30 agosto 2022

Presadiretta – guerra e fame

Ritorna Presadiretta in questo settembre di campagna elettorale, dove cresce l'inflazione, crescono i prezzi, per cause anche legare alla guerra in Ucraina.

C'eravamo lasciati con la guerra in Ucraina appena iniziata .. e si ritorna con la guerra che ancora continua e le conseguenze non si fermano all'Ucraina, ma sta mettendo alla fame interi paesi.

La guerra del pane

Nel mondo sono scoppiate le rivolte per la fame, come in Sri Lanka, con l'assalto al palazzo presidenziale costringendo alla fuga il presidente.
L'economia era stata già messa a dura prova dalla pandemia, ma la crescita di carburante e cereali ha messo in ginocchio la popolazione – racconta il servizio di Elena Stramentinoli: lo Sri Lanka ha dichiarato bancarotta, l'inflazione è cresciuta e non accenna a diminuire.
La guerra e il clima impazzito stanno mettendo in crisi anche l'India: la temperatura oltre i 40 grandi ha fatto appassire le piante dei cereali, spingendo al suicidio molti coltivatori.
In Pakistan per non perdere il raccolto si è deciso di mietere prima del tempo, anche questo paese importava il grano dall'Ucraina.
Sull'isola di Haiti le bande armate approfittano della crisi, per la mancanza di cibo e acqua. La crisi ha colpito anche lo Yemen, già sconvolto dalla guerra, oltre ai paesi africani: stiamo rischiando la peggiore crisi alimentare dal dopoguerra, una “catastrofe nella catastrofe” la definiscono alla Fao.
Anche il Libano sta andando in default, sempre per il rincaro dell'energia e dei cereali: il pane si continua a sfornare, ma gli scaffali dei supermercati sono vuoti, perché viene venduto dai forni direttamente alle persone.
Il pane a Beirut costa di più per il rincaro del carburante per tener acceso i forni: siccome il governo non ha soldi per comprare grano, i piccoli panificatori non hanno più farina, per soddisfare i bisogni dei loro clienti.
Un sacco di farina costa oggi 50 euro, prima della guerra erano 20 euro: così i panificatori devono cercarla al mercato nero.

Questo mercato è alimentato dai panifici più grandi, che riescono ancora a ricevere farina ma, anziché fare pane, smistano parte dei sacchi per il mercato nero.

Il pane è la base dell'alimentazione delle popolazioni più povere, ma sono cresciuti i prezzi anche di tutti gli alimenti in generale: per fare la spesa si deve girare per diversi negozi, per trovare cibo più economico, verdura, pane, carne.

Succede allora che molte famiglie richiedono l'aiuto dei volontari del WFP, anche persone con un lavoro.
Cosa succederà quando il governo non potrà più permettersi di pagare i sussidi per le persone povere? Ma quanto successo vale per tutto il mondo.

Il viaggio in Ucraina

Leopoli la chiamano la piccola Parigi, il centro storico è patrimonio mondiale dell'Unesco: dopo l'invasione russa la città è stata fortificata e i monumenti messi in sicurezza.

I morti, le bare, le persone che piangono i loro cari ricordano a tutti che la guerra c'è, anche se lontano dalla città: Iacona è andato in Ucraina a fine giugno, quando la Russia aveva cominciato l'offensiva nel Donbass.
Ogni giorno c'erano funerali a Leopoli, col pianto dei parenti e le bare portate a spalla dai soldati.
Ma anche nei piccoli villaggi da cui sono partiti i soldati si vedono le stesse scene: tombe, foto di ragazzi in uniforme, persone che piangono.

Ma c'è anche la guerra per la fame, che preoccupa la FAO che, in Ucraina, sta seguendo la situazione delle famiglie nelle zone rurali, che vivevano con la coltivazione del grano.
Villaggi che oggi ospitano profughi scappati dalle zone di guerra: la FAO ha dato a queste persone, senza casa, i semi per piantare patate. Un bene prezioso, in tempo di guerra, per dar da mangiare ai profughi e ai loro figli.
La guerra non è solo morte, bombardamenti: è anche campi non coltivati, persone che devono lasciare le loro case, stipendi che non arrivano, case distrutte.
Persone come Nataljia, che si occupava di informatica e che oggi si ritrovano improvvisamente povere.

Iacona è andato a Kiev, una metropoli sul fiume Dnepr: sulla periferia c'era un hub di merci oggi riempiti di derrate alimentari per le persone colpite dalla guerra, alimentato dalla Fao. Se la guerra continua il paese rischia il default, la gente oggi ha fame un paradosso se si considera che fino a ieri era l'Ucraina a sfamare i paesi del sud del mondo.

Da Kiev verso sud, Odessa, coi campi di girasole, coi campi di grano dove la mietitura è già iniziato: qui si trovano i silos che raccolgono il grano prodotto nel paese e che poi viene inviato via treno nel resto del paese e sui porti del mar Nero.
I russi hanno attaccato il sistema ferroviario per mettere in crisi questo sistema di trasporto dei cereali su ferrovia: nel mirino delle forze armate russe c'è proprio l'industria agricola.
Non solo, dietro di sé hanno lasciato le mine, hanno bombardato i silos rendendoli oggi non più utilizzabili.

Oggi Odessa è una città chiusa, nel mare davanti non parte nessuna nave verso il resto del mondo: il blocco dei porti sta bloccando tutta l'economia dei cereali, creando un danno economico importante nel paese, perché consente l'ingresso di valuta pregiata.
Senza export di grano mancano soldi, senza soldi non si possono pagare i contadini e oggi i grandi silos dell'Ucraina sono ancora pieni.
Se i silos rimarranno pieni i contadini saranno costretti a non mietere i campi, non avendo posto dove stipare il raccolto di quest'anno.
Il grano che manca sui mercati internazionali è fermo in Ucraina dove non vale più niente, perché in Ucraina ne hanno in abbondanza.

Ci sono anche problemi logistici nel portare il grano fuori dall'Ucraina coi carri merci, per un problema tecnico: i binari in Europa hanno uno scartamento diverso e nei paesi a confine mancano i carri in numero sufficiente per raccogliere i cereali.
I cereali viaggiano anche via gomma sui camion, che però si muovono a rilento verso i porti sul Danubio per far viaggiare i cereali sul fiume.

Se la guerra continua e se perdura il blocco dei porti, secondo la FAO è a rischio la produzione del grano ma il rischio si estenderà al mondo intero.


Ospite in studio il direttore della FAO, Maurizio Martina, che ha spiegato qual è il punto sull'accordo per il grano: è stata una mediazione difficile, in una situazione drammatica. Ad oggi 114 navi sono partite dai porti in Ucraina verso Libano ed Egitto.
Serve una accelerazione per svuotare i silos e per non arrivare ad ulteriori crisi nel mondo: ci sono ancora problemi per far muovere le navi e molte di queste vanno verso paesi ricchi e non verso paesi più bisognosi.
Dietro ci sono contratti commerciali stipulati prima della guerra: è mancata la solidarietà internazionale, per far arrivare il grano a chi ne aveva bisogno.

Siamo dentro una tempesta perfetta, tra guerra e cambiamenti climatici – ha spiegato Martina – il combinato di questi fattori rende questo momento estremamente delicato.
Dopo il grano, nelle prossime settimane ci si dovrà preoccupare del riso: l'aumento del costo delle energia, dei fertilizzanti, sta colpendo paesi più fragili.

Ma come si forma il prezzo di questi cibi?
È solo colpa della guerra?

Presadiretta ha raccontato di chi specula sul grano per tenere artificialmente alto il suo prezzo: le primavere arabe sono nate dalla fame, dal cibo che manca, dai governi del sud del mondo corrotti e incapaci di sfamare la loro popolazione.
Oggi siamo in una situazione analoga: il costo del grano è oltre la soglia che causa le sollevazioni della popolazione, ma il suo aumento non dipende dal fatto che sul mercato c'è meno quantità di questo cereale, il blocco delle esportazioni ha influenzato il prezzo, per il grano rimasto nei silos.

Presadiretta ha intervista Jennifer Clapp economista e ricercatrice di Ipes Food: “l’invasione ha condizionato i mercati perché c’erano 20 ml di tonnellate di cereali nei silos ucraini e quindi i prezzi ne hanno risentito, ma ci sono grandi scorte di grano al mondo, quindi parte delle perturbazioni dei prezzi che abbiamo visto in questi mesi non dipendono dalla quantità di grano che abbiamo.”

Abbiamo livelli record di cereali a livello mondiale” prosegue sul tema l’economista Frederic Mousseau dell’Oakland Institute “le scorte di grano hanno superato le 300ml di tonnellate secondo i calcoli della FAO, nel mondo abbiamo quantità sufficienti per tutti. Quindi il blocco della navi o le tensioni con la Russia non sono la spiegazione dell’aumento dei prezzi. Il problema è che oggi abbiamo degli approfittatori che utilizzano questo conflitto per far alzare artificialmente i prezzi, comprano oggi a 50 per rivendere domani a 100. Scommettono sul grano come al casinò e questo sulle spalle delle popolazioni più povere che per colpa dei loro giochi non riusciranno a mangiare.”

Ad investire su questi beni ci sono banche, fondi di investimento: fanno palate di soldi comprando e vendendo contratti a termine, i future, un mercato secondario attorno a cui girano tanti capitali, cinque volte il valore del grano scambiato.
Il prezzo è legato agli speculatori finanziari, che si sono arricchiti grazie al conflitto: gli investitori oggi stanno scommettendo sulla fame del mondo, continuando a compare futures il che causa l'aumento del prezzo di grano.

Giancarlo Dall'Aglio specula sulle materie prime: ogni giorno decide dove puntare i suoi soldi. È etico lucrare sui prezzi, considerando che intere popolazioni non hanno di che mangiare?

“Nessuno si diverte a non far mangiare la gente” racconta il trader. Ma il problema etico e morale rimane.
Ma non c'è il trader napoletano: molte banche d'affari come JP Morgan hanno consigliato di investire, speculando, sulle materie prime.

Il commercio internazionale dei cereali nel mondo è controllato da cinque grandi aziende che oggi stanno ritardando la distribuzione del grano, facendo alzare il valore: società come la Caregill, Glencore che negli anni della pandemia hanno aumentato i loro profitti – raccontano i ricercatori di Oxfam. Altro che economia di mercato.

Abbiamo lasciato che il cibo diventasse valuta di scambio per arricchire pochi. È stato Bill Clinton che ha deregolamentato il settore, facendo partire l'assalto alla diligenza.
Con leggi più severe sulla finanza, con una economia di mercato senza etica, avrebbe evitato queste carestie.

La politica cosa vorrà fare con questa economia virtuale che non porta benessere al mondo ma arricchisce pochi avvoltoi, sanguisughe, sciacalli?

Servono regole nuove dentro lo spazio del commercio internazionale – è il commento di Martina.

Anche in Italia l'aumento del prezzo del cibo e dell'energia stanno mettendo in crisi le famiglie: anche nelle città italiane, come Padova, i volontari raccolgono cibo nei pacchi per le persone in difficoltà, non succede solo in Libano.
Perché anche in Italia ci sono persone che vivono sul filo del rasoio: stipendi bassi, pensioni misere, lavori saltuari. Questi pacchi aiutano famiglie in difficoltà a superare l'inflazione, il rincaro delle bollette. In Italia si sta abbattendo uno tsunami sociale: avere un lavoro non aiuta in questo momento, per colpa dei salari da fame che girano in certi settore.

Il lavoro ha perso valore e dignità: Donatella Benigni ha combattuto contro la chiusura della sua azienda, deciso da una multinazionale americana. Il suo stipendio è diminuito di 400 euro, i suoi figli lavorano nella ristorazione dove le persone lavorano più ore di quante risultano su contratto.

Come risponde l’Europa a chi specula sulle materie prime?

L'Europa ha stanziato nuovi fondi dopo l'invasione dell'UCraina, nuovi sussidi per gli agricoltori, che potranno coltivare anche le aree ecologiche che dovrebbero essere tenute a riposo.
In Europa non abbiamo problemi di carenza di beni alimentari, siamo grandi esportatori: il prodotto c'è, non mancherà sulle nostre tavole. L'Europa vorrebbe sfamare il mondo, come ambizione, ma in realtà vende a paesi ricchi: la nostra agricoltura europea non è sostenibile, poiché buttiamo via cibo che nessuno consumerà.
C'era bisogno allora di coltivare su altre aree, come ha deciso l'Europa?
Hanno prodotto più mangime per gli allevamenti intensivi di bestiame: in Europa abbiamo 7 miliardi di animali di allevamento, per cui il grano che produciamo diventa foraggio per questo bestiame.
La zootecnia intensiva è causa di inquinamento, della fine della biodiversità, ha un alto impatto ambientale: in Italia non rispettiamo le direttive europee sui nitrati, sulla concentrazione di ammoniaca.

Ogni anno l’Unione Europea sovvenziona l’agricoltura con 60 miliardi di euro (con la politica agricola comune), il problema è che la maggior parte dei fondi è distribuita in base alla superficie, più ettari possiedi più soldi ricevi, idem per il bestiame, più animali = più soldi.

Circa l'80% dei soldi finisce al 20% dei beneficiari: la politica europea dei sussidi non è affatto sostenibile, questi pagamenti diretti hanno finito per sostenere soltanto la grande agro-industria orientata verso una produzione intensiva, un fenomeno particolarmente evidente nei paesi dell’est Europa, come l’Ungheria.

Presadiretta ha visitato la Talentis Agro, la più grande azienda agricola del paese con 50mila ettari di terra e 8500 vacche da latte che producono 85ml di litri di latte l’anno.
Makai Szabulbs, AD di Talentis, racconta come la scorsa annata sia stata buona, hanno guadagnato circa 15 ml di euro, di fronte ai 5 ml di euro di finanziamenti dai contributi della PAC.

L’azienda è di proprietà del miliardario Lőrinc Mészáros, l’oligarca numero 1 un Ungheria, amico di infanzia del premier Victor Horban, imprenditore nel campo dell’edilizia, del mondo petrolifero e nell’agrobusiness. Il suo non è un caso isolato: da quando, nel 2004, l’Ungheria è entrata in Europa, i fondi della PAC sono diventati la gallina dalle uova d’oro, Victor Orban ci ha costruito sopra la sua popolarità, promettendo di dare le terre statali, ex sovietiche e i sussidi europei alle piccole e medie aziende nelle campagne, stravincendo le elezioni del 2010 che l’hanno portato al potere.
Ma era una bugia, come ha spiegato a Presadiretta la giornalista Gabriella Hurn: “non sono i piccoli agricoltori a prendere la terra, ma persone con buoni agganci, avvocati, persone con legami politici, imprenditori di ogni genere che non hanno nulla a che fare con l’agricoltura.”
Caso emblematico della speculazione economica sui terreni agricoli è Kishantos, ex fattoria biologica modello, fondata nel 1998, che si estendeva su 452 ettari.

“Cinque giorni dopo la vittoria di Orban nel 2014” racconta Sàndornè Acs Eva fondatrice di Kishantos “hanno distrutto ogni pianta nei nostri campi”: i nuovi proprietari, imprenditori e grandi compagnie oggi coltivano in modo intensivo, utilizzando prodotti chimici di ogni tipo, pesticidi, fertilizzanti.

Oggi la politica agricola europea si trova ad un bivio perché deve adeguarsi al piano strategico “farm to fork”, dal campo alla tavola, fortemente voluto da Franz Timmermans: riduzione del 50% dell’uso di pesticidi e del 20% di fertilizzanti, dimezzamento degli antibiotici negli allevamenti, raggiungimento del 25% di agricoltura biologica.
Ma contro questo piano si sono sollevate le proteste degli agricoltori, come nei paesi bassi, sostenuti da una parte della politica europea di centrodestra che pensa che i limiti imposti dalla strategia “farm to fork” possano danneggiare le produzioni agricole.
“Se non comprendiamo che Farm to Fork è un tentativo di salvare l’agricoltura, non di punire l’agricoltura, alla luce dei devastanti effetti della perdita della biodiversità e dei cambiamenti climatici sulla produzione alimentare globale allora siamo davvero fuori strada” tuona il vice presidente della commissione Timmermans.

Ma questa strategia è sotto attacco dalle lobby dell'agricoltura, dai partiti di destra, dall'industria agroalimentare: stanno lanciando campagne allarmistiche dove si sostiene che, diminuendo i pesticidi, crollerà la produzione agricola.
Usano la crisi e la guerra per bloccare ogni evoluzione progressista in agricoltura: ma è una visione miope, o ci avviamo verso una agricoltura sostenibile, oppure saremo destinati a veder distruggere l'ambiente e l'agricoltura.

Ancora una volta la politica dovrà fare delle scelte. Su sostenibilità, disuguaglianze, sovraproduzione di cibo, speculazione sulle materie prime, salari da fame.

29 agosto 2022

Anteprime Presadiretta – Guerra e fame


La guerra in Ucraina continua, intanto nel mondo scoppiano le rivolte del pane: l'energia costa troppo, il pane costa troppo. Chi sta speculando sulla fame e come risponde l'Europa dell'agricoltura?

Era stato buon profeta, purtroppo, Riccardo Iacona quando a febbraio, parlando della guerra in Ucraina, aveva lanciato l’allarme sulle conseguenze che questa avrebbe portato nel mondo. La mancanza di grano che sfama i paesi poveri del sud del mondo, le carestie che sfociano in rivolte mettendo in crisi i governi.
Con colpevole ritardo scopriamo oggi, passati sei mesi dall’aggressione di Putin, di quanto il mondo sia a rischio per questa guerra, ancora in stallo e che le sanzioni contro Mosca non sono riuscite a bloccare. Ma la guerra non è la sola causa dei rincari energetici e del grano: la puntata di Presadiretta, che ritorna stasera in prima serata, toccherà questi temi, il cibo, il ritorno all’austerità energetica, il rischio di un nuovo lockdown per le aziende che non riusciranno a far fronte ai rincari.
Ma la guerra in Ucraina è anche le morti, militari e civili, città distrutte, l’economia di un paese al collasso, il blocco del commercio. Da una parte i profitti alle stelle delle aziende del settore delle armi, del settore energetico (compresa la nostra Eni, la cui crescita è cominciata ben prima del conflitto).

Dall’altra parte l’aumento dei costi di materie prime ed energia che si sta mangiando lo stipendio degli italiani e centinaia di milioni di persone nel sud del mondo sono alla fame.
Il reportage di Presadiretta racconterà della speculazione da parte dei fondi di investimento, che non si fa scrupoli a giocare sul costo del cibo. Il mercato delle materie prime non risponde alla regola della domanda e dell’offerta, ma dal 2000 è stato liberalizzato con l’intervento di intermediari finanziari. La guerra in Ucraina – ha spiegato il conduttore Iacona ad Agorà – non è una guerra locale, che oggi è pure stata relegata lontano dalle prime pagine, è una guerra che cambierà per sempre le cose nel mondo: “le parole di Medvedev lo ricordano, è una guerra internazionale che mette a dura prova, in autunno ancora di più, l’Europa anche dal punto di vista economico.”

Siamo prigionieri delle energie fossili, da cui non possiamo staccarci per colpa della miope politica italiana ed europea (la stessa che stenta a decidere sul tetto del gas, che ha consentito le speculazioni energetiche che hanno causato l’incremento del prezzo di cinque volte): anche su questo punto Presadiretta era stata profetica, nella puntata dedicata alle energie rinnovabili, quelle che ci avrebbero garantiti una indipendenza energetica, lontano dai ricatti dei vari Putin (o Erdogan o altri ..).

Le soluzioni, a breve, non sono né il gas liquido (le cui esportazioni dall’America sono raddoppiate) e nemmeno il nucleare pulito (al momento lontano dalla realizzazione).
In Portogallo ha prodotto tutta l’energia di cui ha bisogno dalle fonti rinnovabili: dobbiamo fare scelte cruciali, che non possono limitarsi al compitino, ritardare l’accensione dei caloriferi o mettere in DAD gli studenti per l’impossibilità di scaldare le aule nelle scuole.

La guerra in Ucraina coinvolge due tra i più grandi produttori ed esportatori di cereali: il blocco dell’export dei cereali hanno causato la crisi in Sri Lanka e in altri paesi del sud del mondo colpiti anche dalla crisi climatica. L’impazzimento del clima ha messo in crisi paesi come l’India, dopo la Cina il più grande produttore di grano: il caldo anomalo ha fatto appassire le spighe del grano, nel Punjab del nord i raccolti inariditi hanno spinto al suicidio molti contadini, si stima una perdita di 10 ml di tonnellate di raccolto – spiega Devinder Sharma esperto di politiche agricole.

Ma il conflitto in corso è l’unica causa dell’aumento del costo del grano? Presadiretta ha intervista Jennifer Clapp economista e ricercatrice di Ipes Food: “l’invasione ha condizionato i mercati perché c’erano 20 ml di tonnellate di cereali nei silos ucraini e quindi i prezzi ne hanno risentito, ma ci sono grandi scorte di grano al mondo, quindi parte delle perturbazioni dei prezzi che abbiamo visto in questi mesi non dipendono dalla quantità di grano che abbiamo.”

Abbiamo livelli record di cereali a livello mondiale” prosegue sul tema l’economista Frederic Mousseau dell’Oakland Institute “le scorte di grano hanno superato le 300ml di tonnellate secondo i calcoli della FAO, nel mondo abbiamo quantità sufficienti per tutti. Quindi il blocco della navi o le tensioni con la Russia non sono la spiegazione dell’aumento dei prezzi. Il problema è che oggi abbiamo degli approfittatori che utilizzano questo conflitto per far alzare artificialmente i prezzi, comprano oggi a 50 per rivendere domani a 100. Scommettono sul grano come al casinò e questo sulle spalle delle popolazioni più povere che per colpa dei loro giochi non riusciranno a mangiare.”

Come risponde l’Europa a chi specula sulle materie prime? Il servizio si occuperà anche della politica agricola comune (la PAC): ogni anno l’Unione Europea sovvenziona l’agricoltura con 60 miliardi di euro, il problema è che la maggior parte dei fondi è distribuita in base alla superficie, più ettari possiedi più soldi ricevi, idem per il bestiame, più animali = più soldi. Alla fine questi pagamenti diretti hanno finito per sostenere soltanto la grande agro-industria orientata verso una produzione intensiva, un fenomeno particolarmente evidente nei paesi dell’est Europa, come l’Ungheria.

Presadiretta ha visitato la Talentis Agro, la più grande azienda agricola del paese con 50mila ettari di terra e 8500 vacche da latte che producono 85ml di litri di latte l’anno.
Makai Szabulbs, AD di Talentis, racconta come la scorsa annata sia stata buona, hanno guadagnato circa 15 ml di euro, di fronte ai 5 ml di euro di finanziamenti dai contributi della PAC.

L’azienda è di proprietà del miliardario Lőrinc Mészáros, l’oligarca numero 1 un Ungheria, amico di infanzia del premier Victor Horban, imprenditore nel campo dell’edilizia, del mondo petrolifero e nell’agrobusiness. Il suo non è un caso isolato: da quando, nel 2004, l’Ungheria è entrata in Europa, i fondi della PAC sono diventati la gallina dalle uova d’oro, Victor Orban ci ha costruito sopra la sua popolarità, promettendo di dare le terre statali, ex sovietiche e i sussidi europei alle piccole e medie aziende nelle campagne, stravincendo le elezioni del 2010 che l’hanno portato al potere.
Ma era una bugia, come ha spiegato a Presadiretta la giornalista Gabriella Hurn: “non sono i piccoli agricoltori a prendere la terra, ma persone con buoni agganci, avvocati, persone con legami politici, imprenditori di ogni genere che non hanno nulla a che fare con l’agricoltura.”
Caso emblematico della speculazione economica sui terreni agricoli è Kishantos, ex fattoria biologica modello, fondata nel 1998, che si estendeva su 452 ettari.

“Cinque giorni dopo la vittoria di Orban nel 2014” racconta Sàndornè Acs Eva fondatrice di Kishantos “hanno distrutto ogni pianta nei nostri campi”: i nuovi proprietari, imprenditori e grandi compagnie oggi coltivano in modo intensivo, utilizzando prodotti chimici di ogni tipo, pesticidi, fertilizzanti.

Oggi la politica agricola europea si trova ad un bivio perché deve adeguarsi al piano strategico “farm to fork”, dal campo alla tavola: riduzione del 50% dell’uso di pesticidi e del 20% di fertilizzanti, dimezzamento degli antibiotici negli allevamenti, raggiungimento del 25% di agricoltura biologica.
Ma contro questo piano si sono sollevate le proteste degli agricoltori, come nei paesi bassi, sostenuti da una parte della politica europea di centrodestra che pensa che i limiti imposti dalla strategia “farm to fork” possano danneggiare le produzioni agricole.
“Se non comprendiamo che Farm to Fork è un tentativo di salvare l’agricoltura, non di punire l’agricoltura, alla luce dei devastanti effetti della perdita della biodiversità e dei cambiamenti climatici sulla produzione alimentare globale allora siamo davvero fuori strada” tuona il vice presidente della commissione Timmermans.

Sul sito dell’agenzia Ansa trovate l’intervista al conduttore di Presadiretta, Riccardo Iacona, che anticipa i punti toccati da questa e dalle prossime puntate della trasmissione

La squadra di PresaDiretta, di nuovo in onda da lunedì 29 agosto su Rai3, ha lavorato per provare a capire dove stiamo andando. "Vogliamo comprendere quali sono le ricadute per l'Italia e per il resto del mondo della guerra in Ucraina - spiega Riccardo Iacona in un'intervista all'ANSA -. La prima è l'effetto devastante che ha provocato sul fronte alimentare. Siamo andati ad esempio in Libano dove letteralmente manca il pane. La crisi sta mettendo in ginocchio anche l'Italia. L'aumento dei prezzi sta incidendo su un tessuto economico fatto di salari da fame. Siamo andati nel Nord Est per capire come fanno le persone a tirare avanti e purtroppo la crisi è destinata a crescere finché durerà la guerra e Putin userà l'arma del gas. E' uno scandalo che a sei mesi dall'inizio del conflitto la guerra ancora si combatta, uno scandalo che ancora non ci sia un cessate il fuoco".

Un ciclo di 8 appuntamenti per cercare le risposte alle domande più urgenti. "Sono andato in Ucraina a fine giugno prima dell'accordo sul grano, per capire se l'aumento dei prezzi è giustificato o se ci sono elementi di speculazione - prosegue il conduttore -. Cercheremo anche di indagare su quello che fa l'Europa con le politiche agricole. In studio avremo Maurizio Martina, vicedirettore Fao, che ci darà una mano a capire il quadro". Al centro delle puntate le grandi questioni economiche, gli ostacoli sulla strada del Pnrr, le scelte energetiche e la strada verso l'indipendenza europea dal gas russo; la battaglia tra energia fossile e rinnovabile e ritorno del nucleare, mentre le conseguenze del cambiamento climatico sono sempre più allarmanti; la corsa alle armi scatenata dalla guerra in Ucraina e quella che ha blindato le frontiere d'Europa, sulla pelle dei migranti; i cyberattacchi, i banditi digitali e la questione della sicurezza nazionale. Gli inviati di PresaDiretta sono stati in Ucraina, Russia, Stati Uniti, Europa, Africa. "Siamo andati ad esempio in Algeria per capire meglio l'accordo fatto lì per aumentare forniture di gas - prosegue Iacona -. Poi in Usa che si prepara a invadere l'Europa con il suo gpl e si stappano bottiglie di champagne".

La terza puntata andrà in onda domenica 11 settembre, perché lunedì 12 c'è un appuntamento con le tribune elettorali, così come lunedì 19, nella settimana in cui PresaDiretta sarà assente. Ritorno previsto per il 26 settembre con una serata speciale, dopo il voto, voluta dal direttore dell'Approfondimento Antonio Di Bella. "Saremo noi a raccontare l'esito delle elezioni e lo faremo come sempre a modo nostro", fa sapere Iacona. Il conduttore spiega che non si occuperà direttamente della campagna elettorale, ma che i temi trattati saranno tutti al centro del dibattito fino al voto. "Forniamo un buon cibo informativo - sottolinea - per consentire agli spettatori di farsi un'idea sugli argomenti di cui si parla in campagna elettorale". Quanto alla par condicio, Iacona spiega che non si può realizzare su una singola puntata di un programma, ma su un ciclo di puntate. "Bisognerebbe dare più autonomia ai responsabili editoriali e fidarsi di più di loro - sostiene -. Poi fare le valutazioni solo dopo un periodo più lungo".

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

27 agosto 2022

Funerale dopo Ustica, di Loriano Macchiavelli

 

Gli antefatti

La mattina del 27 gennaio 1969 a Milano faceva un freddo feroce: da tre giorni la nebbia nascondeva la città e i passanti avevano imparato a evitarsi più con l’istinto che a vista. La mattina del 27 gennaio 1969 iniziò ufficialmente la storia dell’eversione; fu il discriminante fra la contestazione,. La controcontestazione e il terrore. Fu la soglia del colpo di Stato. O il colpo di Stato.
La mattina del 27 gennaio 1969 a Milano faceva un freddo feroce quando la bomba esplose davanti all’ufficio del turismo spagnolo, in via del Don. Quasi alla stessa ora, come se l’estremismo di sinistra e quello di destra si fossero accordati, un’altra bomba esplode davanti alla sezione del Partito comunista italiano in piazza Santorre di Santarosa. In entrambi i casi la paura superò gli effettivi danni, ma è sintomatico che il primo attentato si possa considerare di sinistra, in quanto diretto contro il regime fascista di Franco, e il secondo di destra.


Funerale dopo Ustica conclude, assieme a Strage (dedicato alla bomba alla stazione di Bologna) e a Noi che gridammo al vento (dedicato all’eccidio di Portella della Ginestra), la trilogia dello scrittore bolognese Loriano Macchiavelli dedicata alle stragi che hanno segnato la storia del nostro paese: quest’ultimo, scritto inizialmente nel 1989 e la cui pubblicazione è stata via via rimandata (anche per evitare problemi legali come scrive l’autore qui), non è incentrato su Ustica (l’abbattimento dell’aereo dell’Itavia sui cieli del Tirreno nella notte del 27 giugno 1980).

Ustica, la battaglia sui cieli del Tirreno che coinvolse aerei Nato e arei libici del colonnello Gheddafi, costituisce l’ultimo atto di una guerra avvenuta nel nostro paese e cominciata in quella fredda mattina del 1969 a Milano.
Funerale dopo Ustica racconta in forma romanzata, partendo anche dalle verità storiche accertate, la guerra all’interno delle istituzioni italiane, negli anni della guerra fredda, quando una parte di esse, legata agli ambienti ultra atlantici del governo americano, decise che l’assetto politico italiano non poteva seguire la sua evoluzione naturale, c’era il rischio che l’avanzata delle sinistre potesse mettere in discussione gli equilibri di Yalta, potesse portare avanti quelle riforme di stampo progressista che avrebbero svecchiato il paese.
La storia del nostro paese è passata anche attraverso le bombe, come le bombe scoppiate a Milano e a Roma nel 1969 e a Brescia nel 1974. Bombe piazzate dentro banche o nelle piazze e addossate a formazioni di sinistra mentre in realtà erano bombe fasciste. Che dietro avevano le menti della strategia della tensione. Tutto questo per creare terrore, per creare sfiducia nelle istituzioni, per preparare il clima ad una svolta autoritaria, come in Grecia. O, molto più probabilmente, per consolidare lo status quo del potere in questo paese.
La storia del nostro paese è passata anche attraverso tentativi di colpo di Stato, segnali che una parte delle istituzioni mandava per condizionare gli assetti istituzionali, un colpetto per ricordare a chi di dovere che certe avventure politiche dovevano essere abbandonate.

Ma questa è la storia dell’Italia negli anni che vanno dal 1969 al 1980, gli anni in cui si svolte questo racconto che Macchiavelli costruisce seguendo altri canoni diversi dal saggio: Funerale dopo Ustica è una spy story, un thriller in cui vediamo muoversi questi due eserciti nascosti: da una parte esponenti dei servizi segreti, politici, uomini della finanza, alti magistrati, esponenti di spicco dell’informazione (perché l’informazione serve per creare il giusto clima nel paese, allora come oggi) riuniti attorno ad una sigla “vertice”, guidati da un uomo che non ha volto, solo una voce contraffatta, il burattinaio o il grande vecchio di queste manovre, Victor Hugo.
Il loro obiettivo? Portare il paese verso una svolta presidenziale, se non verso una forma militare di governo. Per raggiungere questo scopo non hanno alcuna esitazione nel far uccidere, da killer professionisti o dalla manovalanza presa dalla mafia o dal terrorismo rosso o nero, magistrati scomodi che stavano mettendo in luce queste trame nere (come lo è stato il giudice Eugenio Occorsio, ucciso a Roma).

Dikte, ammiraglio, funzionario ad altissimo livello dei servizi segreti della Difesa;

Bellamia, la doppia moglie dell’onorevole;

L’onorevole Furoni, ex comandante partigiano, ex aderente al Partito d’azione, ex attivista del Partito comunista italiano, ex terrorista altoatesino e infine deputato al Parlamento italiano per conto di un partito dell’arco costituzionale e difensore delle riforme sociali e politiche;

Surprisi, alto magistrato titolare di inchieste sull’eversione nera, rossa, gialla e altri variegati colori;

Penelope Giorgiani, Lope, intellettuale, sociologa di fama internazionale e strenua paladina dei movimenti extraparlamentari come supporto insostituibile della democrazia;

Victorhugo, ognuno di noi immagini chi sia e chi rappresenti;
– dottor Lucio Chiaroni, anonimo ragioniere dipendente di un’importante azienda a capitali internazionali, con scarse possibilità di carriera (almeno apparenti) e felice padre di famiglia;

Dall’altra parte altri uomini dello Stato che, diversamente dai primi, cercano di difendere le istituzioni dai nemici interni, anche loro sono uomini dei servizi, sebbene facciano parte di una unità a parte. Ma hanno imparato subito a guardarsi le spalle, ad evitare di condividere le informazioni con chi non ti puoi fidare.

– Stefano Degiorgi, geometra, capo ufficio tecnico dell’impresa di costruzioni Sassi L, sui trenta, elegante e sobrio;
– 
Il Maggiore, ingegnere responsabile della stessa impresa, capelli bianchi, sorriso aperto e comunicativo;
– 
la Signorina, segretaria tuttofare della stessa impresa di costruzioni;
– 
Mila Santini, dottoressa, ufficio amministrativo dell’impresa Sassi L.;

Al centro di questo romanzo, dentro cui troviamo doppiogiochisti, traditori, uomini addestrati per uccidere e uomini destinati ad essere uccisi da giovani, vedremo una scontro tra due cacciatori, da una parte Stefano Degiorgi, il “geometra”, che viene chiamato dal suo superiore ad un difficile compito, e dall’altra un killer dalle molte identità, dai mille volti, a cui invece il “vertice” e questo fantomatico Victor Hugo hanno assegnato una missione speciale. Uccidere il presidente della Repubblica. Portare il paese in uno stato di caos, di massima tensione. Pronto per quella svolta autoritaria, per il colpo di stato senza militari nelle strade.

Amico mio, non si conquista il mondo solo con la musica rock, con il cinema, con la televisione, con la letteratura e tutto ciò che gli sciocchi chiamano cultura. Ogni tanto un colpo di stato qua e là, aiuta molto.

Una spy story che si muove per tutta Europa, dall’Italia alla Spagna, all’Inghilterra al Belgio, fino alla Libia e al Madagascar. Un romanzo dentro cui riconosciamo l’influenza di scrittori come Forsythe e il suo Il giorno dello Sciacallo ma anche di Ellroy autore di noir come American Tabloid” e “Sei pezzi da mille”.
Nonostante la mole delle pagine, il ritmo del racconto rimane ben cadenzato, si rimane invischiati nella trama architettata dallo scrittore bolognese, che partendo dai fatti storici, ha effettuato una sua ricostruzione del filo nero di quegli anni che non ha la pretesa del saggio storico.
Ma la cornice storica, compresi gli eroi rimasti senza nome, i traditori, la manovalanza nera o rossa, i burattinai rimasti al coperto (ogni riferimento alla loggia massonica P2 non è casuale) e le vittime innocenti di questa guerra rimane. Dalle bombe del 1969 fino a quella tragica estate del 1980, culminata con i due più gravi disastri della nostra storia a cui si arriva, in un crescendo di tensione: il Dc9 dell’Italia esploso in volo, abbattuto sul Tirreno tra Ponza e Ustica e poco più di un mese dopo, la bomba alla stazione di Bologna.

Adesso veniamo al favore piccolo piccolo che concluderà il nostro rapporto. Ricordi? Molti, molti anni ti era stato chiesto di uccidere il colonnello Gheddafi. Non accettasti. Accetterai ora.

A quale funerale si riferisce l’autore, nel titolo? All’ultima vendetta che chiuderà la caccia all’uomo del tenente Degiorgi, per impedire l’attentato al presidente partigiano (che avrete anche immaginato chi sia), che avrà anche un colpo di scena degno dei migliori thriller.

Ne aveva veduti, Luis, di morti nella sua vita di militare. Mai un simile disastro. Mormorò «Ci sarà un mesto funerale per quegli innocenti». Sotto di lui si avvicinarono le montagne, dirupi, canaloni, rocce. «E ci sarà un altro funerale, dopo Ustica».

La scheda del libro sul sito dell'editore SEM

Il blog dell'autore Loriano Macchiavelli

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22 agosto 2022

Gli scrupoli di Maigret di Georges Simenon

 

Succederà un paio di volte in un anno al Quai des Orfèvres, e può durare talmente poco che non c'è il tempo di accorgersene: dopo un periodo frenetico durante i quali casi si susseguono senza tregua, magari tre o quattro tutti insieme - al punto che gli uomini si ammazzano di lavoro e gli ispettori a forza di notti in bianco hanno gli occhi rossi e mettono su un'area stranulata -, all'improvviso calma piatta, il vuoto si direbbe, a stento inframmezzato da rare telefonate senza importanza.

L’ufficio di Maigret, al famoso Quai des Orfèvres, è in un momento di calma piatta, dove gli ispettori possono riposarsi dopo lo stress accumulato nel corso delle indagini e dove Maigret può oziare al caldo del suo ufficio, dove la sua storica stufa in ghisa è stata sostituita dal riscaldamento centralizzato.
Tra l’altro ha appena ricevuto una telefonata dal dottor Pardon, un medico di famiglia che l’aveva aiutato in un precedente caso, sull’esito della visita fatta alla moglie. Non c’è niente di cui preoccuparsi, ma gli anni passano per tutti e due, è arrivato il momento delle medicine, delle cure, di quelle che Maigret chiama “riparazioni”:

L'anno prima era toccato a lui, tre settimane di assoluto riposo. E adesso sua moglie. Significava che piano piano avevano raggiunto l'età dei piccoli acciacchi, delle riparazioni da nulla ma necessarie, un po' come le auto che, tutto a un tratto, hanno bisogno di passare quasi ogni settimana in officina.

In questo momento di relativa calma per la squadra omicidi, nel suo ufficio riceve la visita di un signore: all’inizio Maigret nemmeno riesce a seguire il discorso, anche per il torpore causato dal caldo del suo ufficio ma soprattutto perché il commissario non riesce a capire dove questa persona voglia arrivare. Si tratta di un commesso di un importante negozio per giocattoli, una persona come tante, che confessa a Maigret di avere le prove che la moglie lo stia avvelenando:

«Sono convinto che da parecchi mesi, cinque o sei almeno, abbia intenzione di uccidermi. Ecco, commissario, il motivo per cui sono venuto da lei personalmente. Non ho prove precise, gliene avrei parlato subito, ma posso fornirle tutti gli indizi che ho raccolto. Sono di due tipi. Innanzitutto quelli morali, i più difficili da spiegare, come lei sa, perché in genere si tratta di cose piccole irrilevanti in sé, ma che messe insieme acquistano un senso.

Quante telefonate strambe arrivano ogni settimana al suo ufficio? E quante persone strane si è ritrovato davanti alla sua scrivania, nella sua carriera? Maigret potrebbe anche lasciar perdere quanto il signor Xavier Marton gli ha raccontato: la scoperta di veleno in un ripostiglio, addirittura essere andato, di sua volontà, da uno specialista, per capire se sia pazzo o meno.
Ma, ci sono gli scrupoli: Maigret non sarebbe Maigret se non fosse un funzionario di polizia capaci di farsi domande, di porsi dei problemi anche di coscienza nei confronti delle persone che incontra e che chiedono di lui.
Così decide di portare avanti una sua indagine, molto discretamente, senza sollevare troppo polverone, per non creare problemi al signor Marton e per non avere lui, Maigret, problemi con la procura (dove i giudici hanno meno scrupoli di lui) e col capo della polizia giudiziaria

«Lei non ha nessuna responsabilità.»

«Ufficialmente e professionalmente no. Ciò non toglie che se domani o settimana prossima uno dei due, lui o lei, passasse a miglior vita, io penserei che è colpa mia.»

C’è un’altra cosa, che fa ancora accrescere i dubbi su questa storia e a spingerlo a portare avanti questa indagine (senza pezze d’appoggio dei superiori): la visita nel suo ufficio della signora Marton. Tanto il marito ha l’aria così dimessa, tanto la moglie ha invece un’aria più ricercata, non perché vesta dei capi di lusso, è qualcosa che Maigret percepisce nel suo modo di esporre la sua versione dei fatti (sulle paranoie del marito), sulla sua sicurezza apparente

Certo il marito non era brutto e con ogni probabilità si guadagnava da vivere decorosamente. La signora Marton aveva un'altra classe, però. La sua eleganza non aveva nulla di ostentato di volgare e neanche la sua spigliatezza. Già nella sala d'attesa Maigret aveva notato le scarpe di eccellente qualità e lussuosa borsetta.

L’indagine, che non può essere una vera indagine perché non c’è stato (ancora) un morto, racconta uno spaccato familiare molto particolare: marito e moglie che non si parlano, ciascuno preso dalle sue aspirazioni, realizzate o mancate, ciascuno chiuso nel suo astio. Il caso del signor Marton, partito con i sospetti di un marito sulla moglie, si trasforma in un rompicapo, un puzzle dove è difficile incastrare i pezzi nel verso giusto, solo “che nel suo caso i pezzi erano esseri umani”.
Chi ha ragione dei due? Il signor Marton o la moglie? Maigret arriva a consultare alcuni libri per approfondire il tema delle nevrosi umane, col risultato di ritrovare tutte le patologie descritte in Marton.

«Sono molto perplesso. È una specie di indagine a rovescio. Di solito prima c'è un delitto e soltanto quando è stato compiuto dobbiamo cercare il movente. Questa volta abbiamo il movente ma il delitto ancora no…»

Possiamo considerare da un certo punto di vista Gli scrupoli di Maigret come un giallo “anomalo”, sia per come si sviluppa la storia ovvero su un delitto che potrebbe essere commesso, per le cautele con cui deve muoversi il commissario, alle prese con un mondo che non conosce (almeno nella teoria dei sacri testi), quello delle nevrosi e delle paranoie.

Ma rimane un romanzo in cui ancora una volta Maigret va a scavare dentro la vita delle persone per trovare la risposta alle sue domande. I perché di un certo odio, delle tensioni. Questo è il suo mestiere, altri si sarebbero occupati di stabilire le colpe e assegnare le pene.

«Chiama la procura, e se Comélieu è tornato avvertilo che sarò da lui tra pochi minuti.»

La sua parte era finita. Il resto riguardava i giudici, e Maigret non li invidiava affatto.

La scheda del libro sul sito dell'editore Adelphi

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19 agosto 2022

È l'umido che ammazza: Un nuovo caso per l'oste Emilio Zucchini, di Filippo Venturi

 


Sabato 14 novembre 2020

Come ogni sabato i Milordini stanno pranzando insieme. Sono degli inguaribili abitudinari: non amano le sorprese, tantomeno le novità. E infatti non è che li esalti più di tanto l’idea di ritrovarsi in una trattoria in cui non sono mai stati. Ma devono fare di necessità virtù, visto che da Delfo li hanno rimpallati. Proprio così. Di tutte le cose strambe che stanno capitando in questi mesi – privazioni della libertà, distanziamenti, mascherine obbligatorie – questa è di sicuro la più incredibile

Dopo il Tortellino muore nel brodo e Gli spaghetti alla bolognese non esistono, torna a trovarci il ristoratore detective Emilio Zucchini, padrone della Vecchia Bologna, un ristorante dove si rispettano le tradizioni senza dover assecondare necessariamente le richieste del commensale a tavola. Per esempio, non sognatevi di sedervi al tavolo a chiedere tortellini al ragù o, addirittura, una porzione di Bologna (si chiama mortadella).

Emilio Zucchini nasce dalla mente di Filippo Venturi che ristoratore lo è davvero a Bologna: come tutti noi ha vissuto i mesi del lockdown durante le prime fasi della pandemia, le regioni contrassegnate a colori, coi regolamenti per i bar e i ristoranti che venivano annunciati all’ultimo momento, con la difficoltà nel doversi riadattare a questa nuova e imprevista situazione in cui la socialità delle persone veniva vietata, perché veicolo di infezione.
È stata dura per tanti, questa pandemia non ancora finita purtroppo: lo è stata anche per i gestori di questi locali, parzialmente aiutati dallo Stato dai ristori.
Il dover gestire il distanziamento, la richiesta della prenotazione, l’impossibilità di “aggiungere un posto a tavola” come dice la canzone, perché il virus ama l’affollamento specie al chiuso. Doversi riadattare alla distribuzione del cibo per asporto

Zucca di una cosa è fermamente convinto: se il futuro della sua professione significherà cuocere delle tagliatelle per metterle in una vaschetta di alluminio da consegnare a un rider, lui cambierà mestiere.

Ma torniamo al nostro ristoratore detective per caso: come tutti gli investigatori che si rispettino, anche lui dispone di un sesto senso, quando le sue ricette non gli vengono bene, è l’avvisaglia che sta per succedere qualcosa di brutto.

In quel novembre del 2020 freddo e umico (e si sa che “è l’umido che ammazza”) non è bastato trovarsi dentro questa nuova “apocalisse”, coi portici e le strade vuote, non è bastato nemmeno scoprire che il paese di sessanta milioni di commissari tecnici si è trasformato nel paese da milioni di virologi. Una nuova grana sta per cadere addosso a Zucca:

Sta andando tutto storto. Sono due giorni che in trattoria non ne azzecca una, e la cosa – ahilui – ha un unico, ineluttabile significato: guai imminenti. La sua cucina nasconde misteri indecifrabili, quasi esoterici, questo Emilio Zucchini lo sa da tempo.

La sua cameriera, Alice, è scomparsa da due giorni senza mandargli nemmeno un messaggio.

Non è solo la mancanza di una sua collaboratrice: Alice, Ali, è stata per lui qualcosa di più, durante la prima ondata della pandemia lei è venuta a stare da lui, entrambi avevano bisogno di qualcuno con cui condividere quel momento. Non c’è stato niente, in quell’appartamento, ma chissà forse, se Emilio si fosse deciso a fare il primo passo..

Mentre Zucca, Emilio Zucchini, si mette sulle tracce di Alice, nella placida Bologna, ancor di più con questa seconda ondata della pandemia, un assassino solitario sta mettendo in atto la sua vendetta che, per rimanere in ambito culinario, è un piatto che va servito freddo. I suoi obiettivi sono i membri di una compagnia maschile di professionisti appartenenti alla Bologna bene, meglio noti come “i milordini”: il figlio di un proprietario di palazzi, un notaio, un commercialista, l’immancabile pusher per dei festini privati e poi il braccio destro del futuro sindaco della città, Leonardo Marescalchi.

«Entra, ti preparo un caffè» dice, aprendole la porta. Ma subito capisce che qualcosa non va. È una frazione di secondo, quella che intercorre tra quando vede la canna del taser spuntare dalla giacca ..

Il primo della lista, il notaio, eterno scapolo d’oro, viene trovato morto nel suo studio, un sabato mattina, con la testa sfondata e con un altro particolare “piccante” che colpisce gli investigatori che arrivano sulla scena del crimine.

Si tratta della squadra del commissario Iodice, un investigatore vecchio stampo, pieno dei suoi pregiudizi su studenti, capelloni, rom e del suo ego per il suo fiuto di sbirro (capacità che vede solo lui).Nei mesi del lockdown era stato messo a riposo dal Questore ma ora sul delitto si è fatto già il suo film (purtroppo) sbagliato.

Mentre, da una parte vediamo muoversi questo assassino che porta avanti il suo piano (associando ad ogni bersaglio una ben specifica pena), Emilio Zucchini si ritrova dentro una storia al limite dell’incredibile: riceve una telefonata dalla stazione di un paesino sull’appennino Tosco-Emiliano, la sua Alice è lì in stazione, ma si trova in stato confusionale

«Il capostazione. Dice che Alice è convinta di essere un’attrice famosa.»

Ma arrivato alla stazione, non è la sua Alice, Ali, quella che si trova davanti, ma Elena, una sua amica, anche lei cameriera in un ristorante concorrente.

Cosa c’entra la sparizione di Alice, con questo assassino e la sua vendetta? Di quali colpe gravi si sono macchiati i “milordini”, “uomini che odiano le donne” per fare una citazione di un libro famoso che ha un ruolo importante per la storia?

Che fine ha fatto Alice?
La ricerca di Emilio, con la sua Vespa bianca, lo porta molto vicino alle tracce che questo assassino ha lasciato dietro di sé e sono tracce che disegnano un quadro che lo mettono in agitazione, più di quanto abbia fatto il covid con quel rasghino che non lo abbandona da mesi.

È novembre, è in corso una pandemia e fa freddo, un freddo nebbioso e umido, e Zucca lo sa bene: è l’umido che ammazza.

Usando l’arma dell’ironia e sfruttando tutta la sua esperienza lavorativa, Filippo Venturi imbastisce una trama con qualche trappola per il lettore che non dovrà fidarsi di quello che si trova davanti. Si parla di covid e di come l’arrivo del virus abbia cambiato le nostre abitudini, anche quelle che pensavamo fossero destinate a rimanere immutate.
Il povero protagonista si ritrova perfino a dover rimpiangere certi suoi clienti, da quello che fa questioni su tutto all’urlatore entusiasta (ma la mortadella rimane mortadella, non Bologna).

Ma tutta questa ironia, nel raccontare le disavventure del povero Zucca che ancora una volta si troverà nel mirino del commissario Iodice, serve per raccontare di un problema che ben poco fa ridere le donne, ovvero la violenza di genere.
Il come e il perché, lo scoprirete solo leggendo questo giallo che scorre veloce senza intoppi, aggiungo solo un passaggio della nota a fine libro aggiunta dall’autore: nei primi mesi della pandemia nel 2020, il servizio pubblico con cui aiutare le donne che hanno subito una violenza (maltrattamenti, stalking, percosse, violenza sessuale) – il 1522 – ha registrato un picco. E nell’80% dei casi l’aggressore era una persona di casa.

«Quando una donna piange in quel modo, vuol dire che non si sta divertendo affatto…»

Dal film Thelma e Louise.

La scheda del libro sul sito dell'editore Mondadori

Il sito dell’autore Filippo Venturi

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13 agosto 2022

Le sorelle Lacroix di Georges Simenon


Ogni famiglia ha uno scheletro nell’armadio.

«.. piena di grazia, il Signore è con te .. piena di grazia, il Signore è con te ...»
Le parole non avevano più senso, non erano più parole. Geneviève non sapeva neanche se le sue labbra si muovevano ancora, se la sua voce andava a unirsi al sordo mormorio che si levava dagli angoli bui della chiesa.
Certe sillabe, cariche di significati nascosti, sembravano ripetersi più spesso delle altre.

«… piena di grazia … piena di grazia...».
E anche la triste conclusione dell’Ave Maria:
«… noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen».
Quando era piccola e sentiva recitare il rosario ad alta voce, quelle parole che tornavano ogni volta identiche dopo un po’ le facevano l’effetto di un incantesimo, e le capitava perfino di scoppiare a piangere.

A parte questa scena iniziale che si svolge dentro la chiesa, con la recita meccanica del rosario, la maggior parte del racconto si svolge al chiuso, dentro la casa dove vivono due nuclei familiari quello di Emmanuel Vernes e quello della famiglia Desborniaux. Ma per tutti quella casa rimane la casa delle sorelle Lacroix, Mathilde e Poldine, figlie del vecchio notaio, le principali protagoniste di questa storia di odio familiare.
L’aver contenuto buona parte del racconto in un posto chiuso, che avrebbe bisogno di aria in tutti i sensi enfatizza uno dei tratti della scrittura di Simenon, l’impossibilità di sfuggire al proprio destino, di poter cambiare la propria vita.

In questo caso, il destino di una guerra, di uno scontro familiare che si respira appena ci addentriamo dentro casa Lacroix.

E tuttavia casa sua non dava neanche lontanamente quell’impressione di immutabilità che si percepiva in casa Lacroix. Mentre Poldine parlava, nella mente del dottore si fece strada un pensiero: le due Lacroix erano sposate, Leopoldine con un tisico che viveva in Svizzera, Mathilde con Emmanuel Vernes. Legalmente la primogenita si chiamava quindi Desborniaux e la minore Vernes. [..] Eppure la gente continuava comunque a parlare di casa Lacroix e a considerare tutti i suoi abitanti dei Lacroix.
Tutti dei Lacroix: le due sorelle, che si scambiano poche parole in casa, anche a tavola a cena. Il marito di Mathilde, un pittore che passa la maggior parte del suo studio nell’atelier, il suo unico spazio privato che si è ritagliato in quella casa, dove dipinge i quadri che riprendono il panorama che si ritrova davanti, i tetti di ardesia delle case.
E poi i due figli di Mathilde: Jacques, che vorrebbe scappare da questa casa soffocante per non finire come il padre ma che non riesce mai a porre in atto i suoi piani.
Geneviève, la sorella di Jacques, con le sue crisi, le sue paure a cui non può trovare conforto nei genitori, che non chiamano nemmeno papà o mamma, che si è aggrappata al fratello, l’unico con cui confidarsi, e alla religione, che vive come fosse una cura. Tante invocazioni a Gesù e alla Madonna, tanti anni di indulgenza plenaria. E poi le visioni, come se fosse una santa, che si porta sulle spalle le colpe degli altri, col dono delle visioni delle cose, prima che accadano.

Ma quello che percepisce è in realtà solo la tensione, odio che si respira in quella casa: un odio e una tensione che sono esplose diciassette anni prima, per un fatto accaduto proprio nell’atelier, d’ora in poi ti proibisco di rivolgermi la parola” (lo scheletro nell’armadio di cui parla Simenon nell’epigrafe).

Ma in realtà quella tensione, quel clima di tensione, come se ci fosse una scintilla sempre accesa per far scoppiare un diverbio, hanno origine nel passato, da quel rapporto intimo tra le due sorelle Lacroix

Mathilde separata da Poldine, non riusciva più a respirare normalmente!
Già all’epoca in cui la cassetta delle lettere so trasformava come per magia in un forno … nei giorni in cui bisticciavano … era quasi sempre colpa di Poldine … dormivano nello stesso letto … e la sera Poldine, di proposito, non dava il bacio della buonanotte alla sorella e si teneva ad una certa distanza da lei sotto le lenzuola…
Aspettava… in certi casi doveva aspettare parecchio, perché anche Mathilde era orgogliosa ...

Un odio che ha bisogno di alimentarsi con nuovi nemici ogni volta, perché non può fermarsi, nonostante la vita continui, fuori da casa Lacroix.
Simenon è abile nel descrivere questo clima, fatto di sospetti di avvelenamento, del continuo rinfacciarsi di colpe del passato, del continuo spiare l’altro, il nemico, mentre parla dall’altra parte della porta, il salire lentamente le scale stando attenti agli scalini che fanno rumore.

Un odio che porta al suicidio, per rancore e al lasciarsi morire d’inedia. Sempre per odio.

C’erano comunque loro due, due Lacroix, e potevano continuare a vivere perché potevano sospettarsi e odiarsi a vicenda, sorridersi a mezza bocca, osservare, camminare in punta di piedi e aprire le porte senza far rumore, sbucando fuori quando il nemico meno se l’aspettava.
«Che stai facendo?»
«Niente…
e tu? … Perché non vieni a mangiare?»
«
Ho già mangiato!» rispondeva Mathilde.
«In piedi? In cucina?»
«
E perché no? ...»
E l’odio diventava più spesso, tanto più vischioso, tanto più pesante, tanto più perfetto quanto più lo spazio si riduceva.

La scheda del libro sul sito dell'editore
Adelphi

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10 agosto 2022

Senza dirsi addio di Giampaolo Simi

 


Prima di avere quarant’anni non si è abbastanza maturi per saper davvero narrare. A sostenerlo era uno dei miei scrittori preferiti, e per quanto mi riguarda ho pensato che superare anche i cinquanta male non avrebbe fatto. Tanto più che la mia unica ambizione è sempre rimasta la solita: raccontare i fatti. Anche quando, come in questo caso, si tratta di fatti che nel volgere di poco tempo hanno stravolto la mia vita. E non solo la mia.

Al crepuscolo dell’estate del 2018 ne erano già accaduti diversi. Avevo divorziato, ero tornato in Versilia, avevo incontrato Nora Beckford. Mio figlio Luca era finito in una storia terribile.

Vent’anni di cronaca nera hanno lasciato il segno su Dario Corbo. Ex giornalista lasciato a spasso dopo la chiusura del suo giornale, poi ex marito, dopo la separazione con la moglie Giulia, nata dal suo attaccamento al lavoro.
Da giornalista a portavoce della fondazione Beckford, in Versilia, alle dipendenze di Nora Beckford, figlia dell’eclettico artista inglese che qui aveva stabilito la sua dimora. Dario Corbo l’aveva incontrata per la prima volta una vita fa, da giovane cronista, quando era esploso il caso Calamai. Un delitto in provincia che aveva attirato come mosche tanti giornalisti, per tutte le dicerie attorno ai comportamenti disinvolti di questa ragazza straniera, colpevole ideale agli occhi dei benpensanti. Ma lei era “La ragazza sbagliata”, come nel primo romanzo della serie di Corbo.
Il figlio Luca, giovane promessa calcistica del Valdarno, si era improvvisamente ritrovato, nei giorni in cui aspettava un contratto da professionista, dentro una brutta storia di violenza sessuale. Era stato l’ostinato lavoro del padre a ricostruire il clima di ipocrisie e menzogne dietro quella squadra, il mondo degli agenti: tutt’altro che “Come una famiglia”, semmai un covo di vipere.
Sono questi i fatti diversi a cui Dario Corbo stesso, anni dopo, fa riferimento nell’incipit. Fatti che hanno accompagnato l’autore e voce narrante sulla soglia dei cinquant’anni, alle prese coi problemi di salute (al cuore, fatto che avrà un ruolo importante nel finale di questa storia), con problemi familiari per il clima poco sereno in casa. Col figlio Luca alle prese col processo e la moglie Giulia che si è trasferita in Versilia per star vicino a lui, accettando il lavoro presso una galleria d’arte.

- Purtroppo dobbiamo comunicarle che la signora Giulia Maiorino è rimasta coinvolta in un incidente stradale. Dodici chiamate non risposte.
- Coinvolta come? - ho biascicato. Come se non avessi fatto vent’anni di nera.
I carabinieri non si scomodano per venirti a comunicare un tamponamento.
- Coinvolta… come vittima.

Un altro fatto arriva addosso alla famiglia Corbo, destinando a cambiare le loro vite (e non solo): la moglie Giulia è stata investita in una strada a metà tra Firenze e Prato, il pirata della strada non si è nemmeno fermato, il suo corpo è stato sbalzato dal luogo dell’impatto e scagliato lontano per metri.
Giulia aveva un nuovo lavoro, un nuovo fidanzato (che era poi l’ex procuratore del figlio, uno dei tanti traditori), aveva rinfacciato a Dario l’avergli messo contro il figlio. E quella sera l’aveva chiamato dodici volte senza avere risposta. Cosa ci faceva in quel posto (equivoco, secondo le malelingue, un posto dove fare strani incontri)? Cosa aveva da dirgli al telefono di così importante?
Dario vorrebbe chiederlo a quel corpo che si trova davanti

Ma con quale Giulia sto parlando non lo so. Di sicuro non la Giulia stravolta nel tentativo di stare vicino sia a Luca sia al nuovo compagno. Preferisco parlare alla Giulia che Luca l’ha avuto dopo due aborti spontanei.
La morte di Giulia fa esplodere tutte le tensioni covate per troppo tempo: nelle memorie di Dario Corbo – con estrema onestà nei confronti del lettore – si parla dello scontro tra lui, l’ex marito, il figlio, il nuovo compagno di Giulia, “come cani randagi che si contendono un osso avvelenato”, dove l’osso è il dolore per la morte di questa donna. Luca si ritrova a dormire nella Smart della madre, trovata chiusa poco distante dal luogo dell’incidente, con l’illusione di svegliarsi con l’odore della madre, come se fosse ancora viva. Dario reagisce a questo nell’unico modo in cui è capace per gestire il trauma e il dolore della morte, con una sua indagine personale per capire chi ha ucciso Giulia. Vent’anni di nera hanno lasciato il segno.

Sono un presbite affettivo. Ho sprecato gran parte della mia vita a cercare di raccontare le pulsioni più inconfessabili di decine di estranei e sono diventato bravo a capire solo coloro che mi stanno ad una certa distanza. A leggere dentro chi mi sta vicino, invece, faccio davvero schifo.

L’unico modo per tenere a bada la rabbia del figlio e per dare un senso al suo dolore, deve trovare lui l’assassino della moglie, i carabinieri non hanno molta intenzione di approfondire il caso. Ci sono tanti piccoli indizi da mettere assieme: un pezzo di carta con un numero di cellulare trovato nella smart della moglie. I rapporti tra Giulia e i suoi datori di lavoro, la rampante Maddalena Cuprè (che Nora chiama Maddajena) e il marito, un misterioso broker di borsa.
Attraverso la voce narrante del protagonista ci viene presentato il mondo dell’arte moderna, dove tutto si gioca sul packaging degli artisti, il gusto della provocazione. Un mondo dove coi soldi si riescono a comprare recensioni positive, vip chiamati a fare da testimonial di eventi. Un mondo dove il vuoto culturale viene colmato dalle tante parole in inglese. Un mondo dove girano tanti soldi, per cui si è anche disposti a passare sopra a tanti principi.

C’è un’altra scoperta, che porta Corbo nella giusta direzione nella sua inchiesta (che tra le altre cose, lo mette in contrasto col figlio e con Nora la sua principale): il luogo dove Giulia è stata investita è vicino a dove, dieci anni prima era avvenuta una strage, una famiglia uccisa da un balordo, un ragazzo senza arte né parte che campava facendo lavoretti.
Una coincidenza? Forse, ma vent’anni di cronaca nera hanno portato Corbo a diffidare dalle coincidenze.

Senza dirsi addio è un romanzo molto articolato, ricco di descrizioni dei vari personaggi che si incontrano nel corso della storia: c’è un’indagine che attraversa il racconto, ma si parla anche del dolore della perdita di una persona cara, di quanto ci si aggrappi alla ricerca del colpevole per dare uno scopo a questo dolore. Trovare il mistero finale di questo omicidio prima che Caino se lo porti nella tomba. Dare una consolazione al rammarico che rimane per tutti i momenti felici del passato, quello di Dario con Giulia, che non ritorneranno, rimarranno solo ricordi destinati a sbiadire un poco alla volta.

Noi Giulia non l’abbiamo salutata. Neanche un addio. Con nessuno dei due. Questo è, non abbiamo la forza di dircelo, ma questo è.

La scheda del libro sul sito di Sellerio

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06 agosto 2022

Isole di sangue di James Kestrel

 


Joe McGrady stava fissando un bicchiere di whisky. Il ghiaccio non aveva ancora cominciato a sciogliersi , nonostante il caldo. Era immerso in una cacofonia. I marinai ordinavano birre a dieci alla volta, ostacolandosi a vicenda per accendere le sigarette alle ragazze.

Honolulu, novembre del 1941: il detective della polizia locale Joe McGrady viene chiamato dal suo capo mentre si trova nel suo bar, per sua sfortuna prima di potersi prendere una sbornia. Viene convocato in ufficio dal suo capo: se non avesse preso quella chiamata la sua vita avrebbe preso un’altra direzione. Magari avrebbe sposato Molly, la sua fidanzata, magari avrebbe fatto carriera nella polizia dell’isola, dopo i cinque anni passati nell’esercito. E invece ..

Il corpo era appeso al soffitto a testa in giù, le caviglie aie due lati di una sbarra di ferro. Era morto, senza ombra di dubbio, squartato a metà quasi a metà e con buona parte degli intestini sparsi sul pavimento di terra battuta. McGrady si coprì il naso e bocca con il braccio e si avvicinò.

Se non avesse risposto alla telefonata non avrebbe scoperto il cadavere di un ragazzo appeso ad una sbarra, ucciso e squartato come un animale. Non avrebbe dovuto sparare ad uno degli assassini, di fronte al capanno dove il ragazzo è stato torturato e ucciso.

"Odio vedere queste cose."

Perché lei era bella. O, probabilmente, lo era stata. Era difficile esserne sicuri, adesso. Aveva capelli neri, lunghi, lisci e lucenti. Quello si vedeva subito. Era nuda e legata con i polsi dietro le ginocchia piegate. L'uomo doveva essere un amante del coltello.

Non avrebbe nemmeno scoperto un secondo corpo nello stesso capanno, quello di una ragazza giovane, pure lei uccisa dopo aver subito un brutto trattamento da parte di un assassino capace di usare bene il coltello.

"Cosa succede?" chiese McGrady.

"Succede che il suo caso è appena diventato cento volte più complesso. Crede che il suo capitano la tratti male? Aspetti di vedere cosa succede quando saranno saliti a bordo tutti gli altri."

Sicuramente non sarebbe stato invischiato in quella inchiesta per duplice omicidio che l’avrebbe portato da Honolulu fino a Hong Kong, per essere poi catturato dai giapponesi.

Già, i soldati dell’impero nipponico: perché nel mentre McGrady viene incaricato di inseguire questa ombra nera, l’assassino dei due ragazzi su cui ha pochi pochi particolari (la mole enorme, la capacità di saper usare bene il coltello, aver combattuto nella prima guerra mondiale, ma dall’altra parte), il suo paese l’America entrava nel più grande massacro della storia, la seconda guerra mondiale.

Mentre McGrady è a Hong Kong, avviene l’attacco alla base della marina di Pearl Harbour da parte della marina imperiale giapponese: il grande azzardo dei piani militari giapponesi, infliggere un grave colpo alla marina americana andando a “cacciare i cuccioli della tigre nel loro nido”.

Sebbene fossero evidenti a tutti le intenzioni del Giappone, l’invasione delle isole nel Pacifico, nessuno nello Stato Maggiore, nell’intelligence, si aspettava un attacco di tale portata, così distante, una mossa camuffata dalle rassicurazioni della diplomazia giapponese.

Non era una battuta. I segnali erano dappertutto, e non si trattava solo dei camion. Ogni giorno nuove navi scaricavano uomini e materiali. Altre navi caricavano altri uomini e materiali e partivano, superando Barber's Point dirette a occidente, verso l'orizzonte. Laggiù avevano costruito una fila di avamposti di frontiera. Forti di legno sulle pianure, con soldati di cavalleria in giubbe blu a scrutare oltre la palizzate. Nomi come Midway, Johnston Atoll. Palmyra e Wake.

Da quel momento, dalla cattura dei giapponesi sulla colonia inglese, la sua vita prende una seconda svolta: finito nelle mani dei soldati dell’impero del sol levante, si ritrova solo, senza i suoi documenti, senza alcuna protezione, con la possibilità di morire da un giorno all’altro senza un motivo valido.

Si rilassò sul sedile e guardò fuori. Cercò di immaginare come avrebbe spiegato tutto a Molly. Era come stare seduto al cinema e guardare un film. Come essere stato trasportato dentro un sogno in bianco e nero, da una corrente subcosciente. Non aveva controllo su nulla. Poteva continuare a guardare o chiudere gli occhi. Quelle erano le uniche scelte. E se avesse chiuso gli occhi le cose sarebbero successe lo stesso.

Finché, ancora una volta, il destino impone alla sua vita una nuova svolta: i due ragazzi morti avevano dei parenti importanti, in America e in Giappone e all'investigatore viene data la possibilità di vivere una nuova vita.

Isole di sangue è un romanzo americano dove troviamo dentro tanti generi: dal noir, nella prima parte con i morti e i segni lasciati sui loro corpi, fino al thriller quando l’indagine diventa una caccia all’uomo, questo uomo misterioso così sfuggente nonostante l’enorme mole.
Ma c’è anche dentro una grande storia d’amore dentro cui il protagonista, un investigatore che si porta dentro le sue ferite, decide di perdersi. Come prima si era perso nella sua indagine.

Sullo sfondo la guerra, vista prima con gli occhi degli sconfitti, gli inglesi e gli americani che subirono lo smacco dell’attacco dell’esercito imperiale giapponese, all’apparenza inarrestabile. E poi con gli occhi dei giapponesi stessi, quando le sorti della guerra si capovolgono in favore degli alleati (come aveva pronosticato un alto funzionario del governo a McGrady).
L’orrore della guerra viene raccontato attraverso due sguardi, quello delle vittime dei crimini di guerra giapponesi e quello degli abitanti di Tokio sotto il bombardamento del 9 marzo del 1945

I bombardieri si avvicendarono per due ore e mezzo. L’incendio non era più un incendio, era una tempesta di fuoco. Non c’erano parole per descriverlo, perché nessuno aveva mai visto nulla del genere. Dei tornado di fiamme danzavano gli uni verso gli altri. Si incontravano e diventavano colonne di fuoco, alte trecento metri. Il fuoco risucchiava l’aria, consumando ogni cosa. Il vento divenne fortissimo, un ciclone. Loro guardavano. Ascoltavano il ruggito.

E ora, finita la guerra, cosa può fare ora Joe, l’ex soldato, ex detective, ex investigatore su un duplice delitto che ora non interessa a nessuno?
Non può far altro che cercare di rispettare le promesse alle tante persone che ha incontrato nella sua avventura in queste “isole di sangue” per trovare la sua casa, la sua vera casa.

Non aveva una mappa, ma non temeva di perdersi. Si era già perso prima di partire. La grande incognita era tornare a casa.

Isole di sangue – il titolo in inglese funziona meglio "5 december", è un grande romanzo americano dove si mescolano più generi, dal noir al thriller, all’epica della guerra da cui è difficile staccarsi.


La scheda del libro sul sito di Bompiani

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