30 giugno 2023

Il più grande inganno di questa destra

Il più grande inganno del diavolo è stato quello di far credere al mondo che lui non esiste- Baudelaire 

Parafrasando Baudelaire, potremmo dire oggi che il più grande inganno di questa destra italiana è stato il voler farci credere che sia patriottica.

Perché non è cosi: quando si rende il lavoro sempre più fragile, precario, povero, non si sta difendendo l'interesse degli italiani.

Quando si punta sui condoni, sulla defiscalizzazione dei ceti abbienti, quando si fanno le leggi per i furbetti, non si difende l'interesse nazionale.

Si difende l'interesse di pochi, secondo un'ideologia per cui il paese deve essere diviso in classi, chi sta sotto e chi sta sopra.

Alla marchese del Grillo, per intenderci.
Basta servizio pubblico universale garantito per tutti, basta sanità, scuole, asili nido. 
Eppure questo inganno funziona ancora, almeno a guardare i dati delle elezioni.

27 giugno 2023

L'ora della verità - I-Tigi e il dovere della memoria

ITigi siamo noi, ogni volta che voliamo - si chiudeva con queste parole la rappresentazione teatrale di Marco Paolini su Ustica, l'abbattimento dell'areo della compagnia Itavia IH 870 sui cieli del Tirreno. Tra Ponza e Ustica.

Sono importanti queste parole: anno dopo anno abbiamo rischiato di abbandonare questa tragedia, in cui sono morte 81 persone, all'oblio, di dimenticarcene. Per questo Paoloni nel suo teatro parla di I-Tigi e non di Ustica, per non ridurre questa storia ad una sola questione geografica (come Piazza Fontana, Brescia..).

I Tigi siamo noi, dunque, come le persone salite a bordo dell'areo la sera del 27 giugno 1980 a Bologna e morte nell'esplosione in volo, perché l'aereo finì al centro di una battaglia nei cieli del Tirreno, i cieli che la nostra aeronautica avrebbe dovuto proteggere.

Ogni anno, ad ogni anniversario, escono nuovi scoop, nuove prove sui responsabili della strage che alla fine finiscono nel nulla: questa volta tocca a Giovanardi, portavoce della teoria della bomba fatta esplodere da un commando di palestinesi.

Teoria già confutata per due motivi: il ritardo nella partenza del volo da Bologna e l'aver ritrovata quasi intatta, la tazza del water.

Dunque perché si ritorna a parlare della bomba? Per distogliere l'attenzione dagli scenari di guerra che, secondo la ricostruzione del giudice Priore, hanno portato all'esplosione dell'aereo.

Guardate, dietro la tragedia di Ustica, o dei Tigi, c'è una parte della nostra storia che abbiamo voluto dimenticare: il mondo divisi in blocchi, gli scontri tra USA e la Libia di Gheddafi (quando Carter cercava di rilanciare la sua immagine con operazioni di politica estera), tra la Francia di Giscard e Gheddafi per la storia dei diamanti.

L'Italia era, come sempre, in una posizione politica ambigua, ufficialmente nel blocco occidentale ma anche in buoni rapporti con la Libia del colonnello Gheddafi, secondo l'azzeccata metafora della moglie americana e dell'amante libica.

La storia dei Tigi è una storia di verità che non si possono dire, di nastri radar spariti, di documenti persi: "non abbiamo visto niente dunque non abbiamo niente da dire" questa era la posizione dell'aeronautica, quell'areeo dell'Itavia era esploso da solo, in volo, senza nessun aereo accanto.

Ma non era vero: la verità è arrivata anche grazie al crollo del muro, quando l'Italia ngli anni novanta la posizione dell'Italia era diventata meno strategica nello scontro est-ovest.

Accanto all'aereo di linea c'erano altri aerei, i radar anche quelli della difesa avevano visto aerei che non avrebbero voluto vedere: arei militari che dopo l'esplosione volavano col trasponder spento, arei che "razzolavano" sul mare, ovvero decollavano da una portaerei.

Quelle 81 morti non hanno potuto avere giustizia: la difesa, i servizi, avrebbero dovuto ammettere del fatto che rispondevano più ad interessi sovranazionali, come quelli Nato.

La politica avrebbe raccontare agli italiani che eravamo un paese a sovranità limitata.

Sarebbe ora di raccontarla tutta questa verità (come chiede il presidente Mattarella), di mettere sulla mappa quelle bandierine, una democrazia che vuole essere credibile nei confronti dei cittadini non deve aver paura della verità.

Se posso consigliare un libro, sempre che abbiate voglia di approfondire, sempre che lo troviate ancora, A un passo dalla guerra di Andrea Purgatori, Daria Lucca e Paolo Miggiano: in forma di romanzo, racconta la battaglia nei cieli attraverso lo sguardo del presidente del Consiglio, insediatosi a capo di un governo tecnico a fine luglio del 1980.

Ingenuamente forse, sicuramente con l'obiettivo di fare chiarezza su quanto accaduto e non farsi prendere in giro (dai militari, dall'ambasciatore americano..), cerca di capire cosa è successo quella notte sui nostri cieli.

Il libro dei tre giornalisti fu scritto nel 1995, nei mesi della sentenzia di rinvio a giudizio del giudice Priore: racconta una verità, plausibile, non certa sicuramente, ma il contesto storico è ben raccontato.

In quell'estate del 1980 nel Mediterraneo si è combattuta una battaglia con aerei francesi, americani, libici. In volo c'erano anche aerei italiani (per sorveglianza?) tra cui i due piloti delle frecce tricolori Naldini e Nutarelli, morti in un incidente a Ramsteim.

Quella notte siamo stato ad un passo dalla guerra.

“Prova a immaginare di trovarti sospeso proprio al centro di questa diapositiva. Ecco: da quel punto d’osservazione faremo insieme una discesa verticale e ragionata verso la superficie del mare. In questo caso, il mar Tirreno. Esattamente fino a dove è precipitato il DC9, la sera del 27 giugno. ”

L’Ammiraglio prese una stecca da biliardo che era poggiata al muro. La impugnò, la alzò a mezz’aria in direzione dello schermo, sempre continuando a fissare la diapositiva.

“E a mano a meno che il livello del tuo punto di osservazione tenderà ad abbassarsi, si restringerà anche il campo visivo. Insomma: vedrai meno cose insieme ma più chiaramente. Forse così riusciremo a capire cosa è accaduto quel giorno … ”.

L’Ammiraglio poggiò l’estremità della stecca da biliardo in mezzo al mare tra Ponza e Palermo: lì da qualche parte doveva esserci l’isola di Ustica. Poi si voltò verso il presidente.

“.. e perché siamo stati a un passo dalla guerra”.

Report – i resti dell’emergenza e il crollo del ponte Morandi

LE SCORIE DEL COVID di Lorenzo Vendemiale

Lo stato italiano sta pagando le mascherine di FCA anche dopo la produzione, paghiamo le macchine di FCA che non stanno più producendo nulla (costo di circa 600mila euro)

Paghiamo anche l’affitto di stabilimenti di SDA contenenti vecchi dispositivi medici (comprati magari a caro prezzo durante l’emergenza) che oggi non servono più.

L’eredità della struttura commissariale è di circa 3 miliardi di dispositivi, il valore complessivo è di circa 600ml, il costo dell’affitto che paghiamo a SDA è di 85ml: molto del materiale (come le mascherine) è in scadenza e il governo sta cercando di regalarlo ad enti di volontariato o scuole, che però ne hanno fin troppe.

Le scuole avevano scritto alla struttura commissariale per interrompere le forniture, che arrivavano anche dopo l’emergenza: purtroppo non possono nemmeno smaltirle, perché sono rifiuti speciali. Altro che nuove mascherine, le scuole vogliono solo che qualcuno se le venga a prendere.

Verranno bruciate le mascherine? Purtroppo rimane l’unica soluzione, perché non si riuscirebbe a riciclare nulla.

LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO di Danilo Procaccianti

Dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, il presidente del Consiglio Conte e altri politici proposero la revoca della concessione ai Benetton, per inadempienza. Passati cinque anni, Report ha raccontato la vicenda del ponte prima e dopo il crollo che causò la morte di 43 persone.

Si parla tanto di garantismo, dei diritti degli imputati, ma spesso ci si dimentica delle vittime e dei loro diritti: ora a stabilire se gli atti dei dirigenti di Atlantia e Aspi spetta ai giudici, dopo le indagini della Procura.

Quel ponte poteva crollare da un momento all’altro – racconta oggi il procuratore Cozzi, una frase che fa riflettere, visto che dopo il crollo Castellucci negò ogni responsabilità.

Non solo Spea fece azioni di bonifica dei computer, attuò ogni mezzo per impedire le intercettazioni, altro che collaborazione con la Procura.
L’ex responsabile della manutenzione di Aspi, Donferri, aveva contatti con generali in pensione per chiedere trattamenti di favore per Castellucci, per difenderlo dai giornalisti.
Infatti Castellucci nel giorno in cui andò in Procura a riferire fu scortato da alti ufficiali dei carabinieri.

Donferri chiede ai collaboratori di cancellare documenti in cui emergeva la cattiva documentazione dell’autostrada, insultando anche le persone che si sentivano in forte imbarazzo.
Oggi di fronte alle domande di Report, risponde che non è vero, c’è una indagine in corso .. come se le intercettazioni non esistessero (e ora si capisce come mai questo governo come tanti altri vuole bloccare la pubblicazione delle intercettazioni).
Perché era importante l’archivio documentale del ponte Morandi?
L’ingegnere Morandi, il costruttore, era consapevole del rischio dell’usura dei cavi di acciaio, per colpa dell’umidità: la corrosione dei cavi era noto da anni, ma Donferri liquidò le proposte di ricostruzione in malo modo. E alla fine Donferri è arrivato al numero due di Aspi.

Oggi è consulente di una società che si occupa di appalti e subappalti a Pomezia, anche in nero – racconta Report.

Il crollo del Ponte Morandi è emblema dell’Italia che si prende cura del bene comune, l’importante è incassare, tanto e subito, anche risparmiando sulla manutenzione, anche a rischio della vita delle persone.

Potrebbe essere l’ultima volta che sentiremo intercettazioni come quelle trasmesse da Report sui Benetton: se passa la riforma Nordio noi cittadini non sapremmo nulla.

Ma ci sono intercettazioni di Donferri che prendeva in giro le proposte di manutenzione: le riunioni non furono registrare dai magistrati ma dall’ex responsabile della sorveglianza di Spea, Vezil, forse per timore di prendersi responsabilità per colpa di altri.

Oggi nessuna delle persone indagate, Castellucci, Donferri, Berti dimostra un qualche rimorso, una forma di rimorso per quanto è successo, anzi, sono proprio i Benetton ad esprimere i giudizi peggiori nei confronti dei manager di Atlantia.

Nessun rimorso, nessuna voglia di chiarire di fronte ai giornalisti, nessuna parola anche a loro tutela: Castellucci è stato descritto dal GIP come una persona senza rispetto per le regole, nonostante prendesse uno stipendio da 400mila euro. Report ha scoperto che l’anno del crollo del Ponte ha avuto il picco dello stipendio, mentre ha preso una buonuscita da 13 ml, nonostante fossero note le sue responsabilità sulla cattiva manutenzione del ponte.
La certificazione del ponte arrivava da autocertificazione – racconta in una intercettazione Mion AD di edizioni Holding (la cassaforte dei Benetton): ma nonostante tutte le preoccupazione nemmeno Mion fece nulla, sebbene sia forse uno dei pochi in questa storia ad aver dimostrato un minimo di ammissioni di colpa.

Mion, Gilberto Benetton, Alessandro Benetton e altri sapevano di questa auto certificazione: potevo fare casino ma non l’ho fatto dice oggi Mion, per conservare il posto, forse.

A novembre 2020 vanno agli arresti domiciliari Berti e Castellucci per una inchiesta parallela: a soccorrerli arriva il solito Donferri, che sapeva che la resina usata per le barriere antirumore era non omologato.
Tutto pur di risparmiare, a Genova come ad Avellino nel viadotto dove sono morte 40 persone (per un pullman caduto dal ponte) nel 2017: bastava spendere 20mila euro per rimettere bulloni nuovi su quel ponte (che era in concessione ad Aspi) e non ci sarebbero stati dei morti.
Per quel crollo Berti è stato condannato in primo grado ma ora pende appello: ci sono delle intercettazioni su quel processo di Avellino dove si sente parlare di risparmi sulle opere di manutenzione, tutto per distribuire più utili ai Benetton.

Aspi era la gallina delle uova d’oro per i Benetton: nel 2016 avevano 3 miliardi liquidi, così ogni anno, potevano costruire un ponte ogni anno, per manutenzioni hanno speso meno del 10% dei soldi incassati dai pedaggi. Dal 2009 al 2019 hanno preso 6 miliardi di dividendi: una valanga di soldi, che ha snaturato la natura imprenditoriale della famiglia Benetton, perdendoci un po’ la faccia e la credibilità.

Il giorno dopo il crollo la famiglia Benetton non rinunciò alla grigliata di ferragosto: anche questo è stato un colpo per i familiari delle vittime, “hanno dato la sensazione di essere senza animaammette lo stesso Mion.

Alessandro Benetton ha scritto a Report una lettera dove parla delle sue critiche fatte alla gestione dei suoi manager, di aver ammesso le colpe in diverse occasioni.
Quando non avevamo tanti soldi avevamo tanta credibilità – ammette: ma chi gli ha consentito di gestire così l’autostrada? Report racconta delle colpe della politica, l’estensione della concessione fatta dal governo Prodi, senza che la politica mettesse dei limiti al concessionario, senza che si mettessero dei paletti ai Benetton,
costringendoli a fare degli investimenti programmati (a questo servivano i pedaggi).

Dopo il crollo del ponte il presidente Conte chiese la revoca della concessione, suscitando la reazione sdegnata dei garantisti all’italiana: purtroppo la concessione vigente aveva una postilla, siglata dal governo Berlusconi, che riconosceva un indennizzo ai Benetton anche in causa di inadempienza.

Il ministro Toninelli cercò di eliminare questa postilla per legge, ma l’iter fu fermato dal ministro Tria, tirando in ballo l’interesse dei fondi internazionali: e l’interesse dei familiari delle vittime?
Anche Salvini si dimostrò tiepido sulla revoca della concessione.

Alla fine cambia il governo Conte 1 e, soprattutto, cambia il ministro Toninelli che oggi racconta che Conte non ebbe abbastanza coraggio né nel difendere il suo ministro e nemmeno nel portare avanti un contenzioso coi Benetton.

Con la nuova maggioranza entrano nel governo PD e Italia Viva di Renzi che non vogliono sentir parlare di revoca e così si inizia a parlare di accordo coi Benetton: la famiglia inizia a tessere i rapporti con Renzi, i 5 stelle, col PD. Con chi hanno interloquito i Benetton?

Sappiamo che alla fine si arrivò all’accordo nel 2020, in cui i Benetton vendono la società a CDP, senza stabilire il prezzo di vendita. Che era la soluzione che volevano i Benetton, che in una intercettazione dicevano che l’unico modo per salvare Atlantia era uscire da Aspi. Coi soldi dello Stato.

Lo Stato italiano nella bozza dell’accordo firma una resa: lo Stato italiano scrive che non revocherà mai la concessione, anche se Atlantia decidesse di non vendere.
Alla fine i Benetton dal crollo del Morandi ci hanno pure guadagnato,
con 8,18miliardi di euro – racconta il giornalista Giorgio Meletti a Report.

Ora la struttura societaria di Aspi è una struttura complessa: altro che nelle mani dello stato italiano, ora è nelle mani di società tedesche, australiane, cinesi e americane. Società straniere che vogliono solo soldi, altro che manutenzione.
Allora, lo stato italiano ha fatto gli interesse degli italiani o dei fondi di speculazione stranieri? Oppure dei Benetton?

25 giugno 2023

Anteprima inchieste di Report – lo stato del paese, la manutenzione dei ponti, del territorio, le scorte delle mascherine

Report si occuperà del crollo del Ponte Morandi cinque anni dopo e dell’alluvione in Emilia Romagna oggi: l’Italia che non sa gestire la quotidianità, la manutenzione del territorio o dei ponti, dei viadotti, delle autostrade in concessione a privati.

Poi un servizio sulla memoria che manca in questo paese, quella che a fatica portano avanti i familiari delle vittime della strage di Ustica, infine un servizio sulle scorte delle mascherine che abbiamo comprato, durante l’emergenza

Il crollo del ponte Morandi

Cinque anni fa, nell’agosto 2019, crollava il ponte Morandi: 43 persone sono morte per colpa della cattiva manutenzione da parte del privato che ha gestito quell’autostrada in concessione.
Vi ricordate ancora i giorni all’indomani del crollo? Da una parte quelli che gridavano via le concessioni e dall’altra parte quelli che, no, basta con questo giustizialismo, dobbiamo aspettare i processi.. Ecco, oggi i
l processo ci dice che erano in tanti a sapere che quel ponte era malato: le accuse principali mosse dalla procura di Genova sono omicidio colposo plurimo, omicidio stradale e crollo doloso, il principale imputato è Giovanni Castellucci.


Ogni volta che a processo finiscono uomini legati al potere (politico, imprenditoriale..) si tira fuori la parola magica, garantismo: basta processo in piazza, basta con le gogne. E i diritti delle vittime di questa strage? E le famiglie delle vittime che hanno dovuto aspettare anni (e ancora ne dovranno aspettare) per avere forse uno spicciolo di giustizia?
Per il processo hanno montato un tendone dentro il Tribunale perché non c’erano aule capienti per i 59 imputati, il principale è Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia e di Atlantia, la società dei Benetton che controllava Autostrade. Per l’accusa gli imputati pur sapendo dei problemi del ponte non avrebbero fatto nulla. A parte incassare i profitti dai pedaggi.

Danilo Procaccianti ha cercato di avvicinare l’ex AD Castellucci chiedendo conto delle accuse che gli sono mosse, l’essere un uomo senza scrupoli, ma quest’ultimo ha preferito non rispondere.
Il GIP lo ha definito come un uomo dalla personalità spregiudicata e incurante del rispetto delle regole, eppure negli anni il suo lavoro è stato lautamente ricompensato, mediamente 400mila euro al mese. Report ha scoperto un’amara sorpresa: il massimo del suo stipendio l’ha raggiunto proprio nell’anno del crollo del ponte, quando prese più di 5ml di euro.

La scheda del servizio: LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO

di Danilo Procaccianti

Collaborazione Andrea Tornago

Sono passati quasi cinque anni dal crollo del Ponte Morandi che ha provocato 43 morti. Da qualche mese si è aperto il processo che vede imputate 59 persone tra cui l'ex amministratore delegato Giovanni Castellucci che si è portato a casa 13 milioni di euro di liquidazione. Poi i Benetton si sono resi conto che forse non era il caso e glieli hanno chiesti indietro. Del processo si parla poco ma stanno emergendo fatti importantissimi: il principale è che tanti, troppi sapevano che quel ponte era ammalorato e non avrebbero fatto nulla. Per la prima volta andranno in onda gli audio originali delle intercettazioni e si ascolterà in tempo reale il racconto di quello che succedeva dalle voci dei protagonisti. Nel frattempo, ci hanno detto che Autostrade è tornata allo Stato. È veramente così?

Cosa è successo in Emilia Romagna

Cosa è successo in Emilia Romagna tra il 16 e il 17 maggio?

In due giorni ha piovuto così tanto e in così poco tempo da portare all’allagamento di intere zone della regione: ma sono solo queste le cause del disastro (ambientale, sociale, industriale) che ci costerà diversi miliardi di euro oppure c’è anche dell’altro, come l’abbandono della manutenzione del territorio?

Sulla zona dell’appennino Romagnolo sono caduti fino a 250mm di pioggia su un territorio ancora fragile a causa della precedente alluvione dei primi di maggio. In 62 anni non aveva mai piovuto così tanto, inondando tutta la pianura romagnola, mentre le strade in collina sono sprofondate sotto l’impeto dell’acqua.

Report è andata sul territorio colpito, come nel comune di Santa Sofia, in provincia di Forlì Cesena: “è una zona che da sempre è fragile, a livello geologico, ma nessuno ricorda qualcosa di simile, sembra un terremoto” – racconta il sindaco, di fronte all’immagine del crollo delle strade, alle fratture dell’asfalto.

Ci sono zone che hanno tenuto bene – continua il sindaco – sono quelle dove negli anni si sono fatti degli interventi: in tutta la Romagna sono state registrate più di 800 frane, ma nella regione se ne erano registrate, prima dell’alluvione, già 80mi, la. Come gli smottamenti a Predappio alta, dove la frana ha scavato il terreno sotto le case: qui gli abitanti puliscono i fossi, fanno manutenzione come possono, ma qui dalla regione e dagli altri enti non arriva nessuno.
“Nel passato, coi patti agrari si scrivevano con grande puntigliosità quelli che erano gli obblighi di manutenzione” – racconta la geografa Paola Bonora a Report – “perché attorno ad ogni campo c’erano delle canalette che bloccavano il flusso dello scorrimento delle acque.”

L’abbandono dell’Appennino spiega in parte cosa sia successo a valle: un’onda di acqua, fango e alberi partita dalle montagne ha investito tutto il territorio perché i torrenti costretti dentro piccoli canali, con poca manutenzione non hanno retto all’urto.

Emblematica la storia raccontata dal coltivatore di kiwi Ivano Gagliani: “se i fiumi sono puliti l’acqua scorre senza problemi” racconta a Luca Chianca mostrando invece la situazione del fiume che costeggia il suo campo ora sommerso dal fango. Ma non c’è stata nessuna operazione di pulizia: dopo l’alluvione di inizio maggio si era accorto che un albero era franato nell’alveo del fiume, così aveva scritto alla regione, chiedendo che fosse rimosso. Ma è arrivata prima la seconda alluvione del 16, così l’acqua è arrivata in massa dal fiume, l’albero ha fatto da diga e ha deviato l’acqua sul campo. Per il coltivatore è una perdita stimata in 250mila euro, perché andrà rifatto tutto l’impianto e tre, quattro anni di mancata produzione.

Quando ha scritto in regione cosa le hanno risposto?

Hanno risposto a lei? A me non hanno risposto..”

Report ha sentito poi la versione della regione Emilia Romagna, intervistando la vice presidente Priolo: “è evidente che in un evento come questo emerga come la frammentazione normativa non ci aiuta in questi ambiti qua: la difesa del suo è del ministero dell’Ambiente, la pianificazione e programmazione dell’Autorità di Bacino che pianifica e programma il rischio alluvione. Noi diventiamo l’ente attuatore se però il piano viene finanziato, capisce che è complicato..”.
Ed è proprio all’Autorità del bacino del Po, che deve scrivere i progetti per contrastare questi fenomeni che il governo ha tolto 6ml di euro, prima dell’alluvione. Eppure è l’ente che ha lo sguardo completo su tutto il bacino Padano, dal Piemonte al delta in Romagna.
A cosa servivano i 6 ml tolti? – è stata la domanda fatta ad Alessandro Bratti, segretario dell’autorità di Bacino del fiume Po - “oltre che alle spese di consumo dell’energia, anche per dare come successo nel passato, qualche incarico di progettazione che per noi è assolutamente importante.”
Tra i progetti da finanziare c’era anche un progetto indirizzato alle aree colpite dall’alluvione, note da anni come zone fragili dal punto di vista del dissesto idrogeologico.
Il progetto, non le opere, arriverà a costare quasi 2,5-3 ml di euro: sono finanziamenti già presenti sulla parte straordinaria, spiega il segretario dell’Autorità Bratti, che però non si possono spendere prima di luglio “se li avessi avuti prima li avrei spesi dal primo gennaio.”
Insomma, è sempre un tema di risorse da assegnare sulla base di scelte politiche: soldi che potevano essere assegnati a progetti per la messa in sicurezza e trasformazione del territorio che l’uomo ha iniziato qui ben 2000 anni fa, coi romani. Quando le paludi nel corso dei secoli sono diventate terre coltivabili grazie all’azione dell’uomo.
“La gestione del territorio, dal dopoguerra ad oggi” continua Bratti “è stata una gestione improntata sulla massima produttività in agricoltura e una fortissima urbanizzazione che sicuramente ha dato ricchezza. Oggi quel tipo di sviluppo lì, in quest’area qua, a mio parere non regge più.”

In Emilia Romagna dalla fine della guerra ben tre generazioni hanno assistito alla cementificazione del suolo che è passato da 500km quadrati a quasi 2000 km quadrati. Strade, capannoni, case.

Lo racconta l’urbanista Piero Cavalcoli dirigente della pianificazione territoriale della provincia di Bologna “quello che abbiamo prodotto noi, di cui siamo responsabili, è di aver impermeabilizzato tre volte il territorio di quello che era dai tempi dei romani. Questo è un dato spaventoso.”


In provincia di Ravenna il suo consumato tra il 2017 e il 2021 è stato di ben 331 ettari, 83 ettari l’anno, il doppio degli anni precedenti.
Nel comune di Forlì proprio nel 2021 il consumo del suolo si è attestato al 16% più del doppio della media nazionale: Report mostrerà le immagini aeree dell’Ispra dove si vedono interi campi sparire, sepolti dal cemento. Solo nell’ultimo anno l’Emilia Romagna è la terza regione italiana per consumo di suolo.

La scheda del servizio: LA GRANDE MINACCIA

di Luca Chianca

Collaborazione Alessia Marzi

Tra il 16 e il 17 maggio scorso sulla fascia dell'Appennino romagnolo sono caduti fino a 250 mm d'acqua, su un territorio ancora fragile a causa della precedente alluvione dei primi di maggio. In 62 anni, non aveva mai piovuto così tanto da inondare tutta la pianura romagnola. E le strade in collina sono sprofondate sotto l'impeto dell'acqua. A 20 giorni dall'alluvione Report è andata in quelle zone per capire cosa sia realmente successo e cosa ci aspetterà negli anni futuri. Ormai a causa del cambiamento climatico dobbiamo abituarci a vivere queste stagioni, caratterizzate da eventi estremi. Ma i segnali sono sotto i nostri occhi da fin troppo tempo. Lunghi periodi di siccità si alternano a violenti nubifragi. E nel resto del mondo non va meglio. Gli inviati i Report sono andati negli Stati Uniti, seguendo il corso del Colorado River, uno dei fiumi più importanti al mondo. Oggi è sull'orlo del collasso a causa della siccità che lo ha colpito negli ultimi 20 anni e la sua acqua se la stanno contendendo ben sei Stati per continuare a sopravvivere in mezzo a un deserto.

Ustica e il filo della memoria

C’è un filo che lega assieme il lavoro di Daria Bonfietti, presidente dell’associazione delle vittime della strage di Ustica, col lavoro dell’artista francese Boltansky: è il filo della memoria, quella delle persone morte nell’abbattimento di un aereo civile su cieli del Tirreno nel corso di un combattimento tra aerei militari. La memoria che deve sopravvivere all’oblio, ai depistaggi di stato, alla cattiva coscienza degli uomini dentro le istituzioni che avrebbero dovuto garantire la sicurezza di quelle 81 persone morte nella sera del 27 luglio 1980.
Anche
Teshima è un luogo che ha sofferto e ha una storia da raccontare: “ricordare di aver sofferto significa ricordare di avercela fatta”, così le persone vengono su quest’isola a lasciare il loro battito del cuore o ad ascoltare il battito del cuore di altre persone. Per mettersi in contatto con l’umano, non con una singola persona.

La scheda del servizio: L’ARCHIVIO DEI BATTITI DEL CUORE

di Alessandro Spinnato

Collaborazione Ai Nagasawa

L'arte come la verità non si trova in superficie e la si deve cercare sul fondo.” Così Daria Bonfietti, presidente dell’associazione familiari delle vittime di Ustica, chiude il lungo viaggio che da Bologna l’ha portata, insieme agli inviati di Report, a Teshima, una remota isola del Giappone. Durante il racconto si incrociano tre percorsi: il viaggio di Daria Bonfietti con la sua storia personale, la tragedia di Ustica, le bugie di stato e le verità raggiunte; l’opera di Christian Boltansky, artista francese scomparso nel 2021, che della ricerca della memoria ha fatto la sua cifra stilistica e che tra le tante installazioni sparse per il mondo, ha realizzato il Museo per la Memoria di Ustica e un museo a Teshima che raccoglie i battiti del cuore di decine di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo; infine la storia di questa isola, per decenni discarica abusiva di rifiuti tossici, oggi sede della più importante triennale d’arte contemporanea giapponese, anche grazie a uno degli uomini più ricchi del Giappone, Soichiro Fukutake, che alle telecamere di Report racconta di una vera e propria folgorazione da cui ha maturato una critica radicale a quel capitalismo che lui stesso ha rappresentato per tanti anni.

Cosa rimane del Covid

E’ quasi beffardo scoprire come, ancora oggi, stiamo pagando le mascherine prodotte dalla FCA, nonostante la produzione sia terminata: a febbraio marzo 2020 non avevamo nulla, nessun protocollo, poche linee guida, nessun dispositivo nelle scorte. E oggi, finita l’emergenza, finita la paura, stiamo stipando il materiale inutilizzato (che abbiamo comprato in emergenza in operazione poi finite sotto l’attenzione della magistratura).

La scheda del servizio: LE SCORIE DEL COVID

di Lorenzo Vendemiale

Collaborazione Carlo Tecce

Il 30 giugno chiude i battenti quella che è stata l’ex struttura commissariale Covid: è una data simbolica, perché segna la fine di un’era. Ma cosa resta dell’emergenza? Migliaia e migliaia di tonnellate di materiale inutilizzato, che oltre al danno dello spreco rischiano di presentarci anche il conto della beffa: Report ha scoperto che lo Stato sta spendendo decine di milioni di euro per conservare tutte le mascherine e gli altri dispositivi avanzati. Tra questi, ci sono anche le mascherine targate Fca, che stiamo continuando a pagare ben oltre la fine della produzione.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

L'unica via per le opposizioni (e per salvare il paese)

Alla festa di Radio Popolare (lo scorso 9 giugno) lo scrittore Alessandro Robecchi, parlando dello stato della sinistra in Italia, raccontava di come le lotte per i diritti civili debbano andare di pari passo con quelle per le tutele nel sociale: altrimenti rischiamo che le coppie gay forse potranno sposarsi ma dovranno andare a vivere sotto i ponti. Perché comprare casa a Milano è un'impresa, perché i salari sono sempre bassi, perché il lavoro è sempre più sinonimo di sfruttamento, perché curarsi costa.

Ben vengano le manifestazioni come quella della CGIL in difesa della sanità pubblica e, assieme, i vari Pride in giro per l'Italia per dire a questo governo che anche loro, i diversi, le famiglie arcobaleno, esistono.

Dobbiamo tenere questi temi attivi perché questa destra farà il possibile per tenerli nascosti: basta vedere il TG1, che da la linea governativa, come racconta il paese. Gli  italiani in vacanza, il governo che studia, rassicura. 

E nel frattempo chiudono scuole e presidi medici. Mancano medici di base.

L'emergenza sbarchi è finita ma non la lotta agli scafisti, in tutto il globo terraqueo. Come anche non è finita la guerra alla maternità surrogata, che si vuole rendere crimine perseguibile anche fuori dal paese.

Spero si sia capito come mai ogni governo appena insediato metta le mani sulla RAI, per condizionare l'informazione: si deve dare un certo messaggio a quella parte del paese che ancora pensa di star bene, che il nemico siano i migranti, le troppe leggi che bloccano i poveri imprenditori che non trovano personale per un lavoro. Dei magistrati che cercano di capire come si spendono i soldi pubblici, come la Corte dei Conti.

In Rai sono riusciti, giusto per chiarire il punto, a santificare un politico che nel corso della sua vita si è sempre preoccupato dei suoi affari, il padre del populismo, scampato alla magistratura (e non per reati minori) grazie alle leggi ad personam.

La sola via per l'opposizione per continuare ad esistere (e a non sparire) è battere su questi tasti: lavoro, salari, sanità, scuola, ambiente.

Dovrà mettersi contro una parte degli stessi partiti di opposizione, degli opinionisti (già convertiti al melonismo), dei giornali, del mondo dell'informazione. 

Ma non ci sono altre strade.

24 giugno 2023

Madre d'ossa di Ilaria Tuti


Il lago di Cornino era un’iride, buio al centro e cristallino lungo la riva. Cinto da boschi arrossati dall’autunno, si apriva nella terra come un occhio antico, di bestia primordiale. Vi stava sorgendo un’alba caliginosa, bruma d’ottobre aspra e zuccherina, che portava il sentore di uva lasciata marcire sui tralci e di brace rimestata nelle stufe.

Massimo inspirò a fondo. Se ciò che gli era stato detto al telefono dalla voce di uno sconosciuto era vero, allora quel paradiso fumante era stato l’inferno di qualcuno.

Madre d’ossa segna il culmine di tutta la serie del commissario Teresa Battaglia, poliziotta, profiler, cacciatrice di criminali, scritta da Ilaria Tuti. Una poliziotta capace di leggere l’anima delle persone, di entrare in empatia col male, tanto forte se vista da fuori, quanto fragile dentro. Una donna che si trova a dover combattere contro una malattia che la sta distruggendo, l’Alzheimer. Non solo per la dolorosa condanna del perdere i ricordi del passato, dei casi risolti. Ma anche perché questa malattia la sta rendendo sempre più vulnerabile perché all’improvviso ti cancella la consapevolezza della tua identità: chi sono io, chi è quella persona che mi sta guardando dallo specchio, cosa vogliono queste persone che mi stanno guardando. Chi sono io?

Ora Teresa Battaglia non è più una poliziotta, la sua malattia ha prevalso sulla sua volontà di continuare la vita di prima, assieme ad Alice, la ragazza conosciuta nel corso del racconto Figlia della cenere – una coppia abbastanza singolare, una donna che si ritrova senza memoria e una ragazza che si sta ritrovando senza più la vista.

Ma purtroppo i suoi giorni da commissario, da investigatrice non sono terminati: avvertito da una telefonata anonima, l’ispettore Marino, che con Teresa ha instaurato un rapporto profondo che va oltre la stima professionale, la trova seduta su un masso sul lago di Cornino, mentre tiene in grembo il corpo di un ragazzo morto. Quel che è peggio, Teresa è in uno stato di crisi, non riconosce Marini e, anzi, lo aggredisce.

Teresa non lo riconosceva ed era spaventata: per lei era solo un estraneo che tentava di afferrarla.

Marini non ha dubbi: non solo aiuta Teresa ad abbandonare quel corpo, giovane e senza vita. Ma, pur di proteggerla, non si preoccupa di alterare la scena del crimine, nascondendo il soprabito dell’ex commissaria con ancora addosso le macchie di sangue. Sangue del ragazzo che sembra si sia ucciso con un coltello che affiora, poco più in là, dall’acqua.

Il ragazzo si chiamava Ratchis Evaldi, non aveva nemmeno vent’anni, poche ore prima, attorno all’una del mattino, aveva postato su TikTok un filmato di cinquantotto secondi in cui si congedava dal mondo.

Sembrerebbe un caso semplice, un suicidio annunciato. Certo ci sarebbe da capire come sia arrivata e perché sul lago, come e perché conoscesse quel ragazzo.
Ma non sono solo queste le cosce strane in questa storia: il ragazzo aveva delle estese scarificazioni sul corpo, per esempio. Come se fossero segni di un doloroso rito a cui si era sottoposto. Poi quel coltello, un coltello antico: era un dono tramandato da padre in figlio, le racconta, quasi con un certo fastidio, il padre, perché la loro era una famiglia antica, di origini longobarde, che risalivano fino ad Alboino.

Non ho ucciso quel ragazzo. Ero lì per salvarlo. Doveva essere così, o lei era già all’inferno. Teresa si trovava davanti all’enigma più sfidante della sua carriera: un’indagine su se stessa.

Questa indagine su sé stessa sarà la più difficile, per Teresa Battaglia: non solo perché dovrà dimostrare, anche a sé stessa, di non aver ancora superato quel confine della malattia che le impedirebbe di vivere la sua vita come prima. Ma anche perché quella morte la porta dentro un’indagine collegata ad antichi riti, tra spiritualità e paganesimo. Non c’è solo quel coltello antico, donato da padre in figlio, ci sono antichi monili che Teresa si trova addosso e di cui non ne conosce l’origine. Strane sepolture con “morti inquiete”, un uomo e una donna sepolti assieme e altre tombe di persone affette da acondroplasia, ovvero nani.

«Mi sembra di stare nel triangolo delle Bermuda» disse Massimo. «È tutto concentrato qui, in pochi chilometri di colline e boschi.» «E grotte. E ipogei. Paganesimo e Cristianesimo, fusi, per sempre.»

E, ancora, donne che, generazione dopo generazione, sono condannate a partorire da sole e vedersi poi strappati i figli. Teresa arriverà ad incontrarla, faccia a faccia, questa “madre d’ossa”, una sorta di divinità per cui ci sono persone disposte ad uccidere e a proteggersi l’un l’altro, come una setta. Sarà, per Teresa Battaglia, come affacciarsi sulla porta dei secoli passati, un incontro che farà da paio con quello avvenuto nel corso dell’indagine “Fiori sopra l’inferno” con Andreas:

Teresa aveva già incontrato una creatura simile, non molto tempo prima. Se lei era la Madre, Teresa un giorno aveva definito Andreas il «Padre». Un caso diverso, ma per alcuni tratti fin troppo simile.

Madre d’ossa è un thriller dove l’indagine forense (portata avanti dal collega e amico di Teresa Battaglia, il dottor Parri) si allaccia alla storia passata delle terre di confine del Friuli. Una storia antica che ha lasciato una profonda impronta sul territorio, ancora visibile.
Ma è anche il racconto di una donna che lotta per salvare sé stessa – oltre che questa “madre d’ossa” che incontrerete alla fine e a cui si sente molto legata, anche per la sua mancata maternità – con l’aiuto di tutte le persone che le stanno accanto. Dall’ispettore Marini al fido Parisi, al medico Parri, la sua famiglia, i suoi figli, non naturali, ma indissolubilmente legati anche a costo di rimetterci la carriera.

Una storia che parla di madri e di figli, dunque e che è molto intrecciata con episodi e personaggi presi dai precedenti libri con Teresa Battaglia, che vi consiglio di andare a leggere se ancora non l’avete fatto.

La scheda del libro sul sito di Longanesi e il link per scaricare il primo capitolo.

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

20 giugno 2023

Report – il lato imprenditoriale del ministro del turismo

Luangwa project di Luca Chianca

Nell’anteprima di Report si parla del programma Luangwa, un progetto di salvaguardia del verde in Africa, preservare le foreste per contrastare i cambiamenti climatici. Chi difende la foresta acqusita dei crediti di carbonio, come successo per Eni. Crediti che possono essere usati per compensare le emissioni di carbonio.

Ma cosa fa l’Eni? Report ha verificato lo stato dei progetti in Zambia, sui crediti del carbonio: il servizio raccontava di come fossero progetti fittizi, non si riduceva affatto la deforestazione, erano pretesti per comprare crediti e continuare ad inquinare.
La Bezero – una agenzia di rating che si occupa dei crediti del carbonio ha fatto downgrade del progetto Luangwa: bassi i benefici sul territorio, bassi gli impatti sulla deforestazione. Le scuole elementari costruite dall’Eni sono ancora vuote, dentro mancano banchi, mancano le sedie.

Si vede – raccontano dallo Zambia – che Eni ha fatto così tanti profitti col progetto (vendendo crediti) da essersi dimenticata dal progetto, delle comunità che dovrebbero prendere almeno il 70% dei profitti dai crediti.
Anche sulla densità della popolazione Eni avrebbe “barato”, per migliorare le performance del progetto – spiega Re Common: eppure il progetto è stato certificato da Verra, un’importante società americana
dentro cui però ci sono troppi legami con le aziende del gas.

Open to fallimento di Giorgio Mottola

La ministra Santanché si è sempre vantata dell’essere una imprenditrice capace, che si preoccupava dei dipendenti a cui avrebbe anticipato la cassa integrazione durante il covid. Ma ascoltando le storie dei suoi dipendenti, emerge un quadro diverso.
La svolta politica è avvenuta con Berlusconi, oggi è diventata ministra col governo Meloni: a leggere i suoi bilanci viene fuori un quadro poco brillante, dal punto di vista imprenditoriale, dal settore dell’editoria a quello del Bio.
Bilanci negativi, fornitori non pagati e fagocitati da concorrenti, dipendenti che ancora aspettano la liquidazione.

La Ki Group è una delle prime aziende italiane nel biologico, nata negli anni settanta: era una azienda modello, si lavorava bene, ma poi nel 2006 la società viene venduta a Bioera e arriva la crisi. Ki Group viene salvata da Santanché e da Mazzaro, il suo socio: le dipendenti pensavano che la crisi fosse alle spalle, invece da lì iniziò il declino.

Grazie ad un accordo con MPS, Mazzaro si fa carico del debito di Bioera con un minimo esborso: per rilevare il gruppo forse non ci hanno messo nemmeno un euro – spiega a Report Bellavia il consulente finanziario.
Nei primi anni i fatturati dell’azienda rimangono alti, fino ai 55ml di euro del 2011: i
due proprietari (Santanché e Mazzaro) si avvicendano più volte alla presidenza del cda dell’azienda e della controllante Bioera, assegnandosi compensi che nel tempo sono arrivati a superare i 600mila euro l’anno. In meno di 9 anni solo per stipendi per le cariche sociali l’attuale ministra si è portata a casa 2,5 ml di euro mentre Canio Mazzaro 6. In più ogni anno Ki Group ha pagato a Mazzaro l’affitto di un’automobile di lusso e di una casa in centro a Milano messo a bilancio come ufficio di rappresentanza.

Questi lauti compensi che si auto attribuivano in quegli anni era proporzionati ai risultati che ottenevano? A questa domanda ha risposto il consulente di Report Bellavia “assolutamente no, la società ha sempre perso: nel 2016 perde 2,7 ml di euro, come dato consolidato di gruppo, e loro prendono compensi pari a 1,663 ml ”. Di fatto contribuiscono alla perdita della società, metà delle perdite derivano dai loro compensi, senza considerare gli altri benefit, le case, le macchine, l’appartamento a Milano che costava 100mila euro di affitto.

Il CDA di Ki Group si assegna un compenso di 500mila euro, quando l’intera somma degli stipendi non arrivava a 2ml di euro. Nel cda di Ki group arrivano parenti dei due proprietari e ad un certo punto anche Cirino Pomicino.

Fu lui a far incontrare la Santanché a Berlusconi: dopo l’incontro con Berlusconi – racconta il servizio di Giorgio Mottola – la sua carriera decolla, prima consigliera provinciale a Milano, nel 2001 fa il suo ingresso alla Camera con Alleanza Nazionale.

Lì iniziò la mia alfabetizzazione politica” racconta ‘o ministro Pomicino a Report, che all’epoca scriveva anche i discorsi a Santanché sulla finanziaria “lei andò in commissione Bilancio e mi disse, io non capisco niente, ma uno studia e lei invece non studiò per cui alla fine della giostra facevo io il ghostwriter.”
Lei è stato il pigmalione di Santanché – chiede Mottola a Pomicino

Io devo dire che quello è stato il mio fallimento perché quello che io pensavo fosse la grande passione politica .. lei non è una donna appassionata di politica, lei è una donna appassionata di potere.
Nonostante i rapporti si fossero deteriorati, nel 2012 Pomicino divenne vicepresidente di Ki Group, “avevo bisogno di lavorare”, ammette l’ex ministro che però sapeva poco di biologico.
I
l marchio Ki Group in quegli anni era ancora la gallina dalle uova d’oro del suo impero, ogni anno sfornava utili a 6 cifre ma invece di reinvestire i profitti nell’azienda venivano dirottati nelle tasche della proprietà e degli azionisti come dividendi.
Ma l’azienda non investì mai per migliorare la sua produzione: alla fine nel 2019 la Ki Group cacciò Poggio, il vecchio AD, la gestione diretta dell’azienda passò nelle mani di Santanché.

Iniziò in quegli anni la pratica di non pagare i fornitori o di pagarli in ritardo, nonostante le rassicurazioni della proprietà: molte aziende si fidavano di Ki Group e continuarono a mandare i loro prodotti, ma i crediti arrivano a 8 ml di euro. Mentre i grandi fornitori potevano minacciare delle richieste di pignoramento, le piccole aziende fornitrici della Ki Group furono quelle che finirono peggio. Report è andata ad incontrare a Vercelli una società che vendeva prodotti alla Ki Group: Santaché avrebbe rassicurato direttamente questa azienda tirando in ballo il fatto di essere azienda di famiglia.

Ki Group cambiò il nome della società con una cessione di ramo d’azienda: c’era la società quotata in borsa che doveva avere bilanci certificati e poi c’era la Ki Group SRL, la società che faceva i soldi.
Il debito verso i fornitori di Ki Group
SRL arrivò a 3 ml di euro, mettendo in crisi le piccole aziende del biologico: la AT&T è una di queste aziende messe in crisi, il 40% del loro bilancio dipendenza dalla Ki Group, tanto da essere messa in liquidazione.

Alla fine la AT&T fu rilevata proprio dalla Ki Group, l’azienda che li aveva messi in difficoltà.

Come mai la Ki Group ha fatto delle performance così negative?
Colpa di errori gestionali – racconta l’advisor che ha portato l’azienda in borsa – non è stata colpa della crisi: errori dei manager che sono ricaduti sui dipendenti della Ki Group, delle piccole aziende del biologico che non sono state pagate (una è stata perfino rilevata dalla stessa senatrice).

Nel 2017 i dipendenti di Ki Group furono licenziati: ancora aspettano la liquidazione, nonostante siano passati anni, l’ammontare complessivo è di circa 800mila euro.
Ora la ministra risponde che non ne sa nulla, non si occupa di queste aziende: ma Santanché è stata operativa dentro l’azienda, collaborando con Canio Mazzaro fino al 2022.

Ki Group er
a stata quotata in borsa per 35 ml di euro, ora vale 469mila euro: ma nonostante questo gli stipendi della proprietà non sono mai diminuiti, ci sono stati gli spostamenti di denaro dal gruppo verso Visibilia, ufficialmente per i servizi resi, come le consulenze date da Visibilia editore.
Sono sempre società della Santanché dentro cui troviamo anche Bisignani, una vecchia conoscenza di Report e delle cronache, dalla P2 alla P4.

Nel 2020 in tante interviste la ministra Santanché si vantava di essere un imprenditore che aveva anticipato la cassa integrazione, ma non era vero: la ministra non ha mai anticipato nulla durante la pandemia.
Stessi problemi coi dipendenti della Visibilia: c’erano dipendenti messi in cassa integrazione a 0 ore, ma nessuno lo aveva avvisato, aveva continuato a lavorare come prima.
Una cosa vietata dalla legge, si tratta di una truffa penale allo stato: la lavoratrice se ne accorso solo dopo alcuni mesi, quando chiese informazioni all’attuale proprietario Dimitri Kunz (fidanzato del ministro).
Anche Visibilia
è quotata in borsa, nel 2017 ha licenziato tutti i dipendenti dai giornali, “per avere maggiore flessibilità” spiega Kunz: ma leggendo bilanci si comprende come dalle casse delle aziende arrivavano ad altre società del ministro, come Visibilia concessionaria.

Operazioni opache che sono state denunciate da un azionista, Giuseppe Zeno.

C’è poi un legame, emerso dal servizio, tra Visibilia concessionaria alla società di Armando Testa, società che si è presa l’appalto (senza gara) per la campagna “Open to meraviglia”.

Speriamo che la campagna Open to meraviglia funzioni meglio che le società della ministra: Visibilia alla fine è andata in crisi ed è stata salvata da una società di investimento straniera, la Megma.
Ma l’arrivo di un fondo ha peggiorato il valore delle azioni: ma il prestito di Negma si è rivelato poi una piaga, il titolo è crollato, come se fosse una partita truccata – ha spiegato il consulente Bellavia.
Dall’anticipazione uscita sul Fatto Quotidiano:

Report si è focalizzata sull’operazione finanziaria che ha portato, in base a un contratto firmato l’8 ottobre 2021, il fondo Negma, con sede a Dubai e registrato nelle Isole Vergini Britanniche, ad acquistare obbligazioni di Visibilia per tre milioni di euro. Negma che convertiva le azioni quando il titolo era molto basso, e le vendeva quando il valore dell’azione di Visibilia improvvisamente risaliva, riuscendo a guadagnare quasi 1,5 milioni di euro su un prestito di 5 milioni. Operazione che porta Visibilia a perdere il 97% del suo valore in borsa, e, come già scritto dal Fatto, arricchisce il fondo, appiana i debiti delle società e punisce gli azionisti: uno di loro, Giuseppe Zeno, ha denunciato tutto alla procura vedendoci una possibile manipolazione del mercato. Sull’operazione indagano i pm di Milano. Non è possibile sapere chi c’è dietro al fondo emiratino, il cui presidente è un arabo, Elaf Gassam, ma Report nota come Ignazio La Russa, avvocato di Visibilia e delle società di Santanchè, abbia mandato a MilanoToday anche due diffide a nome del fondo Negma. La Russa non ha risposto alle domande di Report, mentre Dimitri Kunz, l’attuale compagno di Santanché e ad di Visibilia, nega che si tratti dell’avvocato di Negma: “Ha solo mandato le diffide”.

Chi è ha comprato le azioni di Visibilia? Chi c’è dietro il fondo Negma di Dubai che ha prestato 3 ml alla Visibilia di Santanché e Kunz, guadagnandoci plusvalenze per 600ml?

Mottola ne ha chiesto conto all’ex AD di Visibilia, Kunz stesso, l’attuale fidanzato della ministra: non c’è Visibilia dietro Negma – si difende di fronte al giornalista, eppure il presidente del Senato La Russa, avvocato della società partecipò al cda di Visibilia nei giorni in cui lo stesso avvocato La Russa che mandava diffide al giornale online Milano Today.

La Russa è l’avvocato per Negma e Visibilia?

Non è vero che La Russa è avvocato di Negma, racconta a Report Kunz, che oggi è anche proprietario delle quote del Twiga che appartenevano alla ministra che se ne è dovuta liberare per evitare conflitti di interesse, dandole al compagno.

In 9 anni Ki Group e Bioera hanno raccolto dagli azionisti 23 ml di euro, di questi 9 sono finiti in emolumenti.
Alla fine sono questi numeri che raccontano della bravura come imprenditrice della ministra.

19 giugno 2023

Anteprima inchieste di Report – il turismo in Italia

Un servizio sarà dedicato alla storia politica della ministra del turismo Santanché, passata da Berlusconi a Meloni e che oggi rappresenta l’immagine dell’Italia nel mondo.

Un altro servizio invece mostrerà le carte segrete dell’acquisizione di ITA da parte di Lufthansa.


Le imprese della ministra del turismo


Questo governo punta molto sul turismo: lo si capisce da quanto si stia investendo (magari non sempre con risultati sempre importanti, come lo spot Open to meraviglia) l’immagine del paese.
A guidare i primi passi in politica è stato per un certo periodo di tempo l’ex ministro del bilancio Cirino Pomicino: dopo l’incontro con Berlusconi – racconta nell’anteprima il servizio di Giorgio Mottola – la sua carriera decolla, prima consigliera provinciale a Milano, nel 2001 fa il suo ingresso alla Camera con Alleanza Nazionale.

Lì iniziò la mia alfabetizzazione politica” racconta ‘o ministro Pomicino a Report, che all’epoca scriveva anche i discorsi a Santanché sulla finanziaria “lei andò in commissione Bilancio e mi disse, io non capisco niente, ma uno studia e lei invece non studiò per cui alla fine della giostra facevo io il ghostwriter.”
Lei è stato il pigmalione di Santanché – chiede Mottola a Pomicino

Io devo dire che quello è stato il mio fallimento perché quello che io pensavo fosse la grande passione politica .. lei non è una donna appassionata di politica, lei è una donna appassionata di potere.”
Il servizio di Giorgio Mottola cercherà anche di raccontare la storia della ministra come imprenditrice: ai tempi di Cirino Pomicino il marchio Ki Group, azienda di prodotti biologici, era ancora la gallina dalle uova d’oro del suo impero, ogni anno sfornava utili a 6 cifre ma invece di reinvestire i profitti nell’azienda venivano dirottati nelle tasche della proprietà e degli azionisti come dividendi.
Mottola ha provato a chiedere alla ministra se si senta oggi in difficoltà perché la sua azienda Ki Group ha messo in difficoltà molte aziende nel biologico, che poi sarebbero l’eccellenza del decantato made in Italy: “non mi risulta” la risposta ottenuta, perché da molti anni non ha più incarichi apicali dentro Ki Group.
Santanché è stata anche dentro Visibilia, società editrice da cui è uscita poco dopo le elezioni del 2022: lo stato di questa società è così critico che lo scorso novembre il Tribunale di Milano ne ha chiesto il fallimento revocato poi lo scorso aprile dopo il pagamento in extremis di una parte dei debiti. Nel 2019, per far fronte ad una grave crisi di liquidità, Visibilia aveva chiesto un prestito ad una misteriosa società di investimento di Dubai, Negma. Difficile capire chi stia dietro questo fondo, probabilmente qualcuno che non vuol pagare le tasse o farsi vedere.
Ai tempi del covid Santanché critica l’allora governo Conte, rinfacciando il fatto che la cassa integrazione (per le chiusure) fosse stata anticipata dalle aziende: ma questo non sarebbe vero, come raccontano delle dipendenti di Ki Group, “noi aspettavamo che l’inps ci pagasse dopo 3-4 mesi” perché la Santanché non ha mai anticipato dei soldi, “e lei si andava a vantare del fatto che invece lo faceva coi suoi dipendenti delle sue aziende.”

Nel 2013 Santanché entra nel mondo del Biologico, con l’annuncio della quotazione in borsa della società Ki Group (società controllata dal gruppo Bioera): Daniela Santanché e l’ex fidanzato Canio Mazzaro lasciano alla guida della Ki Group il vecchio AD Dino Poggio che garantisce all’azienda fatturati altissimi, è l’età d’oro del biologico e così nel 2015 i ricavi arrivano alla cifra record di 55 ml di euro. Mottola ha intervista l’ex direttrice commerciale di Ki Group che racconta di come i proprietari (Mazzaro e Santanché) nei primi anni non abbiano interferito nella direzione della società, anche per i buoni risultati. I due proprietari si avvicendano più volte alla presidenza del cda dell’azienda e della controllante Bioera, assegnandosi compensi che nel tempo sono arrivati a superare i 600mila euro l’anno. In meno di 9 anni solo per stipendi per le cariche sociali l’attuale ministra si è portata a casa 2,5 ml di euro mentre Canio Mazzaro 6. In più ogni anno Ki Group ha pagato a Mazzaro l’affitto di un’automobile di lusso e di una casa in centro a Milano messo a bilancio come ufficio di rappresentanza.

Questi lauti compensi che si auto attribuivano in quegli anni era proporzionati ai risultati che ottenevano? A questa domanda ha risposto il consulente di Report Bellavia “assolutamente no, la società ha sempre perso: nel 2016 perde 2,7 ml di euro, come dato consolidato di gruppo, e loro prendono compensi pari a 1,663 ml ”. Di fatto contribuiscono alla perdita della società, metà delle perdite derivano dai loro compensi, senza considerare gli altri benefit, le case, le macchine, l’appartamento a Milano che costava 100mila euro di affitto,

Il servizio racconterà anche del compagno e uomo di fiducia delle attività imprenditoriali della ministra, Dimitri Kunz: per evitare conflitti di interesse ha ceduto la maggior parte delle sue quote del Twiga, lo stabilimento balneare di cui era proprietaria assieme a Briatore proprio a Dimitri Kunz. Nelle intestazioni, il signor Kunz, dei documenti si presenta con una corona stilizzata e la firma principe D’Asburgo Lorena … Da dove arriva il titolo nobiliare? Quella degli Asburgo Lorena è una delle famiglie nobili più importanti della storia italiana, discendente dell’imperatore d’Austria, hanno regnato nel granducato di Toscana fino all’unità d’Italia.

Report si è rivolta al biografo del casa Asburgo Lorena, Alessio Varisco, per capire meglio la storia del titolo nobiliare: l’erede unico della casa è “sua altezza imperiale” Sigismondo d’Asburgo e di Lorena il quale, in una intervista al Fatto Quotidiano di qualche anno fa aveva dichiarato di non conoscere chi fosse Dimitri Kunz, diffidandolo anche a usare quel cognome.

Noi non abbiamo nessuna pretesa di far parte di quel mondo lì” risponde oggi a Report Dimitri Kunz “l’estratto di nascita è quello che comanda.”
Mottola è andato nella Repubblica di San Marino per avere questo estratto di nascita dove il padre lo ha registrato col titolo di “altezza imperiale”, un titolo di cui potrebbe fregiarsi solo l’erede ufficiale del casato. Che ramo occupa nella genealogia del casato dunque, per usare questo titolo? Nessuno, almeno a sentire il biografo ufficiale dei D’Asburgo Lorena.

Il punto è che negli anni 60 non esisteva alcun controllo sui titoli nobiliari a San Marino, al momento della registrazione all’anagrafe – spiega a Report l’ex ministro degli interni Alvaro Selva, vigeva una sorta di autocertificazione da parte della persona che si presentava all’ufficio.
Anche Mottola avrebbe potuto registrarsi come principe, per dirla in altro modo.

Sul Fatto Quotidiano è uscita una anticipazione del servizio:

Il servizio ripercorre la vicenda degli aiuti Covid erogati per manager che risultavano in cassa integrazione ma continuavano invece a lavorare a tempo pieno in violazione della legge. E si focalizza sulla strana operazione finanziaria che ha portato, in base a un contratto firmato l’8 ottobre 2021, il fondo Negma, con sede a Dubai e registrato nelle Isole Vergini Britanniche, ad acquistare obbligazioni di Visibilia per tre milioni di euro. Negma che convertiva le azioni quando il titolo era molto basso, e le vendeva quando il valore dell’azione di Visibilia improvvisamente risaliva, riuscendo a guadagnare quasi 1,5 milioni di euro su un prestito di 5 milioni. Operazione che porta Visibilia a perdere il 97% del suo valore in borsa, e, come già scritto dal Fatto, arricchisce il fondo, appiana i debiti delle società e punisce gli azionisti: uno di loro, Giuseppe Zeno, ha denunciato tutto alla procura vedendoci una possibile manipolazione del mercato. Sull’operazione indagano i pm di Milano. Non è possibile sapere chi c’è dietro al fondo emiratino, il cui presidente è un arabo, Elaf Gassam, ma Report nota come Ignazio La Russa, avvocato di Visibilia e delle società di Santanchè, abbia mandato a MilanoToday anche due diffide a nome del fondo Negma. La Russa non ha risposto alle domande di Report, mentre Dimitri Kunz, l’attuale compagno di Santanché e ad di Visibilia, nega che si tratti dell’avvocato di Negma: “Ha solo mandato le diffide”.

La scheda del servizio: Open to fallimento di Giorgio Mottola

(devono esserci dei problemi sul portale rai in quanto la scheda del servizio non è stata pubblicata)

La fu compagnia di bandiera

Alitalia, la fu compagnia di bandiera italiana nata nel 1946, cessa le sue attività nel 2021, quando il marchio fu acquisito da ITA Airways. Era il 14 ottobre 2021 quando piloti e personale furono avvisati via mail del cambio: dopo 75 anni l’Italia disse addio alla compagnia di bandiera lasciando a casa tutto il personale, compreso il comandante Gary De Piante che si congedò dai suoi passeggeri con quel messaggio toccante. Scendendo dal volo una passeggera gli disse “comandante lei mi ha fatto piangere”. Il giorno successivo tutti gli aerei volarono senza il tricolore sull’ala, dalle ceneri della compagnia nasce ITA una newco controllata al 100% dal ministero dell’Economia.
Siccome per i trattati e i regolamenti europei nessuno paese può trasferire fondi ad un’altra azienda, anche una compagnia aerea, altrimenti altererebbe la concorrenza – spiega Gianni Rossi professore di economia aerea a Report – “i governi dell’epoca si inventano l’idea di partire from the scratch con una nuova società..”.

Per l’Europa lo stato italiano non può più mettere soldi nella vecchia Alitalia ma può finanziare la nascita di una nuova compagnia ITA: l’operazione viene ideata dal secondo governo Conte, con Roberto Gualtieri ministro dell’Economia e poi sostenuta dal governo Draghi che indica come presidente di ITA, Altavilla, un manager proveniente da FCA considerato il più duro tra i fedelissimi di Sergio Marchionne. L’Amministratore Delegato è invece Fabio Lazzerini, un dirigente esperto di trasporti aereo proveniente da Alitalia. A lui viene affidata l’operatività dell’azienda mentre ad Altavilla spettano le relazioni industriali, la comunicazione e il complesso capitolo degli accordi sindacali, cominciato nel peggiore dei modi.

Il 1 ottobre 2021 Altavilla dichiarava “rimane il fatto che in questo momento tutte le assunzioni di ex Alitalia sono stato di fatto bloccate quindi coloro che sono entrati erano persone che erano già selezionate e sono entrate a livello fisiologico.. Allora stabiliamo una regola, se tutti e questi 1077 hanno 4 mesi di prova, fra quattro mesi la metà li voglio fuori, semplice.”

Una situazione brutta: Antonio Amoroso è il segretario nazionale CUB trasporti: “ITA parte con circa 2500 persone, in realtà ITA in nome di una discontinuità lascia fuori questi lavoratori e quelli che assume senza nessun criterio ..”
Quanti soldi ha messo in ITA il governo italiano, o quanti ne può mettere? A questa domanda risponde ancora il professor Gianni Rossi: “nel marzo 2020 mentre Germania e Francia deliberavano aiuti per 10-12 miliardi, l’Italia delibera aiuti per 3 miliardi, ma poi in fase di negoziazione con l’UE di questi 3 miliardi vengono ridotti a 1,350 miliardi”.
L’Unione nel 2020 ammette una eccezione sulle regole della concorrenza per via del Covid, a Germania e Francia che nel passato non sono intervenute in soccorso alle loro compagnie aeree viene concesso un aiuto massiccio. All’Italia dopo anni di aiuti alla vecchia Alitalia viene permesso di finanziare la nascita di ITA con appena 1,35 miliardi di euro: “di questi 1,350 miliardi 1 miliardo e 120 ml sono già stati versati e gli altri saranno versati con l’arrivo di Lufthansa nel prossimo futuro.”
La trattativa per l’acquisto di ITA da parte di Lufthansa parte dal governo Draghi ma viene portata a termine dal governo Meloni: pochi giorni fa la presidente del Consiglio ne ha discusso gli ultimi dettagli col cancelliere tedesco Sholz, “una testimonianza di quanto gli interessi delle nostre nazioni possano essere convergenti sul piano strategico”.
La compagnia tedesca entra in ITA con 325ml di euro e il 41% del capitale, ma con la promessa di arrivare al 90% dopo il 2025, quando ITA diventerà tedesca.

È sempre l’ex comandante De Piante a commentare questa vendita: “eravamo la sesta compagnia al mondo .. ai nostri emigranti vedere la coda tricolore in aeroporto per loro era già come essere a casa.”

La scheda del servizio: L'ultimo volo di Daniele Autieri

Collaborazione di Federico Marconi

Immagini di Giovanni De Faveri, Carlos Dias, Alfredo Farina e Paolo Palermo

Ricerca immagini di Paola Gottardi

Montaggio di Andrea Masella

Grafiche di Michele Ventrone

Lufthansa, il gigante tedesco dei cieli, comprerà ITA Airways, la cenerentola nata dalle ceneri di Alitalia e controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

L’accordo è stato siglato il 16 maggio scorso con una stretta di mano tra il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, e l’amministratore delegato di Lufthansa Carsten Spohr. A parte l’aumento di capitale interamente coperto dallo stato italiano, l’offerta prevede che Lufthansa verserà 325 milioni di euro per avere il 41% di ITA. Tutto questo con la prospettiva di arrivare al 2026 acquistando oltre il 90% della compagnia. Ma come si è giunti a questo epilogo? Lo Stato italiano e quindi il contribuente hanno guadagnato o perso dall’operazione Lufthansa? E soprattutto dall’inizio del 2022 qualcuno dall’interno di ITA ha favorito la compagnia tedesca a scapito di altri eventuali compratori? Report svelerà i dettagli di una spy story che inizia nel gennaio del 2022, quando Lufthansa insieme a MSC, la compagnia leader nel trasporto via nave, presentano la loro prima offerta, i cui dettagli sono rimasti fino a oggi inediti. A partire da quel momento esplode una battaglia industriale che nasconde uno scontro geopolitico tra la Francia del presidente Emmanuel Macron e la Germania del cancelliere Olaf Scholz per il controllo di un vettore strategico nel trasporto aereo europeo. Una serie di documenti interni e inediti rivelano i tentativi di pressione esercitati sulla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e sulla sua maggioranza per sostenere la cordata tedesca, ma anche le spese pazze di ITA Airways per i consulenti finanziari e quelle dell’ex presidente Altavilla.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.