sono le capre.
L’azienda è stata costituita con un capitale iniziale di 200 euro: a Report è arrivata una mail da un ascoltatore su un’altra società aperta da Renzo Bossi a Londra, omonima di quella italiana “tera nostra ltd”. Questa sarebbe dotata di un capitale sociale di ben 1,5ml di Sterline: questa sarebbe stata chiusa dopo un anno e mezzo: un fatto curioso, cosa ci sono andati a fare in Inghilterra i Bossi? Gli agricoltori? Non ci sono evidenze su quello che ha fatto questa società.

La scheda del servizio: TERA NOSTRA Di Luca Chianca

Collaborazione Alessia Marzi

A far scoppiare lo scandalo dei fondi della Lega è Giovanni Mari, un giornalista del Secolo XIX di Genova, che ai primi di gennaio del 2012 pubblica la notizia dei conti offshore del partito. Un'operazione da 1 milione di euro in corone norvegesi, circa 1,2 milioni in un fondo basato a Cipro e soprattutto i 4,5 milioni di euro in Tanzania. Tutto ruotava intorno alla figura del tesoriere della Lega Francesco Belsito che dopo quella vicenda viene cacciato dal partito e indagato dalla Procura di Milano e da quella di Genova per truffa aggravata ai danni dello Stato, poi prescritta, appropriazione indebita per la gestione dei fondi della Lega, costati al partito una confisca da 49 milioni. Soldi che nessuna Procura ha mai trovato. Dopo 7 anni da quelle indagini scopriamo che Belsito e il figlio del Senatur, Renzo Bossi, hanno fatto ancora affari insieme. Una storia inedita che ci ha messi sulle tracce della Tera Nostra, una società aperta a Londra proprio da Bossi con un capitale sociale di 1,5 milioni di sterline e poi chiusa dopo poco tempo. Un viaggio tra imprenditori nel mondo dell'arte, visionari, fiduciari e cavalieri prima a Londra, poi a Malta, Lugano e infine a Bucarest, per capire se una parte dei 49 milioni di euro fosse stata distratta in conti offshore e società all'estero.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

18 maggio 2024

Il colpo di spugna, di Saverio Lodato e Nino Di Matteo

 

Trattativa Stato-Mafia: il processo che non si doveva fare

Il colpo di spugna
Tutto cancellato. Tutto inutile. Tutto da rifare. Si poteva trattare con la mafia. Si può trattare con la mafia. Si potrà trattare con la mafia. Lo Stato può scendere a patti col suo avversario ultrasecolare. Non c’è niente di male se lo fa a fin di bene. Cosa nostra resta l’unica organizzazione criminale con licenza di condizionare, intimidire, terrorizzare il suo nemico, alla quale non verrà mai meno la speranza di trovare interlocutori sugli spalti dell’altra sponda.
Che si chiuda un’epoca è pacifico. L’epoca segnata dalla volontà – quantomeno conclamata, quantomeno intrisa di retorica, quantomeno scolpita da milioni di parole – di diventare un’Italia moderna, che sia Europa sino in fondo, capace di saper fare da sola liberandosi per sempre dalla zavorra sporca che per centocinquant’anni l’ha resa socialmente ed economicamente zoppa.

Giudicare e criticare nel merito una sentenza, perfino una sentenza della Cassazione si può e si deve fare, almeno finché saremo dentro una democrazia:

“Rivendico, adesso che la vicenda processuale si è conclusa, il mio diritto a parlare. Le sentenze si devono rispettare, ma si possono criticare” sono le parole di Nino Di Matteo.

La sentenza di cui si occupa questo breve saggio del storico di mafia Saverio Lodato (autore di diversi scritti sulla mafia) e del giudice Nino Di Matteo (che ha sostenuto l’accuso al processo di primo grado a Palermo sulla trattativa assieme ai colleghi Francesco Del Bene, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia) è quella della Cassazione del 27 aprile 2023, che ha messo definitivamente fine ad una stagione giudiziaria iniziata con le stragi di Palermo.

Quello che i giornali, spesso facendo cattiva informazione, hanno chiamato processo alla trattativa, dove però il reato contestato agli ufficiali dei carabinieri, mafiosi, uomini delle istituzioni e politici era quello di “minaccia a corpo dello Stato”.

Le stragi di via D’Amelio e di Capaci in cui morirono i giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone assieme alle rispettive scorte (e la moglie di Falcone, Francesca Morvillo), le bombe fatte scoppiare dalla mafia a Milano, Firenze, Roma nella primavera estate rappresentano fasi in cui cosa nostra, l’ala militare facente riferimento a Riina e Bagarella, cercava di condizionare l’azione politica dei governi italiani? Le 91 pagine che hanno motivato la sentenza cancellano tutte le accuse assolvendo sia i carabinieri (assolti “per non aver commesso il fatto”) che i politici (Dell’Utri) che i mafiosi (salvati dalla prescrizione): i giudici hanno scritto, spazzando via anni di indagine e migliaia di pagine dei processi celebrati (in primo e secondo grado), non tenendo conto di altre sentenze passate in giudicato, che non c’è stata nessuna trattativa, né a fin di bene né per ricattare lo stato.

Non solo, allo Stato, alle istituzioni, questi messaggi di ricatto non sono proprio arrivati: si tratta delle bombe della mafia che dovevano far abbassare la guardia alle istituzioni, revocando il 41 bis, chiudendo le supercarceri dove detenere i mafiosi.

Visto, la trattativa era solo un teorema nelle teste dei soliti pm, una solenne “minchiata” (scusate l’espressione ma l’hanno usata altri), ma come si permettono questi giudici di mandare a processo i solerti uomini dello stato che hanno arrestato fior fior di mafiosi?

Gli stessi investigatori che si sono dimenticati di perquisire il covo di Riina (i sui segreti sono poi finiti nelle mani di Provenzano e di Matteo Messina Denaro). Che non sono riusciti a catturare Provenzano a Mezzojuso..

Ecco, in queste poco più di 109 pagine, si sente tutta l’indignazione, la frustrazione, di fronte a questa sentenza: troverete dentro, dettagliati in modo preciso, tutti gli errori di valutazione della Cassazione.

La trattativa c’è stata, prima di tutto: lo dicono gli stessi ufficiali del Ros (Mori e De Donno) quando parlano degli incontri con Ciancimino (referente politico dei corleonesi) mentre era ai domiciliari a Roma

Ecco Mori il 27.1.’98:
“Incontro per la prima volta 
Vito Ciancimino… a Roma, nel pomeriggio del 5 agosto 1992 (subito dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, all’insaputa della Procura di Palermo e del comandante dell’Arma, ndr). L’Italia era quasi in ginocchio perché erano morti due fra i migliori magistrati… non riuscivamo a fare nulla dal punto di vista investigativo e cominciai a parlare con lui: ‘Signor Ciancimino, cos’è questa storia, questo muro contro muro? Da una parte c’è Cosa Nostra dall’altra parte c’è lo Stato. Ma non si può parlare con questa gente?’. La buttai lì, convinto che lui dicesse: ‘Cosa vuole da me, colonnello?’. Invece disse: ‘Si può, io sono in condizioni di farlo’… Ciancimino mi chiedeva se rappresentavo solo me stesso o anche altri. Certo, io non gli potevo dire: ‘Be’, signor Ciancimino, lei si penta, collabori che vedrà che l’aiutiamo’. Gli dissi: ‘Lei non si preoccupi, lei vada avanti’. Lui capì e restammo d’accordo che volevamo sviluppare questa trattativa… Il 18 ottobre, quarto incontro. Mi disse: ‘Guardi, quelli (Riina&C., ndr) accettano la trattativa’…”.
Anche De Donno, che aveva condotto da solo i primi incontri con Ciancimino subito dopo Capaci, parlò di “trattativa”: “Gli proponemmo di farsi tramite, per nostro conto, di una presa di contatto con gli esponenti di Cosa Nostra, al fine di trovare un punto di incontro, un punto di dialogo finalizzato alla immediata cessazione di questa attività di contrasto netto e stragista nei confronti dello Stato, e Ciancimino accettò”.

Lo dicono le sentenze di Firenze (processo al boss Tartaglia), la sentenza Bagarella + 25: la trattativa tra pezzi dello stato e mafiosi c’è stata, senza avvisare l’autorità giudiziaria anzi, andando a sentire alcuni esponenti politici su richiesta dei mafiosi (come ad esempio l’allora senatore Violante).

Se la trattativa non c’è stata come spiegare la revoca (in una strana solitudine) fatta dal ministro Conso del 41 bis a 334 mafiosi?

Come spiegare che i punti del “papello” in parte sono stati soddisfatti dallo italiano? Chiusura delle supercarceri, legge sui pentiti..?

Come spiegare l’avvicendamento al DAP col passaggio da Niccolò Conso ad Alberto Capriotti?

In quelle 91 carte i giudici della Cassazione rinfacciano ai giudici di primo grado e secondo grado, in modo abbastanza singolare, di aver voluto riscrivere la storia: si sono permessi di voler giudicare una serie di fatti (le bombe, gli incontri del Ros, i messaggi fatti arrivare ai boss da Gaetano Cinà e Marcello Dell’Utri, le scelte fatte dai vari governi sul tema della lotta alla mafia) cercando di dar loro un filo logico mettendoli assieme, come facenti parte di un unico disegno. Quello della trattativa.

La Cassazione, raccontano i due autori in forma di intervista, è entrata nel merito del processo, andando a spiegare i singoli episodi spezzettandoli, come si faceva nei processi di mafia prima del maxi processo di Palermo istruito dal pool di Caponnetto (di cui Falcone e Borsellino facevano parte).

Racconta Di Matteo:

“sembra invece risentire di un antico vizio che troppe volte in passato aveva caratterizzato l’approccio giudiziario alle più complesse vicende di Mafia. E in proposito, esistono purtroppo precedenti negativi illustri. Qual è la sostanza della questione? La sostanza è che isolare i fatti l’uno dagli altri, parcellizzare la valutazione, ridurre e sfoltire per principio, concentrarsi sul particolare perdendo di vista il contesto, è prassi diffusa quando non si vogliono assumere decisioni delicate che rischiano di diventare dirompenti”.

Ma nelle motivazioni delle scelte della Suprema Corte non si è nemmeno tenuto conto delle deposizioni fatte nei processi: si scrive nelle motivazioni che le minacce dei mafiosi non erano arrivare fino al livello politico, contraddicendo quando raccontato a Palermo dallo stesso ex presidente della Repubblica Napolitano

Napolitano accettò di essere interrogato dai giudici di Palermo. E qui voglio riportare testualmente la mia domanda e la risposta di Napolitano che, all’epoca delle stragi del 1993, era presidente della Camera dei Deputati.
Gli chiesi: 'Presidente, quali furono ai più alti livelli istituzionali e politici le reazioni più immediate a quelle stragi? Quali furono in quelle sedi, cioè ai più alti livelli istituzionali, le valutazioni più accreditate sulla matrice e la causale di quelle stragi che tanto profondamente avevano scosso il Paese?'.
Il presidente rispose: 'La valutazione comune alle autorità istituzionali in generale e di governo in particolare, fu che si trattava di nuovi sussulti di una strategia stragista dell’ala più aggressiva della Mafia, si parlava allora in modo particolare dei corleonesi, e in realtà quegli attentati, che poi colpirono edifici di particolare valore religioso, artistico e così via, si susseguirono secondo una logica che apparve unica e incalzante,
per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut-aut, perché questi aut-aut potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure soprattutto di custodia in carcere dei mafiosi o potessero avere per sbocco la destabilizzazione politico-istituzionale del Paese'.”

Nelle istituzioni, ai più alti livelli, quella minaccia veicolata dalle bombe, dalle rivendicazioni della Falange Armata, eccome se era arrivata ed era stata anche ben compresa: un altro ex presidente della Repubblica, Ciampi, nelle sue memorie arriva a scrivere che dopo le bombe del 27 luglio 1993, quando Palazzo Chigi si trovò isolato, arrivo a temere perfino un colpo di Stato.

Altro che trattativa a fin di bene, come scrissero i giudici della corte di Appello (che comunque definirono “improvvide” le azioni dei carabinieri, nella loro scelta sul male minore, l’ala moderata di Cosa Nostra).

Ecco, tutto questo è stato cancellato: è come se la visione “minimalista” dei giudici di Cassazione – secondo Di Matteo e Lodato – abbia voluto dare un messaggio tranquillizzante all’opinione pubblica, ci sono state delle stragi, ci sono stati dei morti, ma tutto si è risolto solo all’interno della cupola mafiosa, inutile cercare altrove, complicità nello Stato, nella politica.

Anche la sola ammissione dell’improvvida trattativa fatta dai giudici di appello poteva essere pericolosa, poteva lasciare nei cittadini una sensazione strana.

Per esempio ci si potrebbe chiedere da dove nasce l’iniziativa di creare il finto pentito Scarantino, poi smontata dal pentito vero Spatuzza. Forse dal bisogno di allontanare i sospetti dai Graviano e dunque da Dell’Utri, fino al governo del 1994, il primo della seconda Repubblica?

Non mi sento sconfitto – racconta a fine libro Di Matteo - Ho cercato solo di fare il mio dovere, mettendo da parte ogni calcolo opportunistico e ogni ambizione di facile carriera. Per questo ancora oggi ho la serenità di chi, con tutti i limiti e i possibili errori, è consapevole di avere contribuito, con altri valorosi colleghi, a far emergere fatti gravi e importanti, a cercare di portare un po’ di luce nei labirinti più oscuri della nostra storia recente”.

Si chiude un’era, una speranza di poter fare chiarezza. La mafia, anzi le mafie, esistono ancora ma sono scomparse dall’agenda della politica. Addirittura la commissione Antimafia presieduta da un esponente di questa maggioranza di destra, ha deciso di voler approfondire le sue indagini SOLO sulla strage di via D’Amelio e SOLO sulla pista del rapporto mafia e appalti del ROS. Ma la tesi che questo rapporto sia alla base della morte del giudice Borsellino è stata già smontata dalle passate indagini. Ancora una volta, anziché seguire il filo unico che lega le stragi per capire il disegno complessivo, ci si concentra su un unico fatto.

Si vuole riscrivere la storia, a proprio piacimento, con tutti i rischi per la nostra democrazia che sappiamo. Aveva ragione Sciascia “Se lo Stato italiano volesse davvero sconfiggere la Mafia, dovrebbe suicidarsi”.

Alla fine del libro-intervista, sono presenti diversi articoli scritti da Saverio Lodato e pubblicati su Antimafiaduemila, sulle sentenze di questo processo e sulle morti dei boss di mafia, protagonisti di questa stagione: Provenzano, il mafioso buono, quello con cui dialogare, che riuscì a vivere da latitante per 43 anni grazie al suo potere (non solo quello mafioso).

Riina, l’autore della sanguinaria “Spoon river” siciliana, le tanti morti per gli omicidi politici mafiosi da fine anni settanta (Giuliano, Mattarella, Chinnici, La Torre, Dalla Chiesa, Costa, Falcone, Borsellino..).

Infine Matteo Messina Denaro, anche lui latitante dal 1993, custode dei segreti di Riina e Provenzano, infine catturato nel 2023. Il boss a cui una certa stampa ha appiccicato la “maschera” del mafioso che si fa i selfie..

Altri articoli di Saverio Lodato pubblicati su Antimafiaduemila sul rapporto Stato mafia

Ai posteri l'ardua sentenza, di Cassazione di Saverio Lodato
Sentenza Trattativa, Di Matteo: ''È un dato di fatto, parte dello Stato cercò Riina''

Trattativa Stato-mafia, la Carnevalesca sentenza della Cassazione

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15 maggio 2024

Pioggia per i Bastardi di Pizzofalcone, di Maurizio De Giovanni

 

Avete presente la pioggia?

Certo che si, risponderete.

Acqua che cade dal cielo, dalle nuvole che corrono nell'azzurro, si fermano, si addensano, diventano nere.

Acqua che bagna l'asfalto e lo rende lucido, gocce sulle lamiere delle automobili in coda, tergicristalli che vanno avanti e indietro. Acqua che piccia sulle superfici, che schizza dovunque.

Acqua, alla fin fine.

Alcuni alla pioggia associano immagini divertenti. Un gruppo di studenti appena usciti da scuola, sorpresi da uno scroscio, che si accalcano al riparo di un androne ridendo e spintonandosi, e il portinaio li caccia urlando, e lor ridono più forte..

Chi ha ucciso l'avvocato Leonida Brancato, trovato morto nel suo appartamento nel complesso esclusivo di Parco Paradiso? Forse un ladro d’appartamento, entrato in casa per portar via oggetti di valore e, una volta scoperto, si è fatto prendere dal panico..
No, è una pista da scartare, perché in quell’appartamento, dove l’ormai ex avvocato viveva da solo, sono stati trovati intatti il portafoglio, orologi di valore.

Forse è stato il figlio dell’avvocato, di fatto tenuto fuori dalla gestione dello studio e che dunque aveva qualche motivo d’odio? Forse anche bisogno di soldi, per quel vizio di perdersi nel gioco, non l’unico vizio purtroppo.

- Mi scusi, non ce l'avevo con voi. Era il «per caso» a divertirmi. E' proprio così, sapete? Io sono «per caso» Giancarlo Brancato: è la definizione perfetta. Proprio oggi, poi. Perfetta. Vi va un po' di vino?

No, nemmeno questa ipotesi è possibile, Giancarlo Brancato non aveva le chiavi dell’appartamento e, sebbene non avesse un alibi, le telecamere attorno al complesso non hanno visto nessuno entrare o uscire dalla palazzina.

E allora?

Questo delitto, che piomba addosso ai Bastardi di Pizzofalcone già alle prese con questa pioggia torrenziale che sembra non voler smettere più, è il classico delitto in una stanza chiusa, ma senza il maggiordomo a cui dare la colpa.
Certo, l’avvocato Brancato nel corso della sua carriera si era fatto tanti nemici, era “abile” nello sfruttare i cavilli, trovare lo spiraglio giusto nelle pieghe del codice penale per far assolvere i suoi clienti.
Eppure qualcuno lo ha ucciso, strangolandolo alle spalle e, per di più, prendendolo a calci una volta a terra.

E ora occorre pure fare in fretta per trovare l’assassino, perché nonostante tutti i successi, i Bastardi si portano ancora addosso lo stigma di essere i reietti. Il morto era un personaggio importante nel mondo che conta a Napoli e un insuccesso potrebbe costare ancora una volta la chiusura del commissariato di Pizzofalcone.

Va bene, provateci. Vi do 48 ore, poi però andrò dal procuratore e dirò che a mio parere la struttura di Pizzofalcone non è adeguata ad un’indagine di tale importanza.”

Due giorni per risolvere un caso con tante piccole cose stonate, piccoli particolari che non tornano, ma senza nessun vero movente, erano anni che l’avvocato era fuori dal suo studio, passato in gestione alla nipote, un’avvocata fatta a sua immagine e somiglianza in quanto a pelo sullo stomaco.

Ma c’è un altro problema: come nei precedenti capitoli dei Bastardi, anche in questo De Giovanni ci racconta i grandi e piccoli problemi della loro vita.

Un padre che sorveglia una figlia, rifletté Lojacono. All'epoca gli era sembrata una follia. Ma non era ancora divenuto genitore. Adesso l'ottica era ribaltata.
Lojacono, il cinese, “pioggia battente”, è alle prese con un problema della figlia. Un problema che Marinella gli sta tenendo nascosto.

- Credi di sapere sempre tutto, tu... magari qualcosa ti sfugge sapientina!

Magari il motivo per cui siamo venute qui dal nord, pensò vicky.
Magari il motivo per cui ti affanni a evitare qualcuno che esercita proprio qui in città, al quale però ti sei voluta avvicinare. Qualcuno che potrebbe forse toglierti le paure, mamma.

Elsa Martini, “pioggia incessante” ha invece un problema diametralmente opposto con la figlia: perché Vittoria, Vicky, è tutto fuorché una bambina normale. Chi è l’adulta e chi è la figlia? Riuscirà la piccola Vicky a risolvere le ansie della madre?

Romano, “pioggia fortissima” si trova di fronte ad un bivio: chi scegliere, la piccola Giorgia, la bambina che aveva trovato in un cassonetto, salvandola, oppure la pediatra Susy, accanto a cui si sente finalmente felice?

Alex, “pioggia improvvisa”, dovrà finalmente affrontare il rapporto col padre, il generale tutto-dun-pezzo Di Nardo, anche perché messa di fronte ad un evento familiare drammatico.

E poi Pisanelli, “pioggia persistente”, vicecommissario in quiescenza, che ancora una volta darà un contributo importante alla soluzione del caso grazie alla sua rete di conoscenze del quartiere.

Il lavoro di un avvocato come Brancato è fatto di tante cose, Giò. Carte bollate, documenti, perizie e udienze; ma anche di rapporti personali. strategie da concordare, decisioni da prendere. Forse, e dico forse, qualcosa del genere l'avvocato lo ha continuato a portare avanti Almeno in casi un po'... particolare.

Purtroppo Pisanelli deve sopportare la difficile convivenza con Marco Aragona, “pioggia fastidiosa”, grazie alla quale però riesce sempre ad essere aggiornato sulle ultime indagini dei Bastardi.

Infine il vicequestore Palma e la vice-sovrintendente Ottavia Calabrese: anche le loro vite ora sono di fronte ad un bivio. Che fare di quel sentimento, quella passione che ancora brucia dentro di loro?

È tutto molto ben dosato, le questioni personali, che i Bastardi devono tenersi dentro per non mettere a rischio la loro professionalità, e il lavoro di indagine – si sente il richiamo ai romanzi di Ed Mc Bain coi poliziotti dell’87 Distretto di quella città che non esiste (e che sembra proprio New York).

Proprio come nei romanzi dell’autore americano, la forza dei Bastardi sta nel loro saper fare squadra, nel saper cogliere tutti i particolari dalla scena del crimine, dalla persona che si trovano davanti e di metterli poi a disposizione di tutti. I fatti e anche le impressioni personali.

I Bastardi invece si raccontavano anche le impressioni e le intuizioni; dettagli che ai più sarebbero sembrati incongruenti o addirittura distraenti rispetto all'indagine, situazioni irrituali che nella maggior parte dei casi restavano chiuse nelle menti degli investigatori, nella sala agenti di Pizzofalcone diventavano materia di discussione condivisa. E non accadeva mai che nessuno mettesse in dubbio le sensazioni di un altro.

Ci sono, e i Bastardi le hanno registrate delle dissonanze, delle stonature in questo caso. Ma la principale è come è stato ucciso l’avvocato: con violenza e con furia, come se all’improvviso si fosse rotto un argine, senza alcuna premeditazione. Eppure, d’altro canto, sembra un delitto perfetto, nessuna impronta, nessun segno che riporta all’assassino:

Assassino di cui possiamo leggere i pensieri nell’interludio del romanzo, dove l’indagine si prendesse una pausa, mentre la pioggia, che da a tutta la storia un ulteriore senso di mistero, non cessa di flagellare la città

Non smetterà mai di piovere. Continuerà per sempre. Non sarà più possibile uscire all’aperto, l’acqua salirà, raggiungerà i piani alti dei palazzi, tutti moriranno e l’umanità si estinguerà insieme agli animali in terra. Sopravvivranno solo i pesci. Non smetterà mai di piovere, e non importa. Sarà meglio, anzi, così questa maledetta città si laverà, alla fine.

In questo romanzo Maurizio De Giovanni ci regala un finale con tanto di colpo di scena alla Agata Christie che porterà alla soluzione del delitto, nato da un desiderio di vendetta rimasto a covare dentro.
Non c’è un geniale Poirot, o la simpatica investigatrice miss Marple: c’è il lavoro di squadra dei Bastardi, grazie a cui tutti i pezzi del puzzle trovano il loro posto.

E tutte le incongruenze, quei dettagli fuori posto, hanno una risposta. Anche quello strano inizio, con una ragazza e un ragazzo seduti ad un bar. Chi sono? Come mai stanno litigando?

Per molto tempo si sarebbero ricordati di quel tardo pomeriggio di pioggia incessante. se ne sarebbero ricordati perché arrivarono alla spicciolata in sala agenti convinti di essere a mani vuote, inconsapevoli di recare invece ognuno un pezzo di soluzione. se ne sarebbero ricordati perché fu la dimostrazione che nessuno da solo può raggiungere il risultato che riesce a ottenere una squadra composta di gente disposta ad ascoltare. se ne sarebbero ricordati perché fu allora che Pizzofalcone dimostrò a se stesso, prima che tutti i poliziotti supponente maldicenti della città, di avere un senso; perché quel senso non soltanto non era perduto, ma si era addirittura rafforzato.

Chissà, forse aveva ragione l’assassino, lasciate stare alla pioggia, fidatevi.

Lasciate fare la pioggia fidatevi perché ha una caratteristica formidabile. prima o poi, smette.

La scheda del libro sul sito di Einaudi e il link per scaricare il pdf del primo capitolo.

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13 maggio 2024

Report – i nemici di Moro, gli oligarchi del mare, Sgarbi e il sindaco di Fiumicino

IL SINDACO E IL DIPARTIMENTO MISTERIOSO Di Rosamaria Aquino

Dallo scorso anno il nuovo sindaco di Fiumicino è l’ex deputato Mario Baccini: ex tante cose, oggi amministra una città alle porte di Roma.

Come sta amministrando la città e chi ha finanziato la sua campagna elettorale?

Report ha raccontato del suo duplice ruolo, sindaco e presidente del Microcredito, ente pubblico che finanzia le piccole imprese in difficoltà.

Nel suo comune le consulenze dovrebbero essere state azzerate, ma secondo l’opposizione nelle riunioni del comune partecipano anche consulenti del sindaco, come l’avvocato Graziano come consulente giuridico (incarico pagato).
Come consulente giuridico non bastava il segretario generale, racconta Baccini “io ho il mio gabinetto con le mie consulenze”, quelle che doveva azzerare.

Baccini ha assunto altri consulenti o assessori persone legate all’area del centrodestra: per i consulenti non si bada a spese.

Altri soldi sono stati spesi per eventi e degustazioni, come per il convegno Terra e mare (dove non manca Coldiretti): l’evento è seguito da un giornale online a cui il comune paga 15mila euro per il solo convegno.

160mila euro per le luminarie, in una zona dove poi non c’è stato ritorno turistico: “quest’anno raddoppieremo” rassicura il sindaco.

Ma a Fregene, diversamente dal centro di Fiumicino, le luci non arrivano e le persone hanno paura ad uscire la sera: anche loro pagano le tasse e non possono essere il bancomat del comune.

Il 90% dei finanziamenti esterni (43mila euro) è stato erogato da un dipartimento di una misteriosa università, chiamata università anglo cattolica di San Paolo.

La giornalista di Report ha provato a chiamare al dipartimento fantasma, senza successo. Un buco nell’acqua anche la visita alla sede di Unisanpaolo.

La giornalista ha provato ad andare nella chiesa anglicana di Roma: anche qui niente da fare, nessuno conosce questa università.
Risalendo le fila delle persone società che hanno investito in Baccini si arriva a Focene, da una imprenditrice che il sindaco pure conosce
e che sarebbe la direttrice del dipartimento.

A Report spiega che il dipartimento è chiuso, che lei lavora in una società di consulenza, che lei lavorava per un certo monsignore (almeno così veniva definito).

Alla fine questa università esiste virtualmente ma non rilascia titoli, è tutto aleatorio, “se i corsi sono partiti non lo so” racconta a Report la moglie del rettore.

Secondo il rettore di questa università “aleatoria” quel dipartimento non è mai esistito e che presenterà denuncia per quanto successo.

A Fiumicino dovrebbe sorgere un nuovo porto, dove dovrebbero arrivare le navi da crociera per attraccare: anzi i porti sono due, uno più grande dell’altro, uno privato e uno pubblico a pochi km di distanza. Il progetto è stato approvato lo scorso agosto: il comune dovrebbe controllare il progetto ma è coinvolto anche nell’iter del progetto, che avrà anche un forte impatto ambientale.

Si tratta di una concessione privata – spiega Baccini: la concessione è stata acquista da Fiuicino Waterfront, sarà una delle opere realizzate per il Giubileo ed è considerato strategico dal comune.

Anac ha chiesto la delibera del comune, quella di agosto dove ha stabilito la concessione.

AGGIORNAMENTO OLIGARCHI DEL MARE Di Luca Chianca

Il sistema Genova era già emerso lo scorso anno dal servizio di Report, “Gli oligarchi del mare”: si parlava del progetto della diga davanti al porto per accogliere le navi da 400 metri, con un forte impatto ambientale sull’ecosistema marino (quello che immagazzina più co2).

La nuova diga sarebbe costruita con soldi pubblici, si tratta di una scommessa fa 950 ml di euro solo per la prima fase, per arrivare ad altri 300 milione in una seconda fase.

L’ingegnere Silva aveva lavorato al progetto per poi dimettersi: parla a Report di una diga a rischio collasso, con conseguente aumento dei costi. Tanto paga il pubblico, si stima fino a 2 miliardi di euro (parola di Signorini, il presidente del porto).

La diga è stato un piacere fatto a Spinelli e Aponte (i due armatori che hanno finanziato Toti): per parlare del progetto Bucci e Toti sono andati a Ginevra con un aereo privato di Garrone.

Che male c’è – spiega Signorini - questi discorsi mi sembrano cose del passato.

Spinelli (come Aponte) ha finanziato le attività politiche di Toti, “noi facciamo beneficenza a tutte le parti”, spiega al telefono a Report. Mica lo ha finanziato per avere qualcosa in cambio..

Noi abbiamo ascoltato gli imprenditoriracconta a Report Toti: forse li ha ascoltati un po’ troppo, visto l’interesse della magistratura.


Svendesi capolavoro – di Manuele Bonaccorsi

C’è un quadro, recuperato dai carabinieri a Montecarlo lo scorso anno, che potrebbe costare un altro rinvio a giudizio all’ex sottosegretario Sgarbi: si tratta di una replica di un’opera d’arte, aveva spiegato a Report Sgarbi, il quadro non era mio, avevo fatto solo una expertice.
Ma la perizia fatta da esperti stabilisce che si tratta veramente di un’opera del 600, del pittore de Boulogne.

Report ha mostrato le prove che potrebbero creare altri problemi al critico Sgarbi: sono le chat dove parla della vendita dell’opera con tanto di commissione.

I NEMICI DI MORO E FALCONE Di Paolo Mondani

Report torna sul caso Moro, ricostruendo gli ultimi giorni della prigionia: il servizio parte con la trattativa portata avanti dall’ex vicesegretario Signorile viene interrotta dalla notizia del ritrovamento del cadavere di Moro (il 9 maggio 1978). Secondo Signorile il Viminale sarebbe venuto a conoscenza del cadavere attorno alle 11, prima della telefonata di Morucci al professor Tritto.

La verità giudiziaria si poggia sul memoriale di Valerio Morucci e della compagna Adriana Faranda: Morucci si è dimostrato reticente, come tutti i brigatisti, nel voler fare luce su tutte le zone d’ombra, sul memoriale.

I brigatisti non hanno pubblicato la parte del memoriale su Gladio, sui rapporti della DC e le banche, su Andreotti: secondo Signorile ci sarebbe un patto occulto tra la DC e i brigatisti per nascondere e proteggere i “nemici di Moro”.

Nel memoriale, ritrovare 12 anni dopo, Moro accusava il suo partito e il papa di aver fatto poco per la sua liberazione, di averlo abbandonato: “liberatelo così, senza condizione..”.

Nella rivista Metropoli di Scalzone e Piperno, pubblicata nel 1979, era presente un fumetto dove si ricostruiva la prigionia di Moro con particolare inediti: alla sceneggiatura hanno lavorato persone che sapevano dettagli precisi del sequestro e della morte di Moro.

Non ci sono verità nascoste” dice oggi il disegnatore: ma nel fumetto si parla del garage del quartiere Prati (emerso solo nel 2018 dal lavoro della commissione Fioroni), è presente un personaggio che assomiglia a Senzani.

Quando sono stati arrestati Morucci e Piperno, nel suo alloggio di proprietà di un agente del KGB, era presente un elenco di brigatisti, forse materiale di scambio per una collaborazione.

Quel fumetto – secondo Signorile – era un modo per arrivare ad un perdono giudiziale: impunità per persone contigue alle BR per non essere processate. Signorile fa il nome dell’ex brigatista Senzani, ritenuti da molti suggeritore delle domande a Moro nella prigionia.

Come mai il memoriale non è stato reso pubblico?

Senzani oggi risponde che non avevano interessi nei media, l’avvenimento era troppo grande anche per noi: non si sono accorti i brigatisti che avevano in mano argomento tali da buttar giù la DC e lo Stato, come Gladio?

Senzani è considerato la mente dei sequestri Dozier, Taliercio, Cirillo, era in contatto con la scuola di lingue parigina Hyperion, era in contatto col responsabile della Gladio parigina.

Per Moro tutto cambia col comunicato 5, dove si parla di Taviani – referente italiano di Gladio - e di una mancata trattativa (su indicazione americana e tedesca): dopo quel comunicato le BR non pubblicano più nulla su Gladio. Come mai?

Nel 1983 a processo Prospero Gallinari raccontò che l’omicidio di Moro fu deciso per il progetto di solidarietà nazionale.

Gallinari fu arrestato dopo uno scontro a fuoco con la polizia: la sua cattura è raccontata dal collaboratore ex brigatista Di Cera che ha collaborato coi carabinieri di Mori.

Walter Di Cera racconta un’azione nel 1979 quando all’Asinara cercarono di far evadere i capo storici delle BR con una azione sanguinaria: i capi sarebbero usciti usando l’esplosivo che era stato portato in carcere dai familiari.

Gallinari, nel corso della preparazione dell’agguato all’Asinara, raccontò che in via Fani erano presenti due uomini dello Stato.

Nel 1979 al Cesis arriva un appunto su due brigatisti, intercettati in carcere: questa intercettazione rimane nel cassetto fino a metà anni 90, dove fu scoperta dall’avvocato Li Gotti.
Nelle intercettazioni si parla di nastri con la registrazione dell’interrogatorio, nastri poi presi da “altri” compagni,
di un livello superiore, per nasconderli.

Si dice che Moro si faceva la doccia più volte al giorno, dunque Moro non era detenuto in via Montalcini. Si parla di altri soggetti non identificati nell’operazione Moro: nel memoria di Morucci si parla di solo nove brigatisti, ma forse quel giorno erano presenti molto di più.

Quelle registrazioni oggi sono dimenticate, perché non si prova a ripulirle, con le tecnologie di oggi?

La morte di Moro rientra nel campo della strategia della tensione, termine inventato dal quotidiano The Observer due giorni dopo la strage di Milano, nel dicembre 1969: tener fuori dall’area di governo il partito comunista in tutti i modi.

Nel memoriale Moro fa capire che quel termine, strategia della tensione, è riferito alla sua politica: la politica di apertura al PCI, a centri di potere diversi da quelli del patto atlantico.

Una politica in contrasto con i dettami della guerra fredda, come aveva cercato di fare con la sua politica energetica Enrico Mattei, ucciso in un attentato a Bascapè nel 1962.

Moro scrisse a Mattei di dimettersi: l’Italia poteva crescere economicamente, ma non politicamente. Anche economicamente non potevamo crescere: dopo il 1962 fu bloccato l’investimento di Olivetti, dell’Eni con la sua politica energetica.

Lo storico Giovanni Maria Ceci racconta del rapporto speciale tra l’amministrazione americana e Craxi, nato nei giorni del rapimento Moro: Craxi era considerato il leader naturale dagli americani, perché anticomunista, perché spaccava la Dc. La sua tattica sulla trattativa era di tipo “win win”, se Moro fosse stato ucciso poteva dirsi l’unico politico ad aver voluto trattare.

Anche lo storico e scrittore Giovanni Fasanella, autore di un saggio sul caso Moro (Il golpe inglese - Chiarelettere), ha toccato il punto delicato sugli interessi stranieri in Italia: assieme a Mario Jose Cereghino hanno studiato per anni i documenti via via desecretati dello spionaggio inglese in Italia conservati nei National Archives di Kew Gardens a Londra. Ed è qui che scoprono un tesoro rimasto sepolto per decenni anche sul caso Moro:

Una serie di documenti sulle riunioni di una Commissione segreta del governo britannico che lavorò nei primi sei mesi del 1976. Questa Commissione aveva avuto il compito dal governo britannico di elaborare dei piani di guerra clandestina, di operazioni illegali e clandestine da attuare in Italia per neutralizzare la politica di Aldo Moro. Molte le ipotesi prese in considerazione, alla fine ne rimase una: colpo di Stato militare, classico. Questa opzione venne discussa con la Germania federale, la Francia e gli Stati Uniti d'America. All'epoca era Kissinger il referente di questa Commissione dei quindici del governo britannico. E naturalmente c’erano perplessità, c’era addirittura chi prevedeva il bagno di sangue nel caso in cui ci fosse stato un colpo di stato militare di destra. Alla fine cosa si decise? Si decise per il piano B, appoggio ad una diversa azione sovversiva.
Quali sono queste azioni sovversive nel dettaglio – ha chiesto nel servizio il giornalista di Report?

La propaganda occulta, influenzare i giornali, corromperli, pagare i giornalisti, utilizzarli come strumento per condizionare la politica. Una volta individuato un nemico, a livello più basso, la corruzione. Se non funziona la corruzione, la macchina del fango, l’intimidazione, fino all’eliminazione fisica.”

Il vicesegretario socialista di quegli anni, Claudio Signorile, come raccontato nel precedente servizio di Report, mediò con le Brigate Rosse tramite alcune esponenti dell’autonomia operaia per la liberazione dello statista democristiano. Signorile aveva raccontato che nell’ultima settimana della prigionia le br furono “come affiancate”.
Nella vicenda Moro sono intervenute realtà esterne al brigatismo a condizionare la soluzione finale – è la tesi di Signorile, ma a che cosa si riferisce?
“Le provenienze sono queste, inglesi, americani ma in modo marginale, francesi, ma gli inglesi hanno il primato, perché hanno il
ruolo di coordinamento, sono quelli responsabili dei processi politici. Quando loro dicono ‘i comunisti in Italia sono un problema serio che va affrontato fino alle estreme conseguenze..’”.
Gli inglesi erano anche nei partiti di governo, infiltravano anche i partiti, gli apparati: “mi sorprende che lei si sorprenda, fa parte della tecnica della capacità di infiltrazione inglese che in qualche modo tenevano aperta una porta di dialogo col brigatismo, quando era già passato alla lotta armata. Questo fatto mi è stato detto, mi sono stati indicati i luoghi dove tutto questo avveniva..”
C’erano, secondo quanto racconta l’ex vicesegretario del PSI, uomini dei servizi inglesi che incontravano dei brigatisti.

Per cercare una conferma alla tesi sulla eterodirezione delle br, se ci fosse qualcuno che le manovrava, Paolo Mondani ha sentito il professor Giovanni Maria Ceci – ordinario di storia contemporanea a Roma – che racconta di come dagli archivi americani non emerge alcuna infiltrazione nelle br di uomini dei servizi americani. Ma il professore riporta la testimonianza dell’ambasciatore americano del tempo, Richard Gardner (dell’amministrazione Carter), che avrebbe confermato l’esistenza di un infiltrato dentro le br.

Lo scrive proprio Gardner nelle sue memorie: gli americani avevano infiltrato le BR nel 1978.

Si ritorna a Pellegrino, ex presidente della commissione parlamentare stragi: Moro fu ucciso perché era in possesso e aveva dato ai brigatisti materiali su Gladio.

Pellegrino rivela una confidenza dell’ammiraglio Martini: “.. era stato il più longevo tra i direttori del servizio segreto militare (Sismi) e che all’epoca del sequestro Moro era al numero due del servizio. Mi disse, ‘io non le ho detto la verità’, cioè che aveva avuto uno scontro col ministro della Difesa Ruffilli”.

Pellegrino riporta le parole dell’ex numero due del Sismi: “Mi ero fatto dare delle dichiarazioni dagli uffici in cui si diceva che Moro non era in possesso di segreti sensibili e Ruffilli disse ‘allora possiamo stare tranquilli’ e io sbottai dicendo ‘proprio lei non può stare tranquillo perché da una cassaforte del suo ministero è sparito un documento su Gladio che esisteva soltanto in due copie. Una custodita a Roma e una custodita a Londra..’”.
Andretti, Cossiga, i membri del comitato di crisi tutti avevano la certezza che Moro avesse fatto avere questo documento riservato su Gladio alle br?
Risponde Pellegrin
o: “Dai comunicati delle br, il numero 3 e il numero 6, l’intelligence alleata capisce che le brigate rosse erano entrate in possesso di quel documento e dal quel momento decidono che non devono fare niente per salvare Moro.”

Si torna al cambio di rotta, che Pellegrino ha denunciato di fronte alla seconda commissione Moro: per i documenti di Gladio, perché aveva dato fastidio agli interessi inglesi (che sin dal 1976 era preoccupati dall’ascesa dei comunisti)?

Nel 1990 in via Monte Nevoso nel covo delle BR furono trovate le carte del memoriale e delle lettere di Moro: emerge dalle carte, analizzate dal direttore Di Sivo dell’archivio di Stato, il dissidio tra Moro e l’amministrazione Kissinger.

Nel testo del memoriale mancano delle parti? Mondani lo ha chiesto al direttore dell’archivio di Stato a Roma Michele di Sivo: “Ci sono solo due punti in cui sembrano non esserci e tutti e due riguardano i rapporti tra Giulio Andreotti e i servizi segreti ..”

Nella seconda parte del memoriale si parla del rapporto della DC e le banche, del rapporto di Andreotti e Sindona. Nella terza parte scrive di chi ritiene sia responsabile del rapimento: scrive del suo partito, di Andreotti (“lei passerà senza lasciare traccia”), scrive di rinunciare alle cariche.

Il generale Jucci, continua il servizio di Mondani, fu inviato da Moro nella Libia di Gheddafi nei primi anni 70: fu capo del controspionaggio comandando i carabinieri poi negli anni 80. Amico di Moro e di Cossiga, oggi a 98 anni racconta che se non ci sono dubbi che ad uccidere Moro siano stati i brigatisti, “ma certamente le br avevano dei burattinai, almeno io lo penso, come i burattinai li avevano chi cercava di liberare Moro”.

Fu allontanato da Roma nei giorni del rapimento, per far sì che non si occupasse della vicenda: se fosse stato presente avrebbe intercettato il monsignor Bernini, avrebbe intercettato gli amici di Moro che ricevevano le lettere dalle BR, oltre a Piperno e Scalzone.

Nel comitato di crisi erano presenti persone vicine a Cossiga: era presente anche Pieczenick, che aveva un ruolo, non solo quello di salvare Moro.
Sugli errori commessi dagli investigatori aggiunge: “Quello che mi rammarica è che probabilmente questi errori furono fatti per volontà di farli.”

Le BR avrebbero avuto dietro un burattinaio, fa intendere Jucci e questo spiega perché le bR non avrebbero pubblicato le parti del memoriale su Andreotti e Sindona, su Gladio.

Ma anche lo Stato aveva dietro un burattinaio: Steve Pieczenick, il suo ruolo è stato tenuto nascosto, molte informazioni sono emerse dai leaks di Assange. Ma poi nelle sue memorie raccontò che Moro doveva morire per salvare l’Italia, quello alla fine fu la sua missione “da manipolatore” in Italia.

Cosa successe nella direzione della DC del 9 maggio 1978? Claudio Signorile attraverso Pace e Piperno era in contatto con Morucci per la trattativa, la speranza era viva perché Fanfani avrebbe proposto la trattativa alla direzione della DC.

Ma, come raccontato anche nel precedente servizio, quella mattina arriva al Viminale la notizia della morte di Moro, era tra le 10 e le 11.

Signorile ritiene di essere stato invitato al Viminale da Cossiga per essere testimone del ritrovamento del cadavere di Moro: la telefonata di Morucci di mezzogiorno serve a rimarcare il loro ruolo, sono stati loro ad uccidere Moro.

Se Cossiga aveva saputo in anticipo della R4 rossa, chi li aveva avvertiti?

La telefonata di Morucci è una recita di un percorso già scritto che nessuno doveva toccare: in quei momenti era in corso la direzione della DC ma, secondo Signorile, Fanfani sapeva già che Moro era morto.

Alla fine il governo Andreotti rimane in carica per approvare importanti riforme, come la legge sulla sanità e la legge Basaglia: ma la DC senza Moro non sarà più la stessa.

Il 1980 si apre con l’omicidio di Mattarella, presidente della regione Sicilia, poi successivamente le BR uccidono Bachelet. Tutti uomini del cambiamento, Mattarella sarebbe stato nominato vicesegretario della DC,aveva aperto l’amministrazione della regione al PCI di Pio La Torre, a sua volta ucciso nel 1982, per la sua battaglia contro la mafia e gli europ-missili a Comiso.

Muoiono tutti gli uomini del cambiamento e la DC diventa sempre più permeabile alle mafie.

Con la caduta del muro di Berlino nel 1989 crolla il patto di omertà che legava centinaia di agenti segreti, gladiatori, professionisti dell’eversione di destra e altrettanti boss mafiosi che avevano collaborato alla strategia della destabilizzazione del nostro paese dal dopoguerra. Giovanni Falcone intuisce questo intreccio proprio mentre, anni dopo, sta indagando sull’omicidio di Piersanti Mattarella. Siamo a dicembre del 1991, Falcone è a cena da Pino Arlacchi, suo collaboratore al ministero degli Interni: “non disse una parola tutta la sera, finché non furono andati via tutti, gli ho detto ‘Giovanni sei stato zitto, molti di questi volevano parlare con te’. Lui disse non ho parlato perché sto appena tornando da Palermo e sono ancora immerso in tanti pensieri tentando di decifrare le informazioni che ho appena avuto, su tutta la situazione di cosa nostra, e su tutta la situazione degli ambienti che circondano cosa nostra, gli ambienti di Andreotti. Sono tutti in un grandissimo allarme, perché si sentono traditi, non si sentono più protetti dalla politica, il governo non fa più niente per loro. E inoltre ho parlato con una fonte molto importante a cui do credito che mi ha raccontato alcuni particolari dell’omicidio Mattarella che ha confermato quello che pensavo da tempo. Cioè che sia stato un caso Moro bis, c’erano la P2, Gladio e la mafia, per eliminare Mattarella in quanto si era messo sulla strada pericolosa, aveva superato la stessa linea rossa che aveva superato Moro, stava cercando un accordo coi comunisti in Sicilia.

Tutti gli apparati dello stato che avevano compiuto stragi nei decenni precedenti (i gladiatori, gli uomini dei servizi che li proteggevano) erano in allarme – racconta Arlacchi – per il cambiamento politico in corso: Giovanni Falcone salterà in aria il 23 maggio 1992, l’8 giugno successivo il ministro dell’Interno Scotti e di Giustizia Martelli approvarono il decreto che istituiva il 41 bis, un regime di detenzione che prevede l’isolamento dei boss di mafia per impedire il passaggio di ordini tra il carcere e il clan sul territorio. Un mese dopo a luglio, crollato il governo Andreotti, nasce il governo Amato, i due ministri vengono rimossi anche perché dopo il decreto si era scatenato l’inferno.
Lo racconta lo stesso ex ministro Scotti: “immediatamente il giorno dopo fu dichiarato dagli avvocati lo sciopero e la maggioranza alla commissione Affari Costituzionali pose il problema di incostituzionalità del provvedimento ..”
Da ministro dell’Interno – chiede Mondani – ebbe mai la sensazione che esistesse una relazione, addirittura un rapporto sistematico tra mafiosi corleonesi e alcuni componenti degli apparati dello Stato?
“L’ho sempre pensata così”.
Il governo Amato giura nei primi giorni di luglio del 1992, al posto di Scotti all’Interno viene nominato Nicola Mancino, al posto di Martelli al ministero di Grazia e Giustizia fu nominato Giovanni Conso e poi arrivò l’avvicendamento ai vertici del DAP di Niccolò Amato con Alberto Capriotti: in poche settimana furono tutti sostituiti i responsabili della linea dura contro la mafia.

Commenta Scotti oggi: “Prevalse la linea della convivenza che poi degenera facilmente in connivenza con la mafia.”

Alcuni mesi dopo l’applicazione del 41 bis venne fatta saltare per centinaia di mafiosi per mezzo di un intervento del ministro Conso: effetto del cambio di strategia contro la mafia, per una distensione dei rapporti “questo è un fatto non un’opinione” il commento di Scotti.

Un filo nero lega la morte di Moro con le stragi del 1992: si chiama strategia della tensione, l’inchiesta sui mandanti esterni sulle stragi di Falcone e Borsellino non è stata archiviata, la GIP ha chiesto di approfondire i rapporti tra mafia ed eversione nera, con i diari di Falcone dove parlava del delitto Mattarella.

Ma la commissione antimafia del governo di centrodestra sta approfondendo solo il filone sul rapporto mafia e appalti del ROS (su cui Paolo Borsellino aveva deciso di indagare): ma è stata quella la causa della morte di Falcone e Borsellino?

Secondo l’ex magistrato Scarpinato è un errore, le due stragi sono legate, la tesi secondo cui la tangentopoli siciliana dietro il rapporto del Ros è dietro la morte dei due magistrati non sta in piedi.

I politici siciliani delle tangenti erano finiti nel mirino della mafia perché erano ritenuti non più affidabili: questa tesi piace alla politica e al centrodestra perché ferma le indagini alla prima repubblica e non tocca i partiti della seconda, come Forza Italia.

La presidente Colosimo giustifica la scelta parlando della volontà dei figli di Borsellino, non c’è nessuna volontà di “settorializzare” ma vogliono andare a lavorare su una pista che è stata sottovalutata.

Però alla fine la pista sul rapporto mafia appalti mette d’accordo Mario Mori, ex generale del Ros, con l’avvocato Trizzino, che tutela la figlia del giudice Paolo Borsellino.

Gioacchino Natoli aveva lavorato con Borsellino a Palermo: il giudice ricorda che Borsellino non era contrario alla scelta di archiviare alcune posizioni, dunque non è vero che fosse isolato per le sue posizioni sul dossier del Ros. Tra l’altro l’inchiesta era comunque andata avanti, portando alla condanna del mafioso Buscemi.

Solo nell’ottobre del 1997 Mori e De Donno si presentano alla procura di Palermo sostenendo che il rapporto mafia e appalti fosse alla base della sua morte – ricorda oggi Natoli.

Secondo l’ex ministro Scotti Borsellino era preso da altro, rispetto al dossier del Ros: aveva saputo della trattativa dei carabinieri del Ros con la mafia, la Cassazione ha assolto tutti i carabinieri lo scorso anno per il processo “trattativa” con la formula “per non aver commesso il fatto”.

La sentenza di appello mette nero su bianco la trattativa che ci fu, tra l’ala moderata e pezzi dello Stato: la mancata perquisizione del covo di Riina era un pezzo della trattativa come la mancata cattura di Provenzano.

Non è stato provato il nesso causale tra l’azione del Ros e la prosecuzione delle stragi in continente: secondo il magistrato Di Matteo la sentenza della Cassazione è in contrasto con altre sentenze, come quelle di Firenze.

L’azione del Ros aveva fatto crescere l’idea nella mafia che le stragi avevano pagato: ma forse questa è una verità ancora indicibile per questo stato.

Uno stato dove ex condannati per mafia continuano ad avere un ruolo politico, nelle elezioni amministrative ed europee.
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