“Nella Milano degli anni ’50, si incontravano in strada moltissimi uomini con la sigaretta in bocca... non donne, però, perché queste ultime ancora non osavano esibire il loro vizio in pubblico, in quanto quelle che lo facevano venivano immediatamente bollate come donne di facili costumi”.
Perché questo incipit sul vizio del
fumo nell'ultimo giallo di Dario Crapanzano? È funzionale
all'introduzione di un personaggio chiave per l'inizio del romanzo: è
il signor Amedeo, di professione raccoglitore di cicche (“catamucc”
in dialetto) riciclate in finte sigarette di importazione
Amedeo Gariboldi, un cinquantenne basso e mingherlino che da decenni sbarcava il lunario con i saltuari introiti dei mestieri più disparati, con felice intuizione aveva visto nella raccolta delle cicche il modo per tentare una attività “imprenditoriale”.
È il signor Amedeo che il venerdì
santo del 1953, prima che arrivino gli spazzini, si imbatte nel
cadavere che da il titolo al libro
“Alle sei della mattina di venerdì 2 aprile 1953, il Gariboldi era al lavoro da oltre un’ora, e stava rastrellando piazzale Bacone, quando la sua attenzione fu attratta dalla figura di un uomo, vestito di nero, semisdraiato scompostamente su una panchina.[..]dal petto del sacerdote spuntava il manico di legno di un coltello, o di un pugnale”.
È don Luciano Fontevivo, il
responsabile dell'oratorio della parrocchia di San Sigismondo
Elemosiniere. È lui il prete bello che da il titolo al libro.
Sempre ambientato in una Milano degli
anni '50 perfettamente ricostruita (anche se alcuni luoghi, come
l'oratorio sono inventati), con il commissario Arrigoni e la sua
squadra.
Dopo le case di ringhiera, le case di
tolleranza, il mondo della pubblicità e del teatro, i giorni del S
Ambrogio e della festa degli “Oh bèj! Oh bèj”, questa volta
tocca al mondo degli oratori.
Dove lavorava, coi suoi ragazzi, don
Luciano, prete bello, ma anche prete di strada, molto
anticonformista, per i tempi.
Una chicca, tra le tante, che potrete
leggere in questo libro: sapete da dove arriva l'espressione “dai
tempi di Carlo Cudega” (per indicare qualcosa che non si fa più da molto tempo o comunque qualcosa di molto vecchio)? Lo racconta la stessa voce narrante della
storia:
In quanto ai “tempi di Carlo Cùdega”, il detto, frutto della fervida fantasia popolare, deriva dall’usanza, in voga nel XVIII secolo, di mantenere lisci e lucidi i capelli spalmandoli con cotenna di maiale, Cùdega, appunto.
Ah, lo sapevate già, come non detto...
Buona lettura!!
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