I-Tigi siamo noi, ogni volta che
siamo in volo – racconta Marco Paolini nel suo monologo dedicato alla tragedia del volo Bologna Palermo, Ustica.
La storia del volo IH870, I-Tigi.
La storia del volo IH870, I-Tigi.
L'abbattimento di un aereo civile nei
cieli del Tirreno: significa che non dobbiamo e non possiamo
accontentarci della solita litania del cordoglio istituzionale, del
teatrino di Ustica (ad ogni anno nuove rivelazioni per arrivare alla
verità, poi dimenticate). Significa che di mezzo c'è il senso della
democrazia e della giustizia: pretendere una verità che non può
essere in alcun modo messa in disparte per una ragione di Stato o per
motivi di sicurezza nazionale. Che quantomeno per le 81 vittime non
c'è stata.
In quale scenario di guerra si è
trovato il DC9 quella sera del 27 giugno 1980?
Come hanno potuto i vertici militari
portare avanti con quella sicurezza, la menzogna del non sappiamo,
non abbiamo niente da dire?
Come hanno potuto mentire, in modo così
impunito, raccontando le storielle del cedimento strutturale o della
bomba a bordo? Nessuno ci crede ormai.
Ustica, o la storia de I-Tigi per dirla
alla Paolini (non possiamo ridurre una tragedia come questa a
geografia), racconta del nostro paese: la sovranità limitata, lo
scarso rispetto per le istituzioni e per i cittadini. La doppia
morale e la doppiezza politica dei governanti. Sposati alla causa
atlantica dentro i confini della Nato ma anche con tanti interessi
economici con la dittature africane e coi paesi orientali, come
quella libica di Gheddafi. La moglie americana e l'amante araba,
per usare un'espressione vecchia delle cancellerie europee.
Il muro di gomma è l'altra espressione
che si tira fuori, ad ogni anniversario: una metafora che calza bene
l'atteggiamento delle istituzioni, mondo politico e mondo militare,
capaci di rimbalzare via qualsiasi richiesta di chiarimento,
qualsiasi domanda. Un mondo arroccato su una linea di difesa del non
so, dunque non posso dire nulla. Del cedimento strutturale, come si è
detto. Della bomba, su un aereo partito con due ore di ritardo.
I radar italiani non hanno visto
niente, nemmeno quelli a ridosso. I tracciati? Spariti, cancellati,
sovrascritti. Possibile? Beh, se nessuno dice al magistrato di
sequestrare i nastri e se il magistrato non ci pensa.
Alcuni pezzi del relitto del DC9 che
spariscono. Strane sparizioni: il serbatoio supplementare, la
radiolina di bordo francese.
Un muro impenetrabile, almeno
all'apparenza.
Perché, ci sono voluti anni, ma qualcuno ha parlato: l'aviere di Marsala che telefona alla trasmissione di Augias (presente il generale del Sios Tascio) per dire che sì, aveva visto il Dc9 cadere ma gli era stato detto di stare zitto. E l'altro aviere di Marsala che, dopo anni, si era deciso a raccontare tutto alla commissione stragi. L'aereo che cadeva, la traccia radar che perdeva qualità.
Perché, ci sono voluti anni, ma qualcuno ha parlato: l'aviere di Marsala che telefona alla trasmissione di Augias (presente il generale del Sios Tascio) per dire che sì, aveva visto il Dc9 cadere ma gli era stato detto di stare zitto. E l'altro aviere di Marsala che, dopo anni, si era deciso a raccontare tutto alla commissione stragi. L'aereo che cadeva, la traccia radar che perdeva qualità.
Ma ci sono tante altre tracce di quella
sera che sono rimaste: le telefonate da Ciampino all'ambasciata
americana in quella sera d'estate.
Le parole dei radaristi da Marsala:
"stai a vedere che quello dietro mette la freccia e sorpassa".
Chi era l'aereo dietro (o sotto?) il DC9? Perché si era nascosto?
Che fine ha fatto?
E poi ci sono le analisi fatte a
Bruxelles nel 1997 dai tecnici della Nato (non italiani, ma della
Nato) sui nastri radar di Marsala, quelli che non avevano visto
niente nemmeno loro perché c'era una esercitazione.
L'analisi racconta di una intensa
attività volativa quella notte. Di aerei militari che razzolano
(ovvero affiorano dai radar per poi scomparire) nel Tirreno e che,
per alcune ore dopo l'abbattimento viaggiano coi transponder spenti.
C'erano aerei americani, sicuramente
c'erano aerei francesi (decollati dalla base aerea di Solenzara, come
testimonierà il generale Bozzo davanti ai giudici).
E quasi sicuramente c'era in volo anche
quel Mig 23 poi trovato sulla Sila.
Trovato il 18 luglio successivo, con
accanto il cadavere del suo pilota (che indossava scarponcini
americani, strano). Morto nell'impatto, come disse il medico legale
in una perizia poi ritrattata.
Forse morto proprio quella sera.
Francesi, americani, libici. E anche
due caccia italiani, due F104 in volo da Grosseto: uno di questi era
guidato dalla coppia di piloti Naldini e Nutarelli. Quelli morti poi
nell'incidente di Ramstein.
Avevano lanciato un segnale d'allarme,
mentre erano in volo, incrociando il volo del DC9. Un allarme
generale. Che cosa avevano visto?
Non sappiamo ancora la nazionalità
dell'aereo che ha lanciato il missile (a meno di non volerci
accontentare della forma dell'acqua, la bomba o il cedimento ..). La
bandierina non la danno i giudici ma nemmeno Marco Paolini alla fine
del suo spettacolo.
Una ricostruzione di quella sera hanno
provata a farla i tre giornalisti Daria Lucca, Paolo Miggiano e
Andrea Purgatori nel libro "A
un passo dalla guerra":
“Prova a immaginare di trovarti sospeso proprio al centro di questa diapositiva. Ecco: da quel punto d’osservazione faremo insieme una discesa verticale e ragionata verso la superficie del mare. In questo caso, il mar Tirreno. Esattamente fino a dove è precipitato il DC9, la sera del 27 giugno. ”
L’Ammiraglio prese una stecca da biliardo che era poggiata al muro. La impugnò, la alzò a mezz’aria in direzione dello schermo, sempre continuando a fissare la diapositiva.
“E a mano a meno che il livello del tuo punto di osservazione tenderà ad abbassarsi, si restringerà anche il campo visivo. Insomma: vedrai meno cose insieme ma più chiaramente. Forse così riusciremo a capire cosa è accaduto quel giorno … ”.
L’Ammiraglio poggiò l’estremità della stecca da biliardo in mezzo al mare tra Ponza e Palermo: lì da qualche parte doveva esserci l’isola di Ustica. Poi si voltò verso il presidente.
“.. e perché siamo stati a un passo dalla guerra”.
L’Ammiraglio prese una stecca da biliardo che era poggiata al muro. La impugnò, la alzò a mezz’aria in direzione dello schermo, sempre continuando a fissare la diapositiva.“E a mano a meno che il livello del tuo punto di osservazione tenderà ad abbassarsi, si restringerà anche il campo visivo. Insomma: vedrai meno cose insieme ma più chiaramente. Forse così riusciremo a capire cosa è accaduto quel giorno … ”.L’Ammiraglio poggiò l’estremità della stecca da biliardo in mezzo al mare tra Ponza e Palermo: lì da qualche parte doveva esserci l’isola di Ustica. Poi si voltò verso il presidente.“.. e perché siamo stati a un passo dalla guerra”.
Siamo nell'agosto 1980: il presidente
del Consiglio di un governo tecnico, trovandosi in mezzo alla storia
del Mig libico da restituire alla Libia, decide di volerci vedere
chiaro. Perché gli americani e l'ambasciatore in particolare sono
così interessati a quei rottami caduti sulla Sila?
Perché ogni volta che si parla del
Mig, spunta fuori l'altro aereo, il DC9 esploso in volo la sera del
27 giugno.
Il presidente incarica un ex compagno
di classe, ora al Sismi, di dargli in quadro della situazione, di
riscostruire cosa sia successo quella sera. Mette sotto accusa i
vertici della Difesa e dell'Aeronautica. Il direttore del Sismi.
Come uno degli antieroi dei romanzi di
Sciascia, il capitano Bellodi o il professore Laurana, anche il
presidente che aveva cercato ingenuamente di far luce sul mistero, di
arrivare da solo alla verità, rimane schiacciato dal sistema.
E' un romanzo di fiction, ma il fatto
che la storia sia di fantasia, non significa che tutto il resto non
sia accaduto.
Il trasferimento di caccia Phantom
dall'Inghilterra verso l'Egitto, per rafforzare le difese aeree di
questo paese in crisi con la Libia.
Le tensioni internazionali, nel
Mediterraneo e nel mondo: la Francia contro la Libia per la storia
dei diamanti di Bokassa. Gli Usa contro Gheddafi per la storia del
Billygate, il fratello del presidente Carter lobbista per la Libia.
Il G7 tenuto quel giugno a Venezia, coi
timori di una guerra nucleare: la guerra avrebbe potuto scoppiare da
un momento all'altro, anche solo per un errore, un falso allarme.
Di equilibrio del terrore parlava il
segretario del Pci Berlinguer, in una intervista al Corriere.
Perché specialità olimpica dei
governi nazionali era la famosa corsa agli armamenti, per le sempre
crescenti spese militari che i paesi occidentali facevano.
La Russia che aveva invaso
l'Afghanistan e gli Stati Uniti che, per ritorsione avevano disertato
i giochi olimpici.
Il presidente Carter che, per essere
rieletto, puntava sul rafforzamento della politica estera: far fuori
Gheddafi era una buona soluzione.
E noi italiani in tutto questo scenario
dove eravamo?
Nella Nato, certo. Ma con la Libia come
maggiore azionista della Fiat. La Libia dove lavoravano molti tecnici
italiani nel settore del petrolio: la Libia di Gheddafi era uno dei
nostri maggiori partner commerciali, anche per gli armamenti.
E noi italiani stavamo firmando,
proprio in quei giorni, un trattato di cooperazione e di protezione
militare nei confronti di Malta, che si voleva affrancare dalla
tutela libica.
Chissà Gheddafi come l'avrà presa
questa scelta ..
Gheddafi che aveva sguinzagliato i suoi
sicari per l'Europa (e anche in Italia) per far fuori gli oppositori
al suo regime.
Non è fiction l'operazione Proud
Phantom col trasferimento di questi caccia dalla base di Cannon
verso Il Cairo. Non è fiction il caccia F111 (come quello del
serbatoio supplementare trovato..) che quella sera viene accompagnato
a terra da due caccia della base di Grosseto.
Non sono fiction i due plot rimasti
impressi sul nastro di Ciampino, che mostrano una manovra d'attacco,
da ovest, di un caccia che attraversa la scia del DC9 mentre questo
esplode in volo.
Non sono fiction i tre misteriosi
suicidi di avieri o radaristi, in vario modo legati a questa
tragedia. Uno di questi era il maresciallo Dettori, della base di
Poggio Ballone. Quello che confidò alla cognata "siamo stati
ad un passo dalla guerra".
Non è fiction nemmeno il fatto che i
magistrati hanno fatto fatica ad avere i nomi degli avieri al lavoro
quella sera, nelle sedi dei radar. Borsellino, magistrato capo a
Marsala, minacciò di mandare la finanza se non avessero tirato fuori
i nomi, dopo la telefonata alla trasmissione Telefono Giallo.
Non è fiction che il generale Rana,
del RAI (il registro aereo, l'ente che controlla lo stato degli aerei
civili in volo), avesse fin da subito riferito al ministro Formica,
la pista del missile.
Non è fiction l'infiltrazione della P2
dentro i vertici delle forze dell'ordine e dei servizi.
Non è fiction il mistero della
Saratoga e della Clemenceau, le due portaerei americana e francese,
ufficialmente in porto. Ma qualcuno quei caccia che razzolavano dal
mare, avrà pur dovuto guidarli, no?
Tutto questo è potuto succedere perché
non c'è stata vera volontà politica di fare luce sul mistero. Ma è
anche colpa nostra, che abbiamo accettato che la tragedia delle 81
vittime del DC9 fosse ridotta ad un fatto geografico, Ustica. Abbiamo
lasciati soli i parenti delle vittime, che poi si sono riuniti in
un'associazione. Che ora dovrà pure pagare le spese processuali.
E' toccato a loro e non a me.
Sono cose che non mi riguardano.
No: la storia de I-Tigi è una storia
dell'Italia e di italiani come noi.
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