30 aprile 2021

Aspettando un nuovo primo maggio

Il tema del salario minimo sparito dal recovery plan (o piano di resilienza) e in generale la riforma degli ammortizzatori sociali ferma al palo.

Un mondo del lavoro che si è spinto così avanti da essere tornati al cottimo e ai lavoratori schiavizzati: penso ai dipendenti di Amazon che ci consegnano la merce "in un click" e che devono correre, correre, affinché Bezos sia sempre più ricco.

Ma della gig economy ci sono anche i rider di Glovo che hanno scoperto, da un giorno all'altro, che la paga per ogni consegna era dimezzata, ma in compenso avrebbero preso dei bonus extra.

Aspettiamo ancora una volta il primo maggio sperando un giorno di rivedere se non il sol dell'avvenire, almeno che il lavoro sia rispettato, ben pagato e tutelato. Dove le morti bianche sono una disgraziata eccezione, non un numero a cui si fa assuefazione.

Ma dobbiamo accontentarci di molto meno: del record delle vaccinazione a fine mese del generale sempre in divisa, del battimani colmi di entusiasmo al pnrr, il vecchio recovery plan che curerà tutti i mali.

Ma non si occuperà di salario minimo, non si occuperà delle politiche sulla casa, non si occuperà dei rider e nemmeno dei pendolari che purtroppo per loro non viaggiano in alta velocità.

Chi si occupa oggi in parlamento di loro? Il governissimo che ha dentro un pezzo di destra e un pezzo di centro sinistra?

Le famiglie sotto sfratto, i rider, le persone che hanno o stanno perdendo lavoro per le delocalizzazioni (o per la crisi) non sono i ristoratori, capaci di smuovere le decisioni di Draghi sulle riaperture e sui colori delle regioni.

Ci dovremo aspettare una estate molto calda, non solo dal punto di vista delle temperature, se pensiamo ai licenziamenti e agli sfratti che arriveranno.

Se lo chiedeva Montanari ieri sera a Piazza Pulita: chi rappresenta oggi gli ultimi in Parlamento?

Nel piano di ripresa e resilienza si parla tanto di concorrenza, eppure si mantengono le attuali condizioni di semi monopolio in settori strategici come energia, telecomunicazioni e trasporti (sull'AV in particolare), col rischio che così Enel e Eni continuino ad usare gas e carbone come fonte per le centrali (anche perché in questo paese non si aumenterà la spesa per la ricerca pubblica). Si chiama greenwashing, altro che svolta green.

Aspettando il primo maggio che verrà, mi viene da dire che più che ad un piano per le "next generation", questo del governo sia un piano per le past generation, dove è più importante fare un ponte sullo stretto o l'alta velocità degli asili per i bambini. E penso anche che domani ci toccherà sentire le solite frasi di circostanza sul lavoro.

Comunque in questo secondo anno di pandemia, per qualcuno le cose sono andate bene ("andrà tutto bene", vi ricordate?): AstraZeneca ha raddoppiato i propri profitti nel primo trimestre 2021.

PS: mentre aspettiamo questo primo maggio non possiamo non dimenticare l'anniversario della morte di Pio La Torre, ucciso dalla mafia (per una oscura convergenza di interessi tra mafia e politica, come per altri delitti eccellenti) a Palermo nel 1982.

A proposito, avete ancora sentito parlare di lotta alle mafie in questi mesi?

29 aprile 2021

La credibilità dello Stato e la giustizia per le vittime del terrorismo

Giustizia è fatta, anche a distanza di anni.

Vendetta dello stato, a cinquant'anni di distanza, da parte dello Stato.

E allora i terroristi neri?

Grazie al governo che da credibilità alle istituzioni.

Come da prassi, l'arresto dei sette italiani condannati per crimini compiuti negli anni settanta (alcune ex BR, l'ideologo dei PAC e un dirigente di Lotta Continua) hanno suscitato reazioni da tifo da stadio.

Non si riparano del tutto i danni compiuti con questi arresti (e comunque dovremo attendere l'iter dell'estradizione), ma rimane il fatto che dietro questi arresti ci sono degli omicidi, con tanto di processi finiti con una sentenza passata in giudicato.

Come ha scritto Mario Calabresi ieri (figlio di Luigi Calabresi, ucciso da un commando di Lotta Continua nel 1972) "non devono esistere zone franche per chi ha ucciso. La giustizia è stata finalmente rispettata. Ma non riesco a provare soddisfazione nel vedere una persona vecchia e malata in carcere dopo così tanto tempo".

Forse potremmo approfittare di questi arresti e del loro ritorno in Italia per fare anche qui quello che è stato fatto in Sudafrica alla fine dell'apartheid.

Chiudere gli anni di piombo facendo luce su tutte le zone d'ombra, comprese le responsabilità di pezzi delle istituzioni su tanti episodi (cominciando dalla strage di piazza Fontana su cui si aspetta sempre i nomi dei mandanti).

La destra italiana può tanto esultare, per questo barlume di giustizia che non rinfrancherà del tutto i parenti delle vittime, ma per ridare completa credibilità allo Stato, al nostro stato, servirà qualche passo in più.

Ieri sera su La7 nello speciale sulla mafia si parlava del delitto Borsellino, alla luce delle "nuove" dichiarazioni di Maurizio Avola.

Passati più di venti anni, l'unica cosa certa è il depistaggio di stato con la falsa pista Scarantino, conosciamo alcuni dei mafiosi presenti in via D'Amelio, ma ancora non sono chiari i perché. C'entrava la trattativa che si stava imbastendo con la mafia dopo Capaci? C'entrava il dossier su mafia e appalti?

Dunque, quanto successo ieri non può definirsi vendetta, ma il percorso per dare giustizia a tutte le vittime del terrorismo, nero e rosso, e ridare credibilità alle istituzioni, la strada è lunga.

27 aprile 2021

Perdenti di Gianluca Ferraris

 


Ettore Capobianchi uscì tirandosi alle spalle il portone. Baldo, che durante il breve tragitto in ascensore non aveva smesso di saltellare intorno al suo padrone rivolgendogli piccoli guaiti disperati, strattonò subito il guinzaglio puntando al platano più vicino. L'uomo diede il massimo di lenza e lo seguì di buon passo.

C'è una Milano raccontata dalle pagine dei giornali: gli aperitivi, i palazzi a specchio, la gente sempre di corsa, perché Milano non si ferma.

E poi c'è un'altra Milano, quella dei “perdenti”, quelli che stanno in fondo alle classifiche, che si devono arrangiare in qualche modo per campare. Come il signor Ettore Capobianchi, che dopo aver portato a spasso il suo cane, scopre che la porta di casa del suo vicino è rimasta aperta e che dentro c'è il cadavere del suo proprietario.

Non c’era nulla di strano, a parte due sedie rovesciate. E il morto, naturalmente. Ettore Capobianchi non si avvicinò per tastargli la vena sul collo né urlò.

Tra i “perdenti” di questa storia c'è anche l'uomo triste, che avrà un nome e una storia solo alla fine del romanzo: è uno di quelli che non è riuscito a costruirsi nulla di solido nella vita, uno che ha perso quasi tutto e che ora può solo galleggiare, cercando un piacere effimero che anestetizzi per qualche ora il suo dolore tra night club e locali per uomini soli.

L’uomo triste si accomodò sulla poltrona e sfregò l’assegno che teneva piegato tra pollice e indice, come aveva preso a fare da qualche tempo. La donna, in piedi di fronte a lui, aveva un sorriso da Gioconda che ne amplificava l’inespressività degli occhi.

Ci sono poi persone come il protagonista, l'avvocato Lorenzo Ligas, io narrante di questo legal thriller, che sono diventati “perdenti”, pur provenendo dall'altra Milano, quella delle luci, del lusso, del buon vestire e dei locali esclusivi.

La pratica di sbronzarmi e poi finire a letto con sconosciute dal comportamento sessuale nella migliore delle ipotesi disinvolto si è già rivelata nociva per la mia salute

Lo conosciamo subito dopo aver incontrato il morto, Emanuele Farinetti poliziotto e il signor Ettore. Si chiama Lorenzo Ligas avvocato e socio dello studio legale Petrillo Chieffi Ligas, di cui è il penalista, un lieve problema di autismo che gli consente di ricordare eventi e brani letti anni fa (e rimasti conservati da qualche parte nel suo cervello), una passione per i vestiti di marca, per le serie televisive dove si parla di indagini, poliziotti e avvocati.

Studi brillanti nel passato ma in presente che sta franando: una ex moglie ex che sta pensando di trasferirsi in Svizzera per lavoro, rendendogli difficile vedere la figlia, Laura di otto anni.

La cattiva abitudine di prendere appuntamenti al buio con donne incontrate su Tinder, e una brutta dipendenza dall'alcool che lo rende poco lucido, dimenticandosi qualche appuntamento in studio, fino a quando i soci non lo mettono alla porta

.. è meglio per tutti, anche per la reputazione dello studio, se ti prendi semplicemente una pausa. La reputazione dello studio…”

Ma c'è un altro perdente in questo giallo, una delle tante meteore della musica pop italiane, Giacomo Nava, Jack Zero: è stato un cantante famoso grazie a quell'hit, unico, che ha suonato dappertutto. Poi più nulla, l'incapacità di scrivere altre canzoni di successo, la dipendenza dalla droga e uno sprofondare in gironi sempre più bassi, da festivalbar all'idroscalo milanese.

E' lui la persona che secondo la polizia ha ucciso il poliziotto: non ci sono dubbi, è stato visto litigare con la vittima per causa della ex moglie di Farinetti, ora la compagna del cantante. Non solo, una testimone lo ha pure visto “sulla scena del crimine” da una testimone.

E' il cliente giusto per l'avvocato Ligas: proprio di lui chiede il signor Nava, alias Jack Zero, al magistrato che lo sta interrogando. L'ex meteora della canzone leggera italiana sarà difesa dal quasi ex avvocato, cacciato fuori dal suo studio, che però a questo caso si aggrappa come un naufrago alla zavorra.

Perché, sebbene sembri la classica causa persa in partenza, Ligas è convinto dell'innocenza dell'assistito e poi il nostro avvocato è uno che crede nel mestiere che fa: garantire alla persona che ha affidato a lui la sua libertà (e che ora è finita dietro le sbarre a San Vittore) la migliore difesa.

Cominciando a chiedersi chi altri poteva avercela col poliziotto: in modo metodico compila una sua lista

Ex moglie

Figlia

Amante

Creditori

Ricattatori

Non solo, l'indagine della polizia è stata a dir poco grossolana, non hanno cercato altri presunti colpevoli oltre il cantante in disgrazia, hanno tralasciato di fare verifiche importanti sulla scena dell'omicidio, come se ci fosse qualcosa di personale contro l'indiziato. Come se ..

E in questi dubbi, indagando laddove la Mobile non aveva guardato, tra le pieghe della vita del morto, che Ligas inizia a scoprire qualcosa.

Negli ultimi tempi il poliziotto era nervoso, più aggressivo con la ex moglie, a cui aveva smesso di dare i soldi.

«Era un uomo triste e arrabbiato.»

«Si spieghi meglio.»

«Era sempre a caccia di soldi, oppure di donne. Prostitute, ragazzine, night… Beveva, anche. Troppo. E sul lavoro era diventato ingestibile.»

Sono tanti i punti oscuri sulla vita di Farinetti e sulla sua morte, per questo Ligas si fa aiutare in questo da un'hacker, Daniela Scandura “Security consultant” che in modo non proprio legali, gli consentirà di fare luce su tutto. E forse Jack Zero è solo la persona che si è trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato, mentre le persone che conoscevano il morto hanno tante domande a cui rispondere, tanti perché da chiarire.

Nel corso del racconto l'autore lascia, qua e là, delle tracce che portano all'assassino (come giusto che sia in un giallo) che confesserà tutto in un colpo di scena finale.

Ma in questo romanzo si parla anche della condizione carceraria, di come oggi il carcere sia concepito più come uno strumento di pena e non di redenzione, “non si vuole più condannare un reato ma punire un reo”. Nessuna pietà per chi sta dentro, “nessuna condanna è sufficiente”, gettiamo la chiave e via. E a chi importa di come si vive dietro una porta chiusa a chiave.

C'è il popolo che reclama la sua condanna e fuori del palazzo di giustizia c'è il mondo dei giornalisti pronto a soddisfare la sua fame: non tutti i giornalisti sono così, l'autore dedica un cameo ad alcuni personaggi letterari con taccuino in mano pronti a raccontare del delitto e delle accuse contro Jack Zero

Riconosco Enrico Radeschi del Corriere, Gabriele Sarfatti di Scenario, Steno Molteni della Notte. I migliori.

Nel romanzo dei perdenti la Milano che viene fuori è diversa da quella stereotipata: una città dove, diversamente dai tempi di Giorgio Scerbanenco, la gente è stanca, sfinita, “l’ultima grande metropoli di una nazione che sta affondando all’estremità di un continente affamato”, Ferraris, tramite il suo personaggio, la definisce “una metropoli antisesso, vista l’enfasi e la carica quasi erotica che i suoi abitanti preferiscono investire su denaro, successo e carriera”.

Ma questa storia di perdenti sarà anche una storia di riscatto, per Ligas prima di tutto: l'occasione per scrollarsi di dosso tutta la ruggine e dimostrare ancora di essere vivo.

La scheda del libro sul sito di Piemme editore

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Report – la guerra in Vaticano e il giallo veneto

Chi ha messo una microspia nell'ufficio del revisore dei conti in Vaticano? Come mai Crisanti non lavora più nella sanità veneta? Chi sono quei politici che stanno in due partiti prendendo due volte il 2xmille?

Il doppio due per mille di Luca Chianca

A chi danno il 2xmille gli elettori della Lega? Alla vecchia Lega o alla nuova?

La vecchia Lega nord, anche se non si presenta alle elezioni, continuerà a prendere soldi perché è sufficiente che qualche rappresentante eletto si dichiari vicino alla lega di Bossi.

Lo ha ammesso il commissario della commissione che verifica lo statuto dei partiti, Amedeo Federici, consapevole che le domande di Report lo avrebbero portato in un ginepraio.

E' come se ci fosse una newco, la lega per Salvini premier e poi una bad company, che ha in pancia i 49ml da restituire allo Stato. Ma entrambe percepiscono il 2xmille, sebbene la vecchia Lega non abbia agibilità politica e non si presenta alle elezioni.

Se nessuno vota la vecchia Lega come mai prende ancora il 2 per mille? I due partiti sono stati messi in piedi per la truffa dei 49 ml da restituire, per i finti rimborsi elettorali: la procura di Genova non è riuscita a trovare i soldi nelle leghe locali, per una serie di contenzioni sorti sul territorio, e così si è deciso di fare questo accordo, per cui i 49ml saranno restituiti in 70 anni.

I membri della vecchia Lega nord sono pochi, tra questi Giovanni Fava: aveva chiesto di poter usare il simbolo del partito alle elezioni locali a Igor Iezzi, commissario della Lega indicato da Salvini. Ma ha ricevuto un no come risposta: la vecchia Lega non potrà presentare liste nei comuni, nessuna agibilità politica: è un partito tenuto in piedi solo per prendere i soldi pubblici da ridare allo stato per una truffa sui soldi pubblici.

Una doppia truffa e una beffa alla procura, ma purtroppo rispettando le leggi: una storia paradossale ma legittima, spiega Federici, presidente della commissione che certifica gli statuti dei partiti (e così prendere il 2xmille).

Se la Lega decidesse di non pagare, nemmeno ci si potrebbe rifare sulla Lega di Salvini, che pure raccoglie il suo 2xmille dal 2018, sono 7ml di euro, un bel gruzzolo.

La Lega di Salvini ha una bella liquidità che potrebbero essere dati allo Stato, ma forse – commentava ironicamente il consulente di Report Bellavia - la lega di Salvini non ha nulla a che fare con la lega di Bossi.

Una bella confusione, tanto che molti eurodeputati nemmeno sanno se sono stati eletti da una parte o dall'altra. E anche il simbolo di Alberto da Giussano, appare e scompare a seconda della convenienza: sul sito che raccoglie il 2xmille per esempio lo mette in bella mostra.

Le due leghe hanno due statuti dove si fa divieto di far parte di due partiti diversi: ma Iezzi, Fontana, Centemero e Calderoli fanno parte delle due Leghe.

Tutto regolare? Beh, il presidente Federici non può controllare, non ha poteri di polizia: “lo chieda al legislatore .. ”

E chi sarà mai questo legislatore?

La cimice nella stanza del revisore del papa

I magazzini Harrod's sono il simbolo di uno degli investimenti più opachi della santa sede: oggi non vale più di 290 ml di euro e fu pagato 400ml di euro.

Il palazzo di Londra è stato gestito dal broker Fincione, nel passato si era occupato delle pensioni di Enasarco: nel 2013 fu chiamato dal Vaticano e dalla segreteria di Stato per gestire i suoi fondi, soldi usati per le scalate bancarie.

Le voci su questo investimento arrivano al papa, che mette un uomo di fiducia per sbrogliare la matassa, fa dimettere dalla segreteria di Stato il cardinale Becciu ma lasciando al loro posto alcuni collaboratori dell'ex sostituto segretario (come Perlasca, Tirabassi).

Nella scorsa puntata di Report attorno a questa vicenda era emersa anche una storia di ricatti, messa in piedi da Tirabassi (un funzionario laico), capace di influenzare le scelte dei preti in Vaticano grazie a video compromettenti e ottenere così commissioni milionarie fatte passare attraverso società offshore.

Monsignor Perlasca, collaboratore di Becciu, aveva paura di dover giustificare l'investimento di Londra a Libero Milone (ex presidente di Deloitte Italia, che aveva gestito dossier delicati come quelli di Parmalat e Fiat), nominato dal papa revisore generale della Santa Sede (e anche gli investimenti della segreteria di Stato di Becciu), che proprio nel 2015 aveva iniziato a ficcare il naso negli investimenti a Londra del Vaticano

ho visto dei documenti contabili che dicevano che c'erano investimenti a Londra, allora ho chiesto i documenti che non mi sono mai stati dati ”

Milone chiede un incontro coi vertici della segreteria di Stato e coi collaboratori laici, ma furono sempre stati “rimbalzati”. Milone scopre anche che i soldi della donazione finiscono anche in conti correnti del responsabile dell'ente, un errore, gli fu detto.

Il santo padre chiese di indagare anche sull'AFSA, l'ente che gestisce gli immobili: anche qui furono trovati documenti di investimenti rischiosi.

Il Vaticano si è sempre opposto alla pillola del giorno dopo, ha sempre fatto pressioni sui farmacisti affinché facessero obiezione: suona strano allora che il Vaticano e Afsa abbia investito in società farmaceutiche come la Sandoz, che quelle pillole le produce.

Un paradosso incredibile del Vaticano, segnalato dall'ufficio di Milone al papa e alla fine le quote furono vendute.

Dopo pochi mesi l'ufficio di Milone subisce una intrusione, anticipata dall'uomo degli intrighi, Luigi Bisignani: qualcuno entrò nel suo ufficio senza fare nessuna infrazione, e aveva installato un malware per trasferire documenti verso l'esterno.

Chi era entrato aveva le chiavi e non si era occupato solo di pc, ma aveva installato anche una microspia: chi l'aveva messo era interessato alle segnalazioni anonime che riceveva, come quella che parlava di Becciu e dei contributi non versati all'inps.

Questo foglio di carta con la segnalazione su Becciu fu depositata nell'archivio nell'ufficio di Milone, ma dopo qualche mese il cardinale convocò proprio Milone contestandogli quel pezzo di carta, che non avrebbe dovuto conoscere, accusandolo di averlo usato fare dossieraggio.

Libero Milone subisce una perquisizione dell'ufficio da parte della gendarmeria, viene interrogato per ore con l'accusa di dossieraggio, di peculato e così Milone e il suo aggiunto furono costretti alle dimissioni.

Cosa ancora più strana, Milone dovette firmare una lettera di dimissioni retrodatata, con la minaccia di rivelare alla stampa e alla famiglia dell'accusa di peculato.

Chi ha messo la microspia nell'ufficio di Milone? Chi aveva timore del revisore indipendente, che stava “ficcando il naso” negli investimenti della segreteria di Stato, come il palazzo di Londra?

Milone è una delle ultime vittime tra i revisori che hanno cercato di fare luce sui conti del Vaticano: già nel 2010 Ratzinger aveva incaricato il cardinale Nicora di mettere in piedi una struttura di controllo in Vaticano, l'AIF, la prima struttura anti riciclaggio, con a capo un ex funzionario della banca d'Italia, De Pasquale.

Il Vaticano stava infatti finendo nella lista dei paesi pirata: ma il direttore dello IOR mise dei paletti all'AIF, che non poteva indagare sulle operazioni antecedenti alla sua istituzione.

Altri paletti furono messi dalla segreteria di Stato che riscrisse il codice dell'AIF nel 2012, facendo dei passi indietro: la segreteria mise sotto controllo di monsignor Balestrero l'azione dell'AIF in Europa, poi finito sotto indagine per riciclaggio.

La riforma voluta da Ratzinger fu così depotenziata che fino alla fine del 2017 non esisteva in Vaticano alcun processo per riciclaggio: primo perché le norme per contrastarlo erano troppo complesse da applicare, e poi perché la segreteria di Stato ha sempre cercato di sottrarsi al controllo dell'AIF.

Tra i flussi di denaro che non dovevano arrivare al controllo dell'AIF erano quelli che passavano attraverso l'ambasciata iraniana: il giornalista di Report è venuto in possesso di un documento del 2011 in cui la segreteria di Stato vaticana autorizzata l'ambasciata dell'Iran a depositare in contanti il denaro presso il loro conto allo IOR e poi a far uscire i soldi tramite bonifico. Un'autorizzazione inusuale che, tecnicamente, consente di fare riciclaggio di denaro sporco. E poi, come mai questa autorizzazione dall'ambasciata?

In Italia l'ambasciata iraniana queste operazioni non può farle, sarebbero segnalate immediatamente alle autorità competenti.

Il cardinal Nicora viene sostituito da un avvocato svizzero, ex consulente della segreteria vaticana, un uomo legato al dipartimento di stato americano.

Al posto di Di Pasquale il genero dell'ex presidente della banca d'Italia Fazio, de Ruzza, oggi indagato per la vicenda dell'investimento londinese.

L'indipendenza dei revisori, come l'indipendenza dei controllori, degli scienziati, non è sempre una dote apprezzata.

La seconda ondata della pandemia in Veneto 

Quella del dossier del dottor Crisanti ricorda la storia del ricercatore dell'Oms Zambon: anche qui c'è un documento che non deve veder la luce perché metterebbe in imbarazzo chi è al potere.

Crisanti aveva gestito la prima ondata del covid in Veneta: testare coi tamponi e tracciare, il modello Vo Euganeo, un modello celebrato in tutto il mondo.

Durante la seconda ondata le cose si sono messe male: è successo in Veneto quello che era successo in Lombardia a Bergamo.

La regione ha deciso di scaricare Crisanti, per dimostrare che era solo merito loro la buona gestione in regione: rispetto alla media nazionale, qui ci sono stati più deceduti e più ricoveri.

Duemila decessi in più perché?

Colpa della folata di vento fuori dal comune, un virus con una sintomatologia più aggressiva, ha cercato di spiegare il presidente Zaia. Ma era cambiata la strategia della regione che ha investito molto nei tamponi rapidi, che era il test di riferimento anche nelle strutture per anziani.

Così le RSA si sono trasformate in focolai, dopo che diversi test rapidi si sono rivelati falsi negativi: ogni 4 giorni il test molecolare non si può fare – si è giustificato Zaia.

Eppure Crisanti aveva fatto uno studio sull'efficacia dei tamponi rapidi dell'azienda Abbott, scoprendo che fallivano nel 30% dei casi.

Il direttore della sanità Flor spiega che non c'era una autorizzazione per fare quello studio e che quello studio non esiste: ma lo studio esisteeccome , Crisanti lo aveva inviato proprio a Flor su input dell'unità di crisi dell'ospedale di Padova.

Ma i due primari che aveva chiesto lo studio prima smentiscono il lavoro di Crisanti perché – racconta Report – avevano subito delle minacce dal direttore generale Flor (“siamo stati presi per il collo”).

A microfono spento, Luciano Flor, spiega ha bloccato lo studio di Crisanti sui tamponi: “Detto inter nos la ditta ci fa causa quindi meglio dire lo studio non c’è. Cazzo, glielo dico sette volte e non capisce…” dice di Crisanti.

“Ora lui, cazzo, è un puro. È un ingenuo. Non riesce a star zitto”.

Meglio essere ingenui come Crisanti oppure dei cinici calcolatori come questi dirigenti della sanità? Chi è indipendente e puro non è governabile, poteva mettere in crisi la strategia della sanità veneta, quella dei tamponi rapidi.

La regione è rimasta in zona gialla, nonostante i morti nelle RSA e nonostante l'occupazione dei posti negli ospedali: nessun lockdown è stato fatto in regione, il virus ha così potuto circolare bene di paese in paese, di famiglia in famiglia.

L'istituzione di una zona rossa quante persone avrebbe salvato? Negli ospedali e nelle RSA anche: i medici avevano lanciato il grido d'allarme a novembre e dicembre.

Avevano chiesto l'aiuto all'ex senatrice Laura Puppato, ex medico, questi medici: la senatrice denuncia la situazione negli ospedali nel trevigiano, come nell'ospedale di Montebelluna.

Arrivò così una ispezione, annunciata da una settimana, che non rilevò nulla: anche qui c'è un giallo, perché si parla di alcuni pazienti spostati e di alcuni medici spostati per abbellire la situazione, prima dell'ispezione.

Il dissenso (contro la regione Veneto che era rimasta in zona gialla) non è amato in regione Veneto (come in altre regioni): se ti esponi mediaticamente vieni fucilato immediatamente – racconta un medico in anonimo, ha paura di denunciare anche il presidente dell'Associazione medici di base.

La regione ha dichiarato mille posti letto in terapia intensiva, un numero che le ha consentito di rimanere in zona gialla: ma erano numeri contestati, numeri gonfiati, perché non erano posti reali, non c'era un numero di anestesisti a sufficienza.

Colpa dell'ISS, ha spiegato Flor, che ha ricevuto i dati della regione Veneto e ha applicato solo l'algoritmo.

Come mai se la regione Veneto è così brava a tracciare (fino all'85% diceva Zaia), non è stata capace di bloccare l'infezione?

Il giornalista di Report ha raccontato storie di diversi cittadini secondo cui il tracciamento è saltato in regione a novembre, riportando tante storie di infetti che non sono mai state contattate per risalire ai contatti.

Non solo, per un certo periodo la regione non inviò i dati all'ISS, perché era in corso la migrazione dei sistemi: anche qui, stranamente, l'ISS lasciò la regione in zona gialla.

Altra stranezza è quella degli asintomatici: i tracciatori avevano notato un inghippo nella procedura di inserimento dati, per cui le persone venivano inserite in default come asintomatiche (il dato era precompilato). Il sintomo era uno dei fattori che indicava se il sistema sanitario poteva reggere, le strutture sanitarie non sono sotto pressione: un problema tecnico, ammette la dirigente della regione Veneto.

A novembre in Veneto gli asintomatici erano il 95%, dato riportato dalla regione, mentre in Italia il dato medio era al 60%.

In Sicilia, come racconta il servizio di Walter Molino, si è arrivati al cinismo di voler spalmare i morti, per abbellire i numeri e salvaguardare l'economia di una regione.

26 aprile 2021

Come il Veneto ha gestito (male) la seconda ondata - anticipazione di Report

Sul Fatto Quotidiano di oggi trovare una anticipazione del servizio di questa sera di Report, su come la regione Veneto non ha gestito bene la seconda ondata.

Come in Lombardia, hanno prevalso altri interessi economici, di rapporti con le aziende del settore sanitario e le morti solo un effetto collaterale.

Test, ospedali e asintomatici: disastro di Zaia in autunno

di A. Man. | 26 APRILE 2021

Report torna in Veneto e racconta la seconda ondata, quella dell’autunno, molto violenta dopo che la prima era stata gestita con buoni risultati. Luca Zaia – il leghista capace, altro che Salvini e i disastri lombardi – era stato rieletto a settembre con uno stratosferico 78,79%. Poi però il virus ha fatto 7 mila morti tra ottobre e gennaio: “Duemila in più della media nazionale” dice Maurizio Manno del Coordinamento veneto sanità pubblica nel servizio di Danilo Procaccianti di Report (ore 21,30, Raitre). È come se in Italia in quei mesi fossero morte 64 mila persone anziché 50 mila.

Una falla era nei test antigenici rapidi, usati a profusione anche in ospedali e Rsa, contesti a rischio dove l’eccesso di falsi negativi (fino a uno su due) può fare disastri. In Veneto li ha fatti. Report documenta i tentativi di far passare sotto silenzio lo studio del professor Andrea Crisanti, già consulente di Zaia, sui limiti degli antigenici (Il Fatto ne ha scritto il 29 marzo). Alcuni medici presero le distanze dallo studio: “Siamo stati presi per collo e con tutte le relative possibili minacce sottostanti” dice un primario, registrato a sua insaputa. E il direttore della Sanità regionale, Luciano Flor, spiega: “Detto inter nos la ditta ci fa causa quindi meglio dire lo studio non c’è. Cazzo, glielo dico sette volte e non capisce…” dice di Crisanti. “Ora lui, cazzo, è un puro. È un ingenuo. Non riesce a star zitto”. No: vede un rischio e avvisa, fa uno studio e lo pubblica.

Il Veneto fu a lungo zona gialla – giova ricordarlo nel giorno delle riaperture – nonostante la più alta incidenza di nuovi casi. Allora contavano solo Rt e gli ospedali non troppo pieni. Report però ha verificato che per un periodo il Veneto dichiarava il 95% di asintomatici (esclusi dal calcolo di Rt, in media sono il 30/40%) e misurava l’occupazione delle terapie intensive su mille posti che, secondo le organizzazioni degli anestesisti, esistevano solo in teoria. Zaia si difende come può, Crisanti attacca, Sigfrido Ranucci riconosce al leghista capace di averci “messo la faccia”.

Anteprima delle inchieste di Report: il Vaticano, le due Leghe, la Sicilia dei morti spalmati

Questa sera Report torna a parlare di Vaticano, del Veneto e di cosa è successo nella seconda ondata e della Sicilia coi report sul covid abbelliti. Infine le due Leghe e i soldi da restituire allo Stato.

C'è del marcio in Vaticano

Seconda puntata dell'inchiesta di Giorgio Mottola sugli episodi di corruzione in Vaticano: il giornalista è venuto in possesso di un documento del 2011 in cui la segreteria di Stato vaticana autorizzata l'ambasciata dell'Iran a depositare in contanti il denaro presso il loro conto allo IOR e poi a far uscire i soldi tramite bonifico. Un'autorizzazione inusuale che, tecnicamente, consente di fare riciclaggio di denaro sporco. E poi, come mai questa autorizzazione dall'ambasciata?

Becciu, ex vice segretario di stato, e monsignor Perlasca temevano che queste operazioni (come altri investimenti) fossero scoperte e riportate al papa. L'uomo di cui la segreteria di Stato e Perlasca aveva più paura era Libero Milone, nominato dal papa revisore generale della Santa Sede: proprio nel 2015 aveva iniziato a ficcare il naso negli investimenti a Londra del Vaticano:

ho visto dei documenti contabili che dicevano che c'erano investimenti a Londra, allora ho chiesto i documenti che non mi sono mai stati dati ” racconta a Mottola, e un anno dopo è stato costretto alle dimissioni.

In Vaticano sin dal principio l'accoglienza di Milone e dei suoi collaboratori non è delle migliori: pochi mesi dopo il suo insediamento il suo ufficio è oggetto di una misteriosa intrusione che viene rivelata dal signore delle trame in Vaticano, Luigi Bisignani.

C'è un video, della trasmissione Virus, dove Bisignani parla di una bomba che sta per esplodere, la violazione del computer del cantone del Vaticano, “chi ha osato tanto?”

Era un segnale per far cambiar idea a Milone, che nel suo ufficio si è pure trovato una microspia, denunciata alla gendarmeria che purtroppo non ha mai fatto niente.

La scheda del servizio: IL SABOTAGGIO di di Giorgio Mottola con la collaborazione di Norma Ferrara e Giulia Sabella

Nuove testimonianze inedite rivelano che il Vaticano avrebbe potuto evitare la presunta truffa del palazzo di Londra, costato 400 milioni di euro. L'ufficio del revisore generale della Santa Sede aveva infatti scoperto l'investimento nella primavera del 2016, ma la Segreteria di Stato vaticana non ha mai fornito la documentazione richiesta. In Vaticano la maggior parte dei professionisti scelti dai due pontefici Benedetto XVI e Francesco per vigilare sulla trasparenza e la correttezza delle transazioni finanziaria è stata negli ultimi anni sistematicamente boicottata o addirittura sabotata. I protagonisti dell'antiriciclaggio e della revisione contabile della Santa Sede tra il 2011 e il 2017 raccontano a Report la guerra subita all'interno delle mura vaticane, combattuta a colpi di dossieraggi, computer infettati, microspie e minacce di arresto.

La sanità veneta

Dall'inchiesta della settimana scorsa sulla Lombardia, si passa al Veneto: in questa seconda ondata questa regione ha registrato il tasso di mortalità più alto d'Italia, 8000 decessi in poco più di due mesi, a partire da ottobre – racconta la senatrice Laura Puppato. Cosa è successo in questo mesi?

E' successo che il contatto dopo il tampone anziché dopo 24 ore arrivava dopo giorni, pazienti risultati positivi non sono stati contattati da alcun tracciatore, per risalire poi ai contatti e isolare i contagi.

Così a dicembre nel vicentino si sono trovati nella stessa situazione di Bergamo: non si trovavamo cioè posti negli ospedali per i malati e nemmeno per effettuare le cremazioni (alcune delle salme sono state spostate a Bologna).

Con la seconda ondata la regione ha voluto dimostrare un obiettivo completamente politico, che era tutto merito loro (quello della prima ondata)– racconta il Andrea Crisanti (che nella prima ondata è stato consulente del governatore Zaia) – e che quindi avrebbero potuto fare a meno di me e del mio contributo.

La scheda del servizio: IL GIALLO VENETO di Danilo Procaccianti con la collaborazione di Marzia Amico e Chiara D’Ambros

Cosa è successo alla sanità veneta? Nella gestione del virus all'inizio sono stati i primi della classe. Ma a gennaio hanno registrato il tasso di mortalità più alto d'Italia. Nonostante il parametro di occupazione delle terapie intensive fosse stato superato, già a novembre, il Veneto è rimasto in zona gialla. Perché? Uno degli artefici dei successi della prima ondata è stato il prof. Andrea Crisanti che però durante la seconda ondata è stato messo da parte e non sono stati ascoltati i suoi allarmi sulla sensibilità dei tamponi rapidi di cui il Veneto ha fatto largo uso.

Quelli che spalmano i morti in Sicilia

Cosa succede quando la vita delle persone è considerato solo un problema secondario di fronte al PIL, le pressione di chi vuole tenere tutto aperto per non perdere soldi?

Succede che i dati della pandemia, su cui si decide il colore di una regione e dunque le sue misure di restrizione, vengono spalmati, abbelliti.

“Non si può dire che in un giorno ci sono stati 26 morti, quando invece i 26 morti ci sono stati in 4 o 5 giorni” - questo gridava il presidente della Sicilia Nello Musumeci il 1 aprile scorso - “ma alla fine, comunque li collochi nelle giornate, il saldo finale della settimana non cambia.”

Si scoprì poi che quei numeri erano falsi, i morti in Sicilia erano stati spalmati su più giorni per abbellire il bollettino che la regione mandava a Roma.

“Leggere oggi che i nostri genitori erano dei numeri.. lo abbiamo già vissuto questa cosa dei numeri” - racconta Simone Isabella, dell'associazione vittime del covid in Sicilia.

Di numeri dei morti parlavano in una intercettazione la dirigente Letizia Di Liberti con l'assessore alla salute Ruggero Razza: la Di Liberti era al vertice del dipartimento delle attività sanitarie, dove si gestisce la piattaforma che raccoglie i dati del covid in regione, numeri su cui poi il governo decide sulle fasce di rischio. E' rimasta in carica sotto governi di centrodestra e di centrosinistra, da Lombardo a Crocetta fino a Musumeci.

Fino a quando il 30 marzo scorso la Di Liberti è finita ai domiciliari: la procura di Trapani l'ha accusata di aver falsificato i dati sui decessi e sui contagi dopo aver ascoltato la sua telefonata con l'assessore Razza:


DL “i deceduti te li devo lasciare o te li spalmo?”

RR “ma sono veri?”

DL “Si, solo che sono di tre giorni fa”

RR “e spalmiamoli un po'”

La scheda del servizio: LA SPALMATA di Walter Molino con la collaborazione di Federico Marconi

Morti e malati di Covid considerati solo dei numeri, per evitare le restrizioni e le chiusure delle attività economiche della Sicilia. Un'inchiesta partita da un piccolo centro di elaborazione dei tamponi di Alcamo ha terremotato la sanità regionale. Il governatore Nello Musumeci, l'assessore alla Sanità e suo delfino, Ruggero Razza, i più importanti dirigenti degli uffici regionali, passati per le giunte di centrodestra e centrosinistra sono stati intercettati, in un'indagine definita dai gip "la punta dell'iceberg di ripetute falsità". Per evitare le chiusure della "zona rossa", uomini e donne al vertice del governo regionale avrebbero falsificato i dati sui morti e sui contagiati Covid-19 per mesi, spalmandoli su più giorni, così come quelli sui ricoveri in terapia intensiva. A Report intercettazioni inedite a audio esclusivi

I 49 milioni della Lega


Il 21 dicembre 2019, al congresso federale della Lega, nasce la nuova lega nazionalista di Salvini sulle ceneri della “vecchia” lega separatista di Bossi. Forse solo Bossi non l'aveva capito che quel passaggio era la fine della Padania e della secessione del nord (principio che era sempre rimasto nello Statuto della vecchia Lega, anche negli anni in cui era al governo a Roma). Per capire le ragioni che hanno portato a questa seconda Lega si deve risalire alla condanna stabilita dal Tribunale di Genova secondo cui la Lega doveva restituire 49ml allo Stato, in quanto finanziamenti di cui non aveva diritto.

Ma la procura di Genova iniziò ad incontrare fin da subito problemi, perché nelle casse del partito erano rimasti solo 110mila euro mentre le federazioni regionali, come la Lega Toscana, sollevavano dei contenziosi, sostenendo di essere enti indipendenti dalla Lega Nord.

Così si arrivò all'accordo per la restituzione di quei 49ml in rate da 600mila euro, da restituire in 60 anni: si arriva ad una lega divisa in due, una Lega A quella di Salvini e una bad company, “è abbastanza assurdo che nel nostro sistema venga riconosciuto questo” commenta il giornalista di Open Polis Vincenzo Smaldore.

La scheda del servizio: 2x1000x2 di Luca Chianca con la collaborazione di Alessia Marzi

Il 21 dicembre 2019 un instancabile Umberto Bossi dà la sua benedizione a quella che sembra essere una vera e propria trasformazione del suo partito indipendentista in quello nazionalista della Lega per Salvini Premier. Alla fine del congresso però non c'è stato nessun passaggio a un nuovo partito, ma il mantenimento della vecchia Lega Nord e il riconoscimento del nuovo partito di Salvini. Bad company da un lato e newco dall'altro. Quando alla fine del 2017 i magistrati di Genova alla ricerca dei 49 milioni di euro di contributi non dovuti hanno trovato solo 100 mila euro nelle casse della Lega Nord, il vecchio partito si è accordato con la Procura per restituire 600 mila euro l'anno per i prossimi 70 anni. E dove li prenderebbe i soldi? Anche se oggi non permette ai suoi militanti di candidarsi alle elezioni amministrative, riscuote ancora il 2x1000 e ci paga il debito con lo Stato

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

25 aprile 2021

Il senso della libertà

In questi mesi di pandemia si è cercato di cambiare il senso della parola libertà che, come dovrebbero sapere tutti, finisce dove inizia quella degli altri.

La libertà non è la possibilità di fare quello che si vuole, come andare al ristorante se questo comporta dei rischi per la salute collettiva o fare assembramenti al chiuso.

Le misure di prevenzione contro il virus colpiscono la nostra vita privata nella nostra socialità, nello star assieme, ma sono necessarie se vogliamo bloccare nuove infezioni (e tornare un domani ad una vita “normale”).

Sono altre le libertà riconosciute della Costituzione, quelle libertà che abbiamo strappato al regime fascista con la lotta di liberazione, con la sconfitta del nazifascismo.

La libertà di poter esprimere le proprie opinioni, la libertà di associarsi per un fine comune, la libertà di fronte ai vincoli che impediscono il raggiungimento della nostra crescita come cittadini: il voto per tutti, l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, nessuna discriminazione per genere, etnia, religione.

Da queste libertà discendono tutti i diritti che man mano sono arrivati in questa giovane democrazia: la possibilità per tutti di accedere agli studi a prescindere dal reddito, la possibilità di godere delle cure in un sistema sanitario pubblico, la possibilità di avere un sindacato comune che si contrappone (si il verbo è giusto) ai datori di lavoro.

Queste sono le nostre libertà, non l'arroganza di fare quello che ci pare solo perché io sono io, ho i soldi, ho amicizie influenti, faccio parte di quella cerchia di potere che può vivere al sopra della legge.

Solo perché ho la spilletta del partito fascista al petto o, mutatis mutandis, ho amicizie influenti al governo.

Se in questi anni avessimo protestato per una sanità pubblica che funziona, sul territorio, che non è solo burocrazia, carte inutili e clientelismo, forse il virus avrebbe colpito in modo meno duro. E questo vale sia nella Lombardia leghista (e prima ancora formigoniana) che al sud.

Abbiamo barattato il nostro essere cittadini liberi, tutti con pieni diritti, col diritto fasullo di poter essere consumatori sempre e ovunque: consumo, dunque sono, consumo dunque esisto.

E chi non consuma, chi non produce ricchezza, è considerato rischio ragionato. Non è così che funziona in una democrazia.

Non è per questo che tanti anni fa molti ragazzi, una minoranza nel paese certo, scelsero di non stare a guardare, fecero una scelta di “parte”, partigiana.

La festa della Liberazione, che è una festa della democrazia, non solo di sinistra o di destra (concetti che ancora esistono), è la festa dei nostri diritti di persone libere, consapevoli, con pari opportunità senza distinzioni.

24 aprile 2021

Verso il 25 aprile - Le ultime verità sui partigiani

Giovanni De Luca racconta dell'ultimo libro di Chiara Colombini "Anche i partigiani però .." (Laterza) sulle menzogne contro la Resistenza, che anno dopo anno si sono radicate nella narrazione sulla guerra di liberazione.



Le ultime verità sui partigiani

La ricerca storica - Una vulgata poco qualificata riduce la Resistenza a una piccola rivolta, ma la grande “disobbedienza” dei volontari armati è arrivata a contare fino 250 mila “ribelli”

Velleitari, irresponsabili, inutili, controproducenti, esaltati dall’ideologia, quattro gatti, rubagalline, comunisti, terroristi: questa è la sfilza di aggettivi scaraventata sui partigiani in un processo alla Resistenza che, nel tempo, ha assunto un ritmo incalzante, fino a ridurre la lotta armata contro i tedeschi e i fascisti a un film dell’orrore, a un’esperienza semplicemente criminale.

Molti di questi termini derivano da una pubblicistica di destra che non fa mistero delle sue radici ideologiche; altri nascono in un filone storiografico che progressivamente ha svolto un ruolo sempre più revisionista, attaccando alla radice le fondamenta antifasciste della nostra Repubblica. Entrambi hanno contribuito ad affollare la grande arena dell’uso pubblico della storia di luoghi comuni e di stereotipi, proposti con pezze di appoggio discutibili e con un uso delle fonti e delle testimonianze fin troppo disinvolto. A svelare la sciatteria filologica di queste posizioni è il recente libro di Chiara Colombini, (Anche i partigiani però…, Laterza, 2021), che ne smonta l’impianto interpretativo nel modo più efficace, ripristinando cioè le ragioni della ricerca, documentando l’abisso che separa gli studi sulla Resistenza dalla vulgata antiantifascista costruita prima nell’universo mediatico e ora, soprattutto, nel web.

Attenzione ai contesti, ai fatti, alle fonti, ai documenti: no, non è difficile smontare l’odiosità di alcune ricostruzioni che impazzano in rete dopo aver saturato per decenni il mercato editoriale. Un esempio.

I partigiani furono pochi. In realtà furono molti di più di quanto si creda e soprattutto diffusi in una geografia italiana molto più estesa di quanto l’immagine del “vento del Nord” abbia lasciato intendere. Le ricerche degli ultimi anni (di cui Colombini offre una rassegna puntuale) mostrano che i mesi tra il settembre 1943 e il giugno 1944, nel Sud occupato dai tedeschi e teatro di feroci combattimenti intorno alla “linea Gustav”, sono pieni di episodi di Resistenza, a lungo taciuti da un’opinione pubblica troppo presto smemorata e ora portati alla luce da una storiografia attenta alla documentazione emersa negli archivi tedeschi e angloamericani. Senza contare le ricerche che hanno approfondito la presenza degli stranieri nelle bande partigiane, insieme allo straordinario contributo dato dagli italiani alle altre Resistenze europee (furono 30 mila i nostri caduti all’estero).

Certo, se paragonati alle folle oceaniche che affollavano le piazze dei discorsi del Duce, ai milioni di italiani iscritti al PNF, i partigiani furono pochi. Le cifre che si possono leggere nel libro di Colombini sono eloquenti: 9-10.000 nei mesi immediatamente successivi all’8 settembre 1943; fino a 80 mila nell’estate del 1944, quella delle “zone libere” e delle repubbliche partigiane; 30-40 mila nell’inverno 1944-1945, quando la Resistenza fu obbligata a sostenere con le sue sole forze l’urto della potenza nazifascista; 250 mila nelle giornate dell’aprile 1945, quelle della Liberazione e della fine della guerra. Si, i numeri sono questi e le loro fluttuazioni ci dicono molto sulle caratteristiche di una guerriglia che proprio nella fluidità e nel dinamismo trovava le risorse a cui attingere per imprimere efficacia alle sue azioni militari. Quello partigiano non era un esercito regolare; quando un comandante delle formazioni di Giustizia e Libertà, il cuneese Dante Livio Bianco, proponeva di sostituire le divise con le tute da operaio, aveva certamente in mente l’esempio delle Brigate Internazionali nella guerra civile spagnola, ma soprattutto vedeva in quella scelta una rottura drastica con la tradizione sabauda di un esercito su cui gravava l’esperienza drammatica e ingloriosa dello scioglimento dell’8 settembre 1943. Nelle bande si entrava e si usciva, si respirava un’aria di libertà che ne faceva, come scrisse Guido Quazza, un “microcosmo di democrazia diretta”. Era una realtà che aveva alle spalle il carattere “volontario” della scelta partigiana. È vero: quelle stesse cifre che circoscrivono a una minoranza di italiani e italiane la militanza nella Resistenza ci dicono anche che mai, mai, nella storia italiana, nel Risorgimento e tantomeno nella Prima guerra mondiale, così tanti uomini e donne avevano scelto volontariamente di impugnare le armi, scrollandosi di dosso venti anni di conformismo, di disciplina, di gerarchia, di obbedienza; mai un gesto di disobbedienza era stato così “di massa”, affollando quella minoranza di gesti e di azioni che già solo per questo possono definirsi “eroiche”.

Un altro esempio. I partigiani commisero molti errori, pagando un prezzo altissimo alla loro ingenuità così da soccombere spesso nei confronti di una Wermacht che, ricordiamolo, era la più poderosa macchina da guerra schierata in battaglia da uno Stato europeo. Ma proprio per questo l’efficacia militare delle loro azioni fu una sorta di miracolo organizzativo. I partigiani impararono a combattere combattendo. A ogni rastrellamento superato imparavano qualcosa in più, a sbandarsi e a ricomporsi, ma anche che il mito dell’invincibilità dei tedeschi si poteva sfatare e che li si poteva sconfiggere anche in campo aperto, come avvenne sul colle della Maddalena nell’estate del 1944, impedendo ai nazisti di sentirsi padroni del territorio.

Ancora un esempio. I partigiani furono “violenti”. Colombini ci propone le cifre della violenza nazifascista, contando 5.862 eccidi, con 24.384 vittime, delle quali il 53% civili, il 30% partigiani. Era una violenza brutale esercitata “non solo perché esistevano i partigiani, ma perché l’unica legge da applicare era quella della sopraffazione”. Era una violenza di proporzioni agghiaccianti, anche questa senza paragoni con il passato, visto che mai sul nostro territorio nazionale un così grande numero di civili inermi aveva trovato la morte in azioni belliche sul terreno. Ma non era solo questione di cifre; la differenza era qualitativa e non solo quantitativa. La violenza partigiana fu soprattutto una scelta individuale; dopo l’8 settembre 1943 impugnare le armi voleva dire entrare in una terra di nessuno dove si andava solo per uccidere o farsi uccidere. Un territorio estremo, per un gesto estremo: quelle armi certificavano la riconquista della propria autonomia, della propria sovranità, un appuntamento con la storia che segnò per sempre le biografie di quegli uomini e quelle donne. A tutti e a tutte l’Italia deve il proprio riscatto, una ricostruzione “miracolosa”, una Costituzione che con i suoi valori impronta ancora oggi il nostro patto di cittadinanza. 

21 aprile 2021

Neroinchiostro di Sara Vallefuoco

 


Serra, martedì 4 luglio 1899

Sul confine mattutino dell’insonnia che da dieci giorni affligge la stazione dei Carabinieri Reali di Serra, qualcuno fa risuonare i tacchi avanti e indietro per il corridoio senza decidersi a bussare né ad andarsene. Con i nervi ormai scortecciati, Ghibaudo si alza per non uscirne pazzo.

E' stata una piacevole scoperta, questo romanzo di Sara Vallefuoco, un giallo ambientato negli ultimi anni dell'800 che è una storia di sangue e di vendetta, ma anche di quei cambiamenti che covavano nell'aria in quegli anni di transizione.

Transizione nei costumi, nel ruolo della donna nella società, nella mentalità delle persone e perfino nella scienza forense che abbandonava le teorie lombrosiane per avvicinarsi alla moderna tecnica delle impronte.

Mi è piaciuta anche la scelta, quasi spaesante all'inizio, di far entrare il lettore non all'inizio dei fatti, ma un attimo dopo: nel paese di Serra, uno dei tanti nella Sardegna orientale, i carabinieri della locale caserma vengono coinvolti in una operazione per liberare un ostaggio, il signore Michele Mosu.

Operazione dove uno dei carabinieri del gruppo, il brigadiere Marasco, è rimasto ferito, colpito ad una spalla da un brigante nel tentativo di proteggere il collega vicebrigadiere Ghibaudo e ora giace in un letto, in preda ad una febbre che non scende.

Ma questi fatti (e non solo) li apprenderemo man mano nella lettura che comincia con una denuncia ricevuta ai carabinieri della caserma da parte di un furto nella casa di Lianora, la vedova di Mosu.

Non si tratta di un furto e basta: dentro la stalla, accompagnato dal garzone della casa Anania, Ghibaudo trova anche il cadavere di un uomo, accoltellato.

Dio santo, ha gli occhi e la bocca aperti. Nessuno dovrebbe morire con la bocca aperta, pensa Ghibaudo..

Le indagini dei carabinieri non sono facile: questa è una terra dove non si cerca giustizia dallo Stato che qui è rappresentato dagli uomini in divisa, la giustizia arriva dalla vendetta contro chi ha fatto il torto e i fatti e le storie dietro non vanno raccontate ad estranei. Come questi carabinieri che poi arrivano da tutta Italia e fanno fatica a comprendere il dialetto, quel dire senza parlare.

Ghibaudo è piemontese, Marasco arriva dalla Toscana e Sgrelli dalla Sicilia, l'altro brigadiere Moretti da Roma, dove spera di tornare, magari aprendo anche il primo gabinetto della scientifica dentro l'Arma.

Solo il collega Lai è uno del posto, ma non si capisce mai quanto ci si possa fidare.

L'indagine porta i carabinieri a conoscere alcuni poeti al volo, persone che inventano poesie sul momento alle sagre in dialetto sardo. Poeti come lo era il morto, Pittanu, e come lo è Melchiorre, forse il migliore di loro.

«Melchiorre è il migliore. Quando arriva lui la gente si frega le mani, perché sa già cosa farà: lui dirà tutto quello che gli altri non osano dire ai potenti, ai ricchi, ..»

Ma tra i primi sospettati c'è proprio il giovane Anania, suo è il coltello che ha ucciso Pittanu: ma quando anche Anania viene pugnalato, proprio in cella, Ghibaudo e i colleghi capiscono c'è un'unica mano, dietro questi delitti e che per risalire all'assassino bisogna scoprire cosa legava tra loro il ragazzo e i due poeti al volo, Melchiorre e Pittanu.

Un legame che porta ad una vecchia strage, a tanto sangue versato per terra, a delle lettere di minacce con delle strane sbavature come “come scie di cometa ”, ad un signorotto abituato a compiere i suoi soprusi e al desiderio di vendetta di un ragazzo che non poteva essere “balente” come gli altri e che per questo aveva deciso di imparare a leggere.

«La sua vendetta è per Neroinchiostro.»

C'è l'indagine, che si svolge dentro le stanze della caserma e dentro la macchia dei boschi attorno a Serra. Ma c'è anche il dolore che si porta dentro il vicebrigadiere Robespierre Ghibaudo: è un dolore che arriva da lontano, dal suo sentirsi fuori luogo, inadeguato.

Perché prima di tutto Ghibaudo si porta dentro un segreto inconfessabile in quegli anni (e purtroppo anche oggi) e in quel mondo, dell'Arma: l'essere attratto dagli uomini e non dalle donne, come l'amico Ernesto, figlio del conte con cui giocava da bambino o come il collega Marasco con cui ha passato tante serate a giocare a scacchi.

Non è facile, in un mondo profondamente maschilista, non poter esternare i propri sentimenti, non poter reclamare una carezza da un amico, come magari due donne possono fare.

Ma nemmeno per le donne la vita è facile (lo è di più oggi?): ne sa qualcosa Amelia, la figlia del dottor Spano, che accudisce tutte le notti il carabiniere ferito

«Esistono altri progetti, per una donna? Moglie, madre, al limite aiutante di banditi latitanti, non c’è molto altro da queste parti» dice Ghibaudo.
Amelia stringe i denti e indurisce le mascelle. Ha un viso ossuto.

Amelia vuole diventare medico, una delle prime donne medico in Italia (tra queste Maria Montessori), in quell'Italia dove alle donne era negato il voto e una vera emancipazione. Strano rapporto quello tra Ghibaudo e Amelia, così diversi ma così uguali, e più non voglio aggiungere.

Quest'indagine così strana e così difficile, tra poeti che raccontano storie che forse possono dire qualcosa, donne fiere e dure come Lianora, arriverà alla fine, utilizzando per la prima volta forse anche questo nuovo strumento, le impronte. E per la prima volta, anche in questa zona del regno Sabaudo, sarà resa giustizia ai morti, anche se non del tutto innocenti, usando la legge, denunciando fatti alle autorità. A cosa serve, si chiede un popolano di Serra:

«Servirebbe a seminare la giustizia che non sparge sangue, né innocente né colpevole. Se non raccoglieremo i frutti noi, che almeno li raccolgano i nostri figli.»

Buona lettura!

La scheda del libro sul sito di Mondadori

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

20 aprile 2021

Report – 19 aprile: il virus, i vaccini e le sue varianti

 La stazione sperimentale di Chiara De Luca

Perché gli imprenditori del settore agricolo devono versare un contributo ad una fondazione privata, poco trasparente, chiamata Stazione Sperimentale delle conservealimentari?

La stazione svolge una funzione di ricerca, analisi e formazione, ma nessuno lo sa, perché molte delle imprese pagano il contributo annuo e basta, come fosse una tassa.

La stazione sperimentale era stata abolita, poi è diventata una fondazione e non deve rendere conto a nessuno della ricerca che fa, a Parma.

Ci sono aziende che si sono rivolte alla “stazione” per un parere, non ricevuto, dopo di cui hanno ricevuto il bollettino da pagare.

Come viene calcolato il contributo? Perché la sede è a Parma?

Ad essere penalizzate sono le aziende con tanti dipendenti in regola, cioè le cooperative con molti soci rispetto ad una azienda fortemente capitalizzata e con molti macchinari.

Come spendono i soldi alla stazione sperimentale?

L'ente è stato commissariato dal prefetto, perché incapace di spendere e gestire i fondi, un problema di gestione che ha causato un buco dentro cui si è infiltrata anche la criminalità organizzata.

C'è una sovrapposizione di competenze tra camera di commercio e fondazione anche questo è un qualcosa da sanare: presidente e membri sono scelti dalla camera di commercio, che non ha scelto bene, perché, come si è detto, nelle maglie del controllo molto larghe, sono stati elargiti contributi ad aziende in mano alla criminalità.

La foglia di fico dell'OMS di Giulio Valesini

Come ha fatto l'OMS a trasformarsi a foglia di fico del governo italiano?

A questa domanda Ranieri Guerra, direttore aggiunto all'OMS non ha risposto: si tratta della censura del rapporto dei ricercatori veneziani diretti da Francesco Zambon, poi ritirato dopo solo un giorno.

Dietro il ritiro del rapporto, critico contro il governo, si è mosso Ranieri Guerra, della censura sapeva il direttore Brusaferro e, racconta Report, anche il ministro Speranza sapeva.

Speranza sapeva dunque e ora si trova in una situazione delicata, in mezzo tra i vertici dell'Oms, i cittadini italiani che vorrebbero sapere, come anche la procura di Bergamo, se si poteva fare qualcosa per prevenire l'ondata di pandemia dello scorso marzo.

Lo scorso maggio Ranieri Guerra prende contatto con Speranza e il suo portavoce, Zaccardi, per far morire il rapporto, in accordo col direttore Tedros.

Perché Speranza ha preferito la strada dell'adulazione rispetto alla scelta di sfruttare quel rapporto, scritto in modo libero e onesto, per affrontare meglio il Covid?

Anche perché ora, nonostante la censura, nonostante gli sforzi di Ranieri Guerra, la verità è venuta a galla.

La vaccinazione in Lombardia – aria fritta di Claudia Di Pasquale

La vaccinazione è uno strumento importante per un ritorno alla normalità, anche in Lombardia. Per questo in regione sono cambiati due portali per la prenotazione, un assessore, è arrivato un consulente come Bertolaso.

All'inaugurazione dell'hub di Malpensa lo scorso 31 marzo erano presenti il commissario Figliuolo, il capo della protezione civile Curcio accompagnati dal consulente della regione Lombardia Bertolaso.

Nella conferenza stampa il generale-commissario racconta ai giornalisti che, sì, le cose non vanno tutte bene, ma, come rimarcato dall'assessore Moratti, “siamo sulla strada giusta”, sono stati fatti degli errori ma li stiamo rimediando.

E le polemiche sono “stucchevoli”, tiene a precisare il presidente frontman Fontana, “polemiche che non sono degne di un paese come il nostro”.

LE polemiche sono quelle sul portale realizzato da Aria, per le prenotazioni delle vaccinazioni: i problemi sono stati notati da tutti quando dovevano arrivare i messaggi di avviso.

Claudia Di Pasquale è andata ad incontrare Mario Tacca, registrato a metà febbraio sulla piattaforma di Aria, dopo un mese ha ricevuto un messaggio con la data e il luogo della vaccinazione. A Casalmaggiore: “sono rimasto allibito, ho l'ospedale qui a due passi, è una cosa da manicomio.” Da Crema, dove abita il signor Mario, a Casalmaggiore sono circa 90km.

A Malnate, Varese, abita il signor Vasini si è registrato a febbraio e il messaggio è arrivato un mese dopo, per Cremona. Dopo che la notizia è arrivata ai giornali, il signor Vasini è riuscito a vaccinarsi a Varese.

Il sistema di vaccinazione ha sparpagliato gli anziani in giro per la regione. A Codogno, dove è partita la pandemia, abita il signor Giuseppe Cigolini, di 83 anni: abita a due passi dal centro vaccinale, ma è stato mandato dalla regione a Soresina, col suo carrozzino, piano piano.

Il sindaco di San Bassano è andato a prendere gli anziani direttamente a casa pur di farli vaccinare, col furgoncino dei servizi sociali: anziani di oltre 90 anni a cui non è mai arrivata la risposta dalla regione dopo la prenotazione.

Un centinaio di insegnanti di Mantova sono stati mandati a Crema: questi insegnanti hanno poi rinunciato, così in quel giorno a Crema hanno fatto zero vaccini.

Altri episodi simili sono capitati a Como, Monza, Varese e Cremona: hub che rimangono deserti, con i volontari che si accorgono che nessuno arriva. Perché Aria non ha avvisato che i cittadini dovevano presentarsi in quel posto a quell'ora.

Così l'ATS ha chiesto aiuto ai sindaci: il sindaco di San Bassano è andato a prendere gli anziani direttamente a casa pur di farli vaccinare, col furgoncino dei servizi sociali: anziani di oltre 90 anni a cui non è mai arrivata la risposta dalla regione dopo la prenotazione.

Anche le ASL hanno preferito bypassare il sistema di prenotazione, chiamando direttamente i cittadini con un call center di volontari.

A Milano invece è accaduto il contrario, sono stati chiamati per errore un numero elevato di anziani per le vaccinazioni che sono rimasti in coda all'aperto per ore in attesa: sono partite così le polemiche contro ARIA e contro il suo CDA, costretto alle dimissioni da Fontana.

Il referente tecnico, Lorenzo Gubian, ex dirigente veneto ora è amministratore unico di Aria: è lui che aveva garantito l'ex CDA che non c'erano problemi sulla piattaforma.

Cosa è successo veramente in Lombardia? E' solo colpa dei tecnici di Aria? A gennaio Poste propone alla regione tre piattaforme per la prenotazione, dove il cittadino poteva scegliere luogo e data, mentre il comitato di crisi (quello di Bertolaso) preferiva un portale di adesione.

Poste non era pronta a modificare i suoi portali, così a dieci giorni dall'inizio della campagna di vaccinazione, Bertolaso molla la patata bollente ad Aria.

Mettere in piedi un portale per l'adesione, un call center per rispondere agli utenti. E alla fine si prende tutte le responsabilità e gli strali di Bertolaso, Moratti e Fontana.

Bertolaso è stato uno dei primi a criticarne la scelta, racconta oggi. Di fronte alla giornalista si lascia però andare: “quando leggo che è stato Bertolaso che ha voluto Aria, che ha insistito per Aria .. io fino ai primi giorni di questo febbraio conoscevo l'Aria che respiriamo, l'aria che tira come trasmissione, conoscevo l'aria fritta, come modo di dire romano...”

Ma nel documento redatto dal direttore di Aria Spa Gubian c'è scritto che il 7 di febbraio Bertolaso, dopo aver visto il sistema di Poste, decise di affidare ad Aria il servizio di prenotazione (costato 18 ml di euro, soldi nostri).

Chi ha deciso di affidare le prenotazioni ad Aria se non è stato lei?” - è la domanda fatta a Bertolaso.

Sentiamo l'audio della famosa riunione del 7 di febbraio, ascoltate quell'audio, così verba volant, parola invece si capisce.. ”

E chi ha deciso di anticipare la campagna vaccinale dal 1 marzo al 18 febbraio?

Bertolaso non risponde. Fontana non risponde: “le interviste si chiedono e si concedono” la blocca una persona dello staff del presidente. Peccato che poi le interviste non vengono concesse.

In dieci giorni non si poteva mettere in piedi un portale come voleva la regione, spiega l'ex consigliere Mazzoleni. Aria SPA è subentrata a Poste, grazie ad una delibera di giunta firmata da Fontana e dalla Moratti ai primi giorni di febbraio: quando le polemiche sono esplose, la regione ha poi cestinato Aria (e i suoi 18 ml in parte saranno pagati dai lombardi) per tornare ad Aria.

Chi risponderà dei disguidi, delle persone che si sono prenotate e non sono state contattate, di persone che sono state vaccinate senza averne veramente diritto (come i professori universitari, che non facevano lezione in presenza, ma anche dottorandi).

La regione ha stanziato 48ml di euro per coinvolgere le strutture private, come CDI, Humanitas. Poi c'è stato il via libera alla vaccinazione, anche senza prenotazione, possibilità poi smentita da Bertolaso.

Tutto per poter fare l'annuncio “abbiamo vaccinato tutti quelli che si sono prenotati su Aria”, ma al costo di far fare code infinite a persone anziane, anche sotto la pioggia.

Ma non è vero: non tutti gli ottantenni sono stati vaccinati in regione, pur essendo registrati al portale di Aria.

In regione abbiamo superato i 32mila morti, alcuni di questi potevano essere salvati se solo la campagna vaccinale fosse stata fatta cercando di proteggere gli anziani.

“Abbiamo lasciato indietro una parte della popolazione fragile, avvantaggiando una parte di categorie che non ne avevano bisogno”, racconta il figlio di una di queste vittime.

C'è poi la questione dei disabili gravi: ci sono persone con disabilità riconosciute che non sono riuscite a prenotarsi, perché al portale non sono arrivati i dati dalle ATS.

Persone sconosciute al portale, per un problema di informatizzazione degli elenchi di persone che avevano una invalidità vecchia.

Di chi è la colpa?

Per aiutare la vaccinazione delle persone con disabilità la Moratti ha istituito la figura del vax manager, uno per ogni ATS.

Ma cosa fa un vax manager? Le persone si trovano di fronte a numeri a cui nessuno risponde, medici di base che non sanno, portali che non funzionano.

Certo, come dice l'assessore Locatelli, è una situazione di emergenza. Ma è passato un anno, ci si poteva preparare meglio.

Di certo la Corte dei Conti ha bacchettato la regione Lombardia, per la gestione allegra dei conti, per le tante consulenze. Ma Fontana ha deciso di non rispondere alle domande di Report, perché c'è un contenzione civile con la trasmissione.

La situazione in Brasile – varianti pericolose – di Manuele Bonaccorsi

Fermare il virus coi vaccini è importante, perché ci si rischia di arrivare a nuove mutazioni resistenti a questi. In Brasile ci sono 3000 morti al giorno, ci sono sepolture senza nome, con solo la croce.

A Manaus ci sono stati 6000 morti in questa seconda ondata, hanno dovuto disboscare una foresta per creare spazio per i morti: questa città sta al centro dell'Amazzonia, la seconda ondata ha piegato il sistema sanitorario, gli ospedali sono rimasti senza ossigeno e i malati di covid sono stati lasciati morire, senza cure.

La famiglia Lavareda è una delle tante colpite dal virus: cinque morti in pochi giorni. A gennaio pensavano di aver visto il peggio e che fosse alle spalle. Pensavano di essere arrivati all'immunità di gregge, ma poi si scoprì che il virus era mutato, dopo il sequenziamento di due malati di Manaus che erano arrivati in Giappone.

Così chi si era già ammalato poteva ammalarsi nuovamente perché il virus mutato era più aggressivo: l'assenza di un vero piano di sequenziamento ha impedito in Brasile di riconoscere la variante, a questo si è aggiunto il fatto che nel paese non ci sono divieti di spostamento.

A San Paolo, la città più grande del Brasile, al centro di primo soccorso non si riesce ad intubare tutti i malati quando peggiorano, e così devono essere trasferiti negli ospedali, ma mancano posti liberi per la terapia intensiva. Così i malati con crisi respiratorie rimangono in un'area di internamento anche per 72 ore.

Il governo di Bolsonaro aveva detto che il vaccino non serviva, che la mascherina non serviva, che il lockdown non serviva, e così la situazione è peggiorata, racconta un medico di questo primo soccorso a San Paolo.

Bolsonaro ha dato priorità all'economia rispetto alla salute, senza preoccuparsi delle vittime– racconta l'ex ministro della salute a Report – cavalcando tesi antiscientifiche.

L'ex ministro Mandetta aveva proposto misure di lockdown, senza le quali in Brasile ci sarebbero state 180mila morti in un anno, ma Bolsonaro lo ha sostituito mettendo al suo posto un altro medico che dopo venti giorni si è dimesso pure lui, alla fine hanno messo come ministro un militare, senza competenze.

Così oggi a San Paolo nei grandi ospedali non hanno un posto libero, solo se qualcuno muore si libera, ma dietro ci sono cento, duecento persone in lista.

Persone giovani, senza malattie pregresse: è questa la nuova variante brasiliana che colpisce anche persone sotto i nove anni e oggi le terapie intensive sono piene in maggior parte da persone sotto 40 anni.

Nessun distanziamento, nessun lockdown, pochi vaccini, questo ha consentito al virus di circolare liberamente e di mutare. Diventando resistente agli anticorpi sviluppati nella prima fase e anche ai vaccini.

La variante brasiliana sta mutando anche adesso in una forma simile a quella sudafricana: quest'ultima sarebbe resistente anche al vaccino di Pfizer.

In Brasile usano il vaccino cinese Coronavac, prodotto in Brasile a San Paolo dopo un accordo con la Cina: solo i cinesi hanno voluto trasferire la tecnologia in Brasile, peccato però che questo vaccino sia poco efficace con le varianti.

Dovremmo svincolarsi dal principio di brevetto, per consentire a quanta più gente possibile di vaccinarsi, non ci salveremo solo noi occidentali se non fermiamo la pandemia anche in Amazzonia, in Africa, nei luoghi lontani da noi.

E poi serve il sequenziamento dell'RNA del virus, cosa che noi in Italia non facciamo a sufficienza.

Perché è un attimo importare il virus dal Brasile, basta fare scalo a Parigi, così in Italia non serve nessuna quarantena. Basta avere un passaporto europeo, una auto-dichiarazione e via. Nessun controllo all'aeroporto di Parigi e nessun controllo a Fiumicino.

Questo fino a marzo, oggi la Francia ha chiuso i voli dal Brasile e in Italia il ministro Speranza ha imposto una quarantena a chi arriva dal Brasile.

Ma è stato troppo tardi, la variante era già arrivata in Italia.

A Magione in Umbria si sono trovati duecento casi di malati a gennaio: non avevano capito come aveva fatto arrivare fin lì la variante brasiliana. In questo paese persone già ammalate dal coronavirus hanno preso poi la variante brasiliana e sono finite in terapia intensiva.

In Umbria ci sono stati casi di persone contagiate sebbene già vaccinate, così in Umbria salta il tracciamento e non si riesce a fare il sequenziamento del virus.

A febbraio viene fatto il sequenziamento dei tamponi scoprendo così l'arrivo della variante brasiliana in Umbria: si poteva fare prima l'analisi del campione?

Il ministero aveva invitato a fare subito sequenziamenti per i casi di re infezione, ma all'istituto superiore di sanità non hanno seguito questo invito, così si è perso tempo per scoprire la variante e la regione Umbria è diventata zona rossa.

Ora tutta l'attenzione mediatica si è concentrata sui vaccini, ma per scoprire e fermare le varianti del virus e per tracciare gli infetti servono i tamponi, ma anche questi non bastano, serve fare il sequenziamento del virus.

Ma l'Italia su questo è indietro, solo pochissimo tamponi vengono sequenziati: Report è entrata nel laboratorio dell'ospedale Sacco di Milano, dove c'è tutta l'apparecchiatura per estrarre l'RNA del virus.

Sono macchinari che costano 100mila euro, al Sacco ne hanno tre e ciascuno carica da 48 a 60 tamponi: volendo potrebbero sequenziare almeno 100 tamponi al giorno, ma ne fanno molti meno perché mancano i fondi per fare questo, racconta la ricercatrice Alessia Lai al giornalista.

E' un procedimento costo, si parla di 100 euro a genoma e nonostante la pandemia, le morti e le infezioni, non c'è stato lo sforzo per investire su questo: ci sono state parecchie donazioni più che sovvenzioni statali.

In Inghilterra per fare i sequenziamenti hanno istituito un consorzio, con fondi pubblici, dove hanno scoperto proprio la variante inglese: il consorzio è l'unione di istituzioni pubbliche e private, che riesce ad analizzate almeno il 10% dei tamponi fatti.

Il governo inglese ha investito 20ml di sterline: in Italia si è fatto un consorzio, dove però dentro troviamo persone che non hanno mai fatto tamponi, dall'annuncio di Brusaferro a gennaio sono passati mesi e le varianti galoppano.

Stiamo correndo un rischio – spiega Crisanti – se non fai sequenziamento non sai se stai vaccinando persone con varianti.

In Inghilterra hanno sequenziato 196mila tamponi, noi solo 14 mila. Anche questo spiega la differenza tra noi e loro.

La strage del Moby Prince di Adele Grossi

La procura di Livorno ha riaperto il processo sulla strage del Moby Prince, dove sono morte 140 persone. Nessuna nebbia, nessun errore del comandante, nessuna distrazione.

Invece un mozzo difettoso, un ente certificatore distratto (il Rina) e che ha consentito diversi rinvii per l'applicazione delle prescrizioni, una assicurazione che liquida subito e a processo in corso l'armatore di Navarma a costo di polizza e non di perizia.

Navarma sapeva che la petroliera della Snam (società partecipata) era ormeggiata dove non doveva, poteva fare un processo contro la Snam.

Invece la storia è andata in modo diverso: lo stato ha stretto un rapporto con Navarma, dell'imprenditore Onorato a pochi mesi dalla strage.

Il governo italiano già nel 1994 firma un accordo con Navarma per il G7 a Napoli.

Onorato incassa contributi dallo stato senza pagare i soldi della concessione.

Come mai? Come mai la convezione con lo stato è scaduta, per i viaggi per la Sardegna, e Moby continua a lavorare? Come mai i vari governi si sono dimenticati di mettere a gara la concessione?

Forse per le donazioni generose ai partiti?