Nel 1978, Milano è una città di frontiera. Carica uomini, merci, idee dal sud del mondo e la trasferisce in Europa, nella grandi metropoli del nord.Borsa, affari, traffici, legali e illegali.È così da sempre, anche in quell'anno. Milano è il luogo dove i soldi sono un mezzo per comprare la felicità, non certo i valori.Frontiere che si snodano all'interno della città.
Non c'è filo spinato, nessuno chiede un documento d'identità, la cortina di ferro prooprio non esiste, nemmeno i cavalli di Frisia.Sono i binari della ferrovia, quelli che dalla stazione Centrale portano a Lambrate.Un groviglio di traversine, e ponti, e sottopassaggi, quasi inestricabile.Ma nel 1978, per noi ragazzi dei quartieri, era una frontiera.Da una parte le potevi scorgere quelle ville, con dentro parcheggiata la macchina sportiva rossa, difese da cancelli già telecomandati a distanza.Ci viveva gente arricchita da un benessere fittizio, foortuna create in poco tempo, magari sulla schina di chi non riusciva neppure a comprarsi un televisore in bianco e nero.Duecento metri.Non di più.[..] Dall'altra parte le case erano scrostate, sui balconcini c'erano cianfrusaglie, vecchie biciclette arruginite dal tempo. Ci vvivevano per lo più operai delle grandi industrie di Sesto San Giovanni, gente che anni prima aveva attraversato l'Italia dal sud al nord per un pezzo di pane.
Ci sono duecento metri a separare
questi due mondi. Due mondi, quartieri diversi dove eri catalogato
per come ti vestivi, per quali giornali avevi in tasca, per il taglio
dei capelli.
Se avevi gli stivaletti a punta, gli
occhiali a goccia, il soprabito grigio, i capelli corti.
Oppure se indossavi le clark, l'eskimo,
se leggevi Lotta Continua o l'Unità e avevi i capelli lunghi.
Come Fausto Tinelli e Lorenzo
Jannucci. Fausto
e Iaio.
Due ragazzi del quartiere Casoretto,
due come tanti, che in una sera del 18 marzo 1978, mentre
attraversavano quelle strade tra i quartieri di centro e periferia,
furono uccisi da un commando di killer professionisti.
La storia di Fausto e Iaio è
diventata così un pezzo della storia di Milano, sicuramente un
pezzo importante della storia milanese dei quegli anni difficili, di
lotta, di passione e di sangue.
Volevano uccidere due ragazzi, quei
killer professionisti in via Mancinelli, venuti probabilmente da
fuori. Non hanno ucciso la memoria e non hanno ucciso il loro ricordo
che hanno dopo anno si tiene vivo, grazie ai ricordi dei loro amici,
dei genitori, degli storici e dei giornalisti come Daniele
Biacchessi, che hanno seguito la loro vicenda. Un ricordo che è
anche compito nostro tenere vivo, anche se non abbiamo conosciuto le
loro passioni e le loro speranze: perché usando le parole
dell'intellettuale Matvejevic, “bisogna voltare pagina [..]
Prima di voltarla, però, bisogna leggerla”.
I funerali di Fausto e Iaio (e l'enorme folla di sindacati, lavoratori, studenti, amici ...). |
Leggiamola, questa pagina della nostra
storia.
Siamo nel 1978, l'anno maledetto (o che
noi ricordiamo come maledetto): l'anno del rapimento di Aldo Moro
(due giorni prima della morte di Fausto e Iaio, un caso?) e
dell'omicidio degli agenti e carabinieri della sua scorta. Aldo Moro
fu poi ucciso al termine dei 55 giorni di prigionia, dalle Brigate
Rosse.
Ma è anche l'anno della morte di un
giovane ragazzo siciliano, Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9
maggio, proprio lo stesso giorno in cui il cadavere di Moro viene
fatto trovare in via Caetani.
Strano il destino a volte.
Il presidente della DC, fautore della
politica delle convergenze parallele tra i due grandi partiti di
massa, ucciso dopo un rapimento e una prigionia che ancora oggi
sollevano tanti dubbi.
Una storia piena di depistaggi,
amnesie, verità ufficiali che fanno acqua da tutte le parti.
Destino comune a quello di Peppino, che
dalla sua radio denunciava apertamente la mafia, il boss Gaetano
Badalamenti. Ucciso lungo i binari della ferrovia dopo un agguato:
delitto fatto passare (con complicità anche dentro chi nell'arma,
doveva investigare sul delitto).
Per anni si è detto e scritto che
Peppino fosse morto mentre preparava un attentato, fino a che le
rivelazioni del boss Badalamenti, pentito, non gli hanno reso
giustizia.
Ecco, Fauto e Iaio ancora la devono
aspettare quella giustizia.
Per quei due ragazzi appena
diciottenni, uno schivo e timido, l'altro ridente e solare, nemmeno
una sentenza che dica perché sono stati uccisi.
Ma, come per le storie raccontate
prima, tante false piste, disseminate per sparigliare le carte, tante
piste non seguite, tanti particolari cui gli investigatori non hanno
dato peso.
I pedinamenti che, da mesi, i due
avevano notato. Una moto e una Mini Minor.
I due ragazzi col soprabito bianco,
visti sul luogo dell'agguato, che parlavano con un accento romano.
Quella ragazza venuta a chiedere
informazioni su Fausto, nel suo stabile, presentatasi come una sua
amica.
A fare una vera indagine, più che la
Questura, è stata la Controinformazione, i “pistaroli” come
venivano chiamati in quegli anni i giornalisti che non si fermavano
alla versione ufficiale.
Giornalisti come Camilla Cederna, come
Giorgio Bocca, come Marco Nozza. O come Mauro Brutto, giornalista de
l'Unità.
Sono i giornalisti che per primi
avevano tirato fuori le responsabilità dello Stato nella strage di
Piazza Fontana. Che avevano fatto le prime indagini sulla mafia di
Liggio al nord.
Mauro Brutto, in particolare,
aveva seguito una pista particolare, sulla morte dei due ragazzi del
Casoretto: stava lavorando sul connubio tra trafficanti di eroina,
fascisti milanesi e romani, apparati dello Stato.
A Danila, la mamma di Fausto, aveva
detto che la verità di Fausto e Iaio non era poi così chiara come
qualcuno voleva farla apparire.
Non erano morti, come disse il capo di
Gabinetto della Questura, per una storia di spaccio o per una faida
da dentro il mondo degli spacciatori.
Fauto Tinelli e Lorenzo Iannelli,
avevano collaborato alla scrittura di un un libro bianco sullo
spaccio della droga a Milano. Per cercare di capire chi fossero
gli spacciatori e chi i grandi trafficanti che avevano in mano le
redini del traffico.
Mauro Brutto non ha fatto in tempo a
finire il suo lavoro: è stato investito da un auto pirata il 25
novembre 1978. Un altro di quegli strani incidenti che ogni tanto
capitano alle persone che fanno domande che non si devono fare.
Il libro bianco uscì, però, anche se
con qualche pagina in meno, senza i nomi degli spacciatori con forti
legami internazionali, di bande in contatto con narcotrafficanti
sudamericani ed europei.
Altri misteri che si aggiungono.
Ma, oltre a misteri, piste non seguite
e depistaggi, c'è anche altro. C'è la pista nera, quella che porta
al mondo del neofascismo milanese e dei suoi contatti con quello
romano.
La prima inchiesta, condotta dal
magistrato Armando Spataro, punta già su alcuni nomi, ma
porta a ben poco.
Maggiore fortuna ebbe, a fine anni '80,
l'inchiesta del giudice Michele Salvini, che si avvale delle
testimonianze dei pentiti della destra fascista.
Testimonianze da prendere con le pinze,
certo, quelle di Angelo Izzo, Walter Sordi, Valerio Fioravanti.
Ma che concordano tutte nel dire che
quell'omicidio era cosa nota a tutti che era roba loro. E che ad
uccidere i due ragazzi erano implicati (presumibilmente) gente come
Massimo Carminati e Mario Corsi.
Massimo Carminati ora lo
sappiamo tutti chi sia: è la persona che, nelle intercettazioni
dell'inchiesta mafia capitale (per cui è stato arrestato) parla del
“mondo di mezzo” di persone in contatto tra la politica e la
criminalità, per affari sporchi (il business dell'accoglienza dei
migranti).
Nel libro Daniele Biacchessi racconta
chi fosse stato, Carminati, tra la fine degli anni '70 e i primi anni
'80: la cerniera tra la Banda della Magliana (la holding criminale a
servizio di mafia, Loggia P2..) la loggia P2 e i servizi deviati (nel
Sismi).
Se una persona come Carminati si muove
da Roma a Milano per fare un delitto come questo, significa che
dietro ci sono questioni ben più importanti dello spaccio.
Forse c'entra qualcosa il fatto che i
due ragazzi stavano seguendo una pista sul traffico di droga nel
quartiere che portava a Ettore Cichellero, esponente del “Noto
Servizio”, che nell'inchiesta veniva definito come uno dei
padrini del narcotraffico (si legga quanto scritto in proposito da
Aldo Giannuli nel libro “Il noto servizio”).
Noto Servizio, Brigate Rosse,
servizi deviati e rapimento Moro: è questa la pista molto
suggestiva che sembra venir fuori, mettendo assieme ipotesi,
supposizioni secondo una pista che abbia una logica.
Fausto Tinelli abitava in via Monte
Nevoso 9, il suo letto era proprio sotto la finestra di fronte allo
stabile al numero 8. Via Monte Nevoso 8 è dove, nell'ottobre del
1978 prima e nel 1990 poi, è stato ritrovato il memoriale di Aldo
Moro (e la madre di Fausto racconta anche della mansarda del loro
stabile affittata a carabinieri e a uomini dei servizi, in quei mesi,
per osservare i brigatisti).
Era un covo delle Brigate Rosse (per un
approfondimento “Doveva
morire” di Sandro Provvisionato).
Forse un caso. Come forse un altro caso
è il fatto che le stesse BR, nel comunicato numero due, avessero
citato proprio Fausto e Iaio
“Onore ai compagni Lorenzo Jannucci e Fausto Tinelli assassinati dai sicari del regime”.
Cos'è stato quell'omicidio, allora? Un
messaggio (da parte di qualche componente dello stato) alle Br, per
far loro comprendere che qualcuno sapeva dove fossero le basi
dell'organizzazione ed era disposto a ricorrere a forme di
contro-terrorismo di tipo argentino?
E, di conseguenza, il comunicato numero
due, era un “messaggio ricevuto”?
E per questo che sono morti questi due
ragazzi, uccisi da killer professionisti una sera di marzo di tanti
anni fa? Perché avevano visto cose che non dovevano vedere? Perché
stavano arrivando a persone che non dovevano essere scoperte?
Uccisi in nome di quella ragione di
Stato per cui è stato sacrificato anche il presidente Moro?
Di
questo è convinta la madre di Fausto Tinelli, che in una intervista
al Corriere
dice esplicitamente «Fausto e Iaio uccisi dai servizi
segreti». Danila non è mai
stata interrogata (nemmeno dal GUP Clementina Forleo, l'ultimo
magistrato ad occuparsi del caso)
Vengono in mente le
parole di Corrado Guerzoni, collaboratore di Aldo Moro, la sua teoria
dei cerchi concentrici, sulle responsabilità politiche nelle stragi
e nei misteri d'Italia:
“Per cerchi concentrici ognuno sa che cosa deve fare.
Non è che l’onorevole X dice ai servizi segreti di recarsi in Piazza Fontana e mettere una bomba. Non accade così.
Al livello più alto della stanza dei bottoni si afferma: il Paese va alla deriva, i comunisti finiranno per andare presto al potere.
Poi la parola passa a quelli del cerchio successivo e inferiore dove si dice: sono tutti preoccupati, cosa possiamo fare?
Si va avanti così fino all’ultimo livello, dove c’è qualcuno che dice “ va bene, ho capito ”.
Poi succede quello che deve succedere.
Una strage in una banca, in una stazione, in una piazza, sopra un treno.
Oppure, come nel nostro caso, un omicidio di due ragazzini [si riferisce all'omicidio di Fausto e Iaio a Milano nel 1978].
Così nessuno ha mai la responsabilità diretta.
E se vai a dire all’onorevole X che lui è il mandante della strage di Piazza Fontana, ti risponderà di no. In realtà, è avvenuto questo processo per cerchi concentrici.
Non è che l’onorevole X dice ai servizi segreti di recarsi in Piazza Fontana e mettere una bomba. Non accade così.Al livello più alto della stanza dei bottoni si afferma: il Paese va alla deriva, i comunisti finiranno per andare presto al potere.Poi la parola passa a quelli del cerchio successivo e inferiore dove si dice: sono tutti preoccupati, cosa possiamo fare?Si va avanti così fino all’ultimo livello, dove c’è qualcuno che dice “ va bene, ho capito ”.Poi succede quello che deve succedere.Una strage in una banca, in una stazione, in una piazza, sopra un treno.Oppure, come nel nostro caso, un omicidio di due ragazzini [si riferisce all'omicidio di Fausto e Iaio a Milano nel 1978].Così nessuno ha mai la responsabilità diretta.E se vai a dire all’onorevole X che lui è il mandante della strage di Piazza Fontana, ti risponderà di no. In realtà, è avvenuto questo processo per cerchi concentrici.
La scheda del libro sul sito di Baldini
e Castoldi.
Il sito dell'autore Daniele
Biacchessi (che aveva già raccontato ne “Il
paese della vergogna” la storia di Fausto e Iaio).
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